Giorno per giorno – 02 Febbraio 2015

Carissimi,
“Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele” (Lc 2, 29-32). Forse, la preghiera del vecchio Simeone, potrebbe e dovrebbe essere quella di noi tutti, se sapessimo vedere come Dio arriva nel suo tempio, come a dire nella sua chiesa, ma anche nel mondo, e nella vita di ciascuno di noi. Noi, a cui da sempre hanno insegnato un Dio di cui aver paura, arriva come un bambino inerme, portato in braccio da una giovane coppia di contadini, che solo i potenti temono (e infatti Erode manda a cercarlo per ucciderlo), perché non possono più sfruttarne l’immagine, per dominare arbitrariamente sugli altri. Un bambino, infatti, non comanda su nessuno, al massimo ci si può giocare, o gli si può cantare qualcosa, o sorridere e lasciarlo sorridere, o, nel caso, udirne e placarne il pianto. Se qualcuno vuol esercitare il suo potere sugli altri, da allora, dovrà farlo in nome del contrario di Dio o di un qualche idolo che risponda meglio alla sua bisogna. Su questo, e solo su questo, si giocherà, invariabilmente, ogni nostra caduta e risurrezione. Perché, vedere Dio così, come Simeone lo vide, ci porterà, ci dovrebbe portare, ad essere come e con Lui, il Dio-bambino, segni di salvezza, annuncio di un mondo nuovo e altro, liberazione per tutti. A meno che, appunto, decidiamo di negarlo, e, negandolo, cadiamo e ci perdiamo. Fino a che Lui che non sa giudicare venga a salvarci.

Oggi è la Festa della Presentazione del Signore.

Quaranta giorni dopo la nascita, Gesù fu portato da Maria e Giuseppe al Tempio, in ottemperanza alla legge mosaica che prevede l’offerta a Dio e il successivo riscatto del figlio primogenito, oltre al rito di purificazione per la madre. Quattrocentonovanta giorni sono trascorsi dall’annuncio della nascita di Giovanni alla presentazione di Gesù al Tempio; si compie così la profezia di Daniele: “Settanta settimane sono fissate per il tuo popolo e per la tua città santa per mettere fine all’empietà, mettere i sigilli ai peccati, espiare l’iniquità, portare una giustizia eterna, suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei santi” (Dn 9, 24). In questa festa la Chiesa celebra il primo incontro tra Cristo e il popolo credente, rappresentato da Simone ed Anna. Fu nel VI secolo che l’imperatore Giustiniano estese a tutto l’impero d’Oriente la festa di Ipapante (l’Incontro), che le comunità cristiane celebravano da quasi duecento anni il 2 Febbraio. La Chiesa di Roma l’avrebbe introdotta, un secolo più tardi, con il nome con cui la conosciamo oggi. Il papa Sergio I (687-701) istituì in tale data la più antica delle processioni penitenziali romane, che partiva dalla chiesa di S. Adriano al Foro e si concludeva a S. Maria Maggiore. Il rito della benedizione delle candele, praticato già nel sec. X, fu ispirato alle parole di Simeone: “Con i miei occhi ho visto il Salvatore. Tu l’hai messo davanti a tutti i popoli: luce per illuminare le nazioni”. Da questo rito è derivato il nome popolare di festa della “candelora”

Il nostro calendario ci porta anche la memoria di Alfred Delp, martire del totalitarismo nazista.

Alfred era nato a Mannhheim in Germania il 15 settembre 1907, da madre cattolica e padre protestante e, quattordicenne, aveva ricevuto la sua Confermazione nella chiesa luterana, salvo passare, poco dopo, nella chiesa cattolica. Completati brillantemente gli studi, era entrato nella Compagnia di Gesù nel 1926. Ordinato prete nel 1937, contò tra i suoi amici il grande teologo gesuita Karl Rahner. Durante la seconda guera mondiale con altri amici entrò a far parte di un gruppo antinazista con lo scopo di individuare proposte nuove, oltre il capitalismo e il socialismo, sulla questione sociale e sulle condizioni di vita dei ceti operai. La Gestapo cercò senza successo di dimostrare una sua collaborazione nel fallito attentato a Hitler. Arrestato nel 1944 a Monaco e poi trasferito a Berlino, nella sua autodifesa, Delp affermerà: “La mia colpa è solo quella di aver creduto che la Germania alla fine saprà uscire da quest’ora di tenebra e di angoscia e di aver rifiutato questo cumulo di arroganza, orgoglio e di forza che costituisce lo stile di vita nazista, e di averlo fatto come cristiano e gesuita”. Confinato in un’oscura cella e mantenuto in catene, nel dicembre 1944 Delp stese una serie di penetranti riflessioni sul tempo di Avvento e sul Natale, sullo sfondo della tragedia della guerra e della sua propria morte che sentiva ormai vicina. Fu impiccato nel carcere di Plotzensee il 2 febbraio 1945. Mentre si avviava alla forca disse al cappellano che l’assisteva: “Tra mezz’ora ne saprò molto più di te”.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della Festa della Presentazione del Signore e sono tratti da:
Profezia di Malachia, cap.3, 1-4; Salmo 24; Lettera agli Ebrei, cap.2, 14-18; Vangelo di Luca, cap.2, 22-40.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddista.

Bene, è tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un testo di Alfred Delp, dal titolo “The Crier in the Wilderness”. Tratto da AA.VV “When the Time Was Fulfilled. Christmas Meditations” (Plough Publishing House), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: Convertitevi, perché il regno di Dio è vicino” (Mt 3, 1-2). Guai all’epoca in cui le voci di coloro che gridano nel deserto sono ridotte al silenzio, sommerse dal rumore del giorno o bandite o inghiottite nell’ebbrezza del progresso, o soffocate e rese timide, per paura e codardia. La devastazione del nostro tempo sarà presto così terrificante e universale che la parola “deserto” sarà la più facile ad apparire sulle nostre lingue. Questo sta già accadendo. Ma non ci sono ancora voci che gridano alta la loro denuncia e la loro accusa. Neppure per un’ora la vita può lasciare tranquilli questi personaggi alla Giovanni Battista, questi individui originali, raggiunti dal fulmine della loro missione e vocazione. I loro cuori li precedono ed è per questo che i loro occhi sono così lungimiranti, il loro giudizio così incorruttibile. Essi non gridano per gridare o per avere una voce. Né dicono la loro perché sono guastafeste e non vogliono che gli altri si godano la vita. Certo, essi vivono ai margini della società, ma il loro conforto risiede proprio nei più profondi e distanti confini dell’esistenza. Gridano per benedizione e salvezza. Ci chiamano per la nostra ultima occasione, perché possono già sentire la terra tremare e le travi scricchiolare; possono già vedere le più stabili delle montagne vacillare e le stesse stelle del cielo in pericolo. Ci chiamano per l’opportunità di allontanare, grazie alla maggior potenza di un cuore convertito, il deserto incombente che piomberà su di noi e ci seppellirà. O Signore, oggi sappiamo una volta di più, e in termini reali, che cosa significa sgombrare le macerie e appianare i sentieri. Dovremo saperlo fare per gli anni a venire. Lascia risuonare le voci che gridano, additando il deserto e vincendo la devastazione dall’interno. Che la figura di Giovanni Battista, l’instancabile inviato e profeta nel nome di Dio, non sia estranea nelle rovine del nostro deserto. Perché come potremo udire se non c’è chi grida sopra il tumulto, la distruzione, e l’illusione? (Alfred Delp, The Crier in the Wilderness).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Febbraio 2015ultima modifica: 2015-02-02T22:51:35+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo