Giorno per giorno – 07 Giugno 2015

Carissimi,
“Gesù venne con i suoi discepoli in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: È fuori di sé” (Mc 3, 20-21). La tristezza che deve aver provato Gesù a vedere che neppure i suoi più intimi riuscivano a capire ciò che lo muoveva. E, pazienza, gli scribi, che lo dicevano indemoniato, ma loro! Stamattina, nella chiesa del Monastero, c’è stato un battesimo, bello come pochi. No, sono tutti belli, perché li fa belli comunque Lui, al di là dell’incoscienza o della scarsa consapevolezza che a volte li contraddistingue. Questo, però, aveva in più la piena consapevolezza dell’interessato, un ragazzo di quindici anni, João Pedro (João per via del nonno, e Pedro, in omaggio a Casaldáliga), la storia della sua famiglia e delle famiglie dei suoi amici, e il clima straordinariamente compenetrato che ha accompagnato tutta la celebrazione. Il battesimo, tra le altre cose, vuol dire mettersi al seguito di quel “fuori di testa”, di cui parlava il Vangelo di oggi. Noi non ci pensiamo troppo spesso a questo fatto, alla ricerca come siamo sempre di mezze misure, di moderazione, di equilibrio. Lui, Gesù, immagine come era di un Dio eccentrico, completamente e costantemente fuori del suo baricentro, dai tempi in cui aveva pensato – cioè da sempre – la creazione, Gesù non poteva fare altro che lanciarsi continuamente fuori di sé. Amando l’altro, gli altri, come se di quel Sé fossero (come sono) la più vera essenza. Dedicando loro la vita, fino all’ultimo respiro. Fossero pure, o si volessero, suoi nemici, i più acerrimi. Ciascuno dà quello che ha, e Lui ha in sé sempre e solo bene da dare. La sua Chiesa, noi, i battezzati, cosa abbiamo in cuore? Il bene? Quanto bene? Solo bene?

I testi che la liturgia di questa 10ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.3, 9-15; Salmo 130; 2ª Lettera ai Corinzi, cap.4, 13- 5, 1; Vangelo di Marco, cap.3, 20-35.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

Il nostro calendario ci porta oggi la memoria di Matt Talbot, il santo [ex]-bevitore.

Nato il 2 maggio 1856, a Dublino (Irlanda), secondo dei dodici figli di Charles e Elisabeth Talbot, Matt aveva trascorso la sua infanzia nella totale mancanza di sicurezza e di stabilità. Mai aveva frequentato regolarmente una scuola. A dodici anni trovò lavoro in un deposito di imbottigliamento di vino e fu qui che cominciò a bere smodatamente. Una sera, all’età di vent’otto anni, per strada s’imbatté in un prete, pensò tra sé: forse è il momento di smettere, almeno per un po’. Si confessò e promise di non bere per tre mesi. Molte volte sentì che non sarebbe riuscito a mantenere quella promessa, eppure dopo un anno rinnovò l’impegno di non bere mai più neppure una goccia di alcool. E furono 41 anni. Con l´aiuto del suo amico prete, modellò la sua vita su quella dei monaci irlandesi del VI e VII secolo: un rigoroso programma di lavoro manuale, preghiera (con al centro l’eucaristia), digiuno e carità. Distribuiva la maggior parte del suo salario ai poveri e, nello stesso tempo, era profondamente consapevole delle giuste lotte e rivendicazioni dei suoi compagni di lavoro. A questi e ai suoi vicini presentò sempre l’immagine amichevole di un uomo sorridente, realizzato e felice. Matt Talbot morì d’infarto il 7 giugno 1925. Dopo la morte, la sua fama di santità si diffuse rapidamente. Paolo VI lo dichiarò venerabile nel 1975.

Non abbiamo, quanto meno sottomano, scritti di Matt Talbot. Scegliamo allora di congedarci con la pagina di una donna che ha scelto, per molti anni, come religiosa di una congregazione atipica – le Domenicane di Betania -, di vivere fianco a fianco con quanti hanno conosciuto l’esperienza dell’emarginazione, la sofferenza, la difficoltà del vivere e il lento, doloroso e gioioso riscatto. È la testimonianza di Emanuelle-Marie, raccontata nel libro “Tutti contro meno Dio. L’utopia di Betania” (Edizioni Gruppo Abele). Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se chi ha molto sbagliato incontra Cristo e percepisce che lui si è preso addosso tutta la sua sofferenza, diventa pazzo d’amore per Dio, non vede l’ora di fare per gli altri ciò che Gesù ha fatto nei suoi confronti. I veri convertiti non possono fare a meno di diventare simili a Cristo, di unirsi alla lotta contro il male, altri crocifissi inchiodati dalla sofferenza degli altri fino a farla risorgere in amore. Il mondo parla di pentimento, di penitenza… è solo amore che brucia! O rifiutiamo di soffrire e ribaltiamo il male sugli altri, oppure accettiamo la sofferenza per amore e il male è vinto. Dalla sofferenza non si scappa: radice di morte, o fonte di vita, di gioia e di amore. Perciò chi rinasce a una nuova vita, chi accetta di riconoscere il proprio peccato, inizia un’esperienza di amore senza fine, diventa un apostolo, come la Samaritana, che porta la sua gente a Cristo, diventa l’apostola della Risurrezione come la Maddalena. Perché non fu la Madonna a ricevere l’incarico di portare il messaggio sconvolgente della vittoria di Gesù sulla morte? Perché invece fu proprio colei che più aveva sperimentato il perdono, cioè la vittoria dell’amore sul male, a ricevere per prima l’annuncio? Cè una connivenza tra Dio e chi sbaglia. Una connivenza di natura quasi affettiva. Sul “peccatore” si rovescia la sofferenza del mondo. Su Dio fatto uomo, si è rovesciata tutta la sofferenza del mondo e Lui ne ha fatto motivo di risurrezione. Tocca a noi entrare in questa dialettica di amore. (Emanuelle-Marie, Tutti contro meno Dio. L’utopia di Betania”).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Giugno 2015ultima modifica: 2015-06-07T22:05:23+02:00da fraternidade
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