Giorno per giorno – 04 Novembre 2018

Carissimi,
“Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5, 1-3). Quel giorno Gesù decise di proclamare i suoi santi e cominciò, come vuole la prassi, col dichiararli beati. Li dichiarò per categorie, perché ce ne potessero stare il più possibile. Non richiese nessun miracolo a giustificazione della sua decisione, salvo quello di esistere. Prese come misura della loro santità, non l’appartenenza ad una qualche religione, la vita virtuosa, la pratica delle devozioni, ma il semplice essere irriso, umiliato, disprezzato, escluso dalla logica del sistema. Di ogni sistema di potere. Santi, non perché lo si sia scelto, ma perché il Santo di Dio si è voluto lì in mezzo, senza che i più neppure lo sapessero. Santi dunque non per merito (almeno nel regno di Dio non vige la meritocrazia!), ma per Grazia. A formare quella “moltitudine immensa” di cui la lettura dell’Apocalisse diceva “sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14). Sono passati e continuano a passare: l’Agnello è lì tra loro, il loro sangue è il suo sangue. Ora, dicendoci di dove è il Cristo, cioè la verità che ci è data conoscere di Dio, il vangelo ci dice necessariamente anche il dove deve stare la Chiesa, e ogni cristiano, e la proposta di società che i discepoli di Gesù devono poter avanzare e in primo luogo testimoniare: quella in cui i poveri sono al primo posto, che consola chi soffre, che non cede alla prepotenza, ma vive la nonviolenza, che ricerca instancabilmente la giustizia, che ama i suoi figli con amore di madre, che non agisce con secondi fini, che opera in vista del benessere di tutti, sfidando ostacoli e persecuzioni. Festa di tutti i santi, dunque, conosciuti e sconosciuti, trapassati o ancora tra noi, più o meno peccatori, ma tutti belli e santi agli occhi di Dio. Che non ha colpa se è fatto così.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della festa di Tutti i Santi e sono tratti da:
Libro dell’Apocalisse, cap.7, 2-4. 9-14; Salmo 24; 1ª Lettera di Giovanni, cap.3, 1-3; Vangelo di Matteo, cap.5, 1-12a.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Il nostro calendario ci ricorda oggi Carlo Borromeo, pastore amico dei poveri e Raïssa Oumançoff Maritain, contemplativa nel mondo.

Carlo Borromeo nacque ad Arona, il 2 ottobre 1538 e, in epoca di nepotismi esasperati, fu creato cardinale dallo zio papa Pio IV, quando aveva solo 22 anni. Nel 1563, ordinato sacerdote e consacrato vescovo, gli fu affidata la diocesi di Milano. Il giovanissimo arcivescovo fece di questo l’occasione per impegnarsi in una profonda riforma della chiesa. Fu un pastore esemplare, attento alle necessità materiali della sua gente. In un’epoca di povertà diffusa, tentò di farvi fronte attingendo a piene mani alle ricchezze della sua famiglia. Fondò ospedali, ospizi e seminari. Denunciò e affrontò coraggiosamente le soperchierie dei nobili e dei signorotti locali. Curò la formazione intellettuale, ma soprattutto spirituale, del clero; favorì il ritorno alla disciplina e al rigore morale di numerosi conventi che vivevano, alla bell’e meglio, nella rilassetezza morale e religiosa. Questo, tra le altre cose, gli costò un attentato da parte di un frate. La palla d’archibugio a lui destinata, tuttavia, perforò il manto cardinalizio, ma non arrivò a centrarlo. Durante la terribile peste che colpì Milano nel 1576-77 dedicò tutte le sue forze ad assisterne le vittime e a tentare di limitarne i danni. La sua attività instancabile, l’austerità di vita e le privazioni che s’imponeva dovevano nel corso del tempo minarne la fibra: il 3 novembre 1584, a soli quarantasei anni, Carlo Borromeo moriva.

Raïssa Oumançoff era nata a Nachitchivan (Rostov-sul-Don), nella Russia zarista, il 12 settembre 1883 (31 agosto secondo il calendario giuliano), da una famiglia di ebrei ortodossi, che presto si trasferì in Francia per sfuggire il clima di violento antisemitismo che dominava nel paese e per offrire migliori opportunità di educazione alle figlie. Intelligenza precocissima, Raïssa entrò all’Università della Sorbona a soli sedici anni. Lì incontrò l’uomo con cui avrebbe condiviso tutta la vita: il giovane Jacques Maritain, che sposò nel 1904. Alieni ad ogni pratica religiosa, ma appassionati della ricerca della verità, i due conobbero Léon Bloy, restando affascinati dalla fede di lui che, celebrando la predilezione di Dio per i poveri e denunciando con vigore i peccati della borghesia cristiana, scriveva: “ Non si entra in Paradiso domani, o tra dieci anni, ci si entra oggi, quando si è poveri e crocifissi” e anche: “Non c’è che una sola vera tristezza: quella di non essere santi”. E santi, nel mondo, in maniera davvero singolare e radicale, si diedero subito da fare per esserlo. Riconoscendosi nella spiritualità e nella regola benedettina, fecero la loro consacrazione come oblati, scegliendo di vivere il loro matrimonio nel “celibato per il Regno”. Con la sorella di Raïssa, Vera, la coppia visse da allora uno straordinario sodalizio, “come religiosi di un ordine speciale, la cui regola contempla la vita nel mondo […] seguendo la via della contemplazione nel mondo”. Il piccolo cenacolo si organizzò con un’orario preciso, fatto di preghiera, lavoro, studio. Negli anni che seguirono, Jacques diventò il più eminente filosofo cattolico del ventesimo secolo, Raïssa ebbe i suoi riconoscimenti con la pubblicazione di opere in poesia e in prosa. Ma, più di tutto, ella restò l’intima e preziosa collaboratrice del marito che di lei dirà: “Ogni cosa viene da Dio, ma come suo tramite sulla terra ogni cosa buona mi è arrivata da lei”. Raïssa morì il 4 novembre 1960. Fu solo allora che Jacques scoprì il suo “Diario”, che gli rivelò aspetti ancora inediti della sua profonda spiritualità.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una pagina di Raïssa Maritain, scritta la Domenica di Pentecoste del 1917, tratta dal “Diario di Raissa” (Morcelliana), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se mi disprezzano, devo pensare che è giusto; se mi giudicano male, devo essere convinta che hanno ragione. Però devo essere in pace e contenta – perché ho il diritto, come le altre creature, di stare vicina a Dio, di non guardare che Lui e di dimenticare me stessa dimenticando tutto il resto. Se amo il posto in cui Dio mi ha collocata, ho diritto alla pace, alla gioia, alla contemplazione del mio Dio. E, tralasciando tutto, dimenticando ogni preoccupazione personale, non agirò per disprezzo, né per sdegno, ma ammettendo invece tutto il disprezzo che si può avere per me, cercherò serenamente un rifugio in seno alla divina Misericordia, alla quale, più che ogni altra cosa, mi raccomanda la mia stessa miseria. Oh! Il buono, il dolce riposo, quando, lasciato il proprio io con tutto il resto, si rimane ai piedi del Signore e lo si contempla, adorando i suoi più piccoli desideri. Mio Dio, non ti domando altro che la carità e l’umiltà. Non puoi rifiutarmele, sono necessarie. Vorrei avere un’umiltà tanto profonda che sia ancora più grande della bassezza dei miei peccati, al fine di non venire confusa. “La beatitudine comincia con l’umiltà” (sant’Agostino). (Diario di Raissa).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Novembre 2018ultima modifica: 2018-11-04T22:39:09+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo