Giorno per giorno – 24 Dicembre 2021

Carissimi,
“Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un [sole] sorgente dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace” (Lc 1, 78-79). Il riferimento al “sole che sorge dall’alto” ha fatto sì che il cantico di Zaccaria diventasse nella liturgia della Chiesa il canto con cui si chiude la preghiera delle lodi, al mattino. È un sole che ci raggiunge “grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio” (o “alla tenera misericordia”, o, letteralmente, “alle viscere di misericordia”, secondo le traduzioni). Il venire di Gesù, che si è verificato una volta per tutte nella storia nel mistero che celebreremo stanotte, viene costantemente attualizzato nella nostra esistenza, che rimane soggetta all’assedio del potere delle tenebre, e non può avere altra manifestazione che quella stessa tenerezza che ha determinato il suo darsi. È questo l’unico modo che Dio ha scelto per condurci “sulla via della pace”, dopo averci “liberati dalle mani dei nemici” (v.74), che sono poi gli idoli che ci asserviscono alla logica del Sistema del dominio, in tutte le sue forme, frutto dell’antica e sempre attuante suggestione del Serpente. Manifestatosi a noi così, Egli resta solo in attesa di un sì, che attesti la nostra disposizione a testimoniare nella nostra vita la buona notizia della sua salvezza. Che la sua grazia ce ne renda capaci!

Oggi è memoria di Charbel Makhluf, monaco eremita della Chiesa maronita del Libano.

Yussef Makhluf era nato in Libano, nel villaggio di Biqa’Kafra, l’8 maggio 1828. Rimasto orfano di padre all’età di tre anni, passò sotto la tutela dello zio paterno e, ancora bambino, fu messo a badare al gregge. Fu in queste circostanze che apprese il gusto per la preghiera. Mentre gli animali riposavano, Yussuf si ritirava in una grotta nelle vicinanze e si raccoglieva in preghiera. Frequentava anche una scuola, dove le lezioni consistevano nell’apprendere a leggere, a scrivere e a servir messa. A ventitre anni, senza avvertire nessuno, lasciò il paese natale, per recarsi nel monastero di ‘Annaya dell’Ordine libanese maronita. Lì ne assunse l’abito e cambiò il nome di battesimo in quello di Charbel (martire della chiesa antiochena nell’anno 107 sotto l’imperatore Traiano). Trascorso il primo anno di noviziato, fu inviato al monastero di Nostra Signora di Maïfuk, per completare il secondo anno di studi e successivamente nel Collegio di Kfifan. Ovunque si segnalò per la grande semplicità, la sincerità della sua pietà e per la prontezza ad assumere le mansioni più umili e dure. Nel luglio 1859 fu ordinato sacerdote e inviato nuovamente ad Annaya, dove trascorse sedici anni, prima di ottenere l’autorizzazione a ritirarsi a vivere nell’eremo del monastero, a 1400 metri di altitudine, dove spese i restanti ventitre anni della sua vita, nel silenzio, nel lavoro e nella preghiera di adorazione. Il 16 dicembre 1898, durante l’Eucaristia, fu colto da un malore. Trasportato nella sua cella, nei giorni successivi non fece che ripetere le parole della messa: “Padre di verità, ecco qui tuo Figlio, reso vittima gradita a Te….”, fino a quando si spense la notte del 24 dicembre, vigilia di Natale.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2° Libro di Samuele, cap.7,1-5.8b-12. 14a.16; Salmo 89; Vangelo di Luca, cap.1, 67-79.

La preghiera del venerdì è in comunione con le comunità islamiche che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

È tutto, per stasera. Non abbiamo sottomano testi che si possano riferire alla memoria di oggi. Scegliamo, quindi, di proporvi una paginao di Ireneo di Lione, che richiama il mistero che ci apprestiamo a celebrare stanotte. Tratto dal suo “Adversus Haereses”, è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dio ci ha dato come segno della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l’Emmanuele: poiché era il Signore stesso colui che salvava coloro che da se stessi non avevano alcuna possibilità di salvezza. Paolo, indicando la radicale debolezza dell’uomo, dice: Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene (Rm 7,18), poiché il bene della nostra salvezza non viene da noi, ma da Dio. Ed esclama ancora: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? (Rm 7,24). Quindi presenta il liberatore e dice: L’amore gratuito del Signore nostro Gesù Cristo (cf Rm 7,25). Anche Isaia aveva predetto questo: Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi” (Is 35,3-4). Questo indica che non da noi, ma da Dio checi aiuta, abbiamo la salvezza. C’è un solo e medesimo Spirito di Dio che ha annunciato nei profeti quale sarebbe stata la venuta del Signore e da dove sarebbe giunta. Lo Spirito poi ha tradotto negli Anziani (cioè nella traduzione dovuta ai Settanta) gli oracoli dei profeti. Sempre lo Spirito ha annunciato mediante gli apostoli che è giunta la pienezza dei tempi, l’era dell’adozione filiale; ormai il regno dei cieli è vicino e risiede tra gli uomini che credono nell’Emmanuele nato dalla Vergine. (Ireneo di Lione, Adversus Haereses, III, 20,3).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Dicembre 2021ultima modifica: 2021-12-24T22:36:16+01:00da fraternidade
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