Giorno per giorno – 12 Maggio 2021

Carissimi,
“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16, 12-14). Che i discepoli non fossero ancora in grado di portare tutto il peso di ciò che egli avrebbe potuto dire, era già stato chiaro dalla reazione di Pietro (cf Mt 16, 22), quando Gesù aveva annunciato l’imminenza e le modalità della sua fine. Lo Spirito, a tempo debito, li (ci) avrebbe illuminati sul significato e l’inimmaginabile grandiosità di quella fine, che interpreta l’intero corso della storia umana, ponendola sotto il segno incontrovertibile della salvezza. Lo Spirito non inventa nuove verità, ma ci apre alla comprensione dell’unica e definitiva verità della Croce, decisiva, lungo il tempo, per l’avvento del Regno (“le cose future”), non con le armi del mondo, secondo l’interpretazione interessata e distorta che spesso ne è stata data, ma con la mansuetudine e la nonviolenza del Padre testimoniataci dal Figlio. Che noi siamo chiamati ad assumere come nostra più vera vocazione e nostro stile di vita.

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta le memorie di Rabbi Meir e di sua moglie Beruriah, sapienti in Israele; e di Irena Sendler, “giusta tra le nazioni”.

Discepolo di Akiva, e Maestro Tannaita del II secolo, Rabbi Meir era discendente di pagani convertiti al giudaismo. In realtà il suo nome era Measha, o Nechemiah, ma fu chiamato Meir o, in aramaico, Nehorai, (l’Illuminatore), perché illuminava le menti degli studiosi dell’halacha (la parte giuridica del Talmud). Quando la Mishna non cita per nome l’autore di un’opinione, si ritiene sia un insegnamento del nostro. Scriba di professione, raccontano che guadagnasse tre selah per settimana. Ne spendeva uno per comprare cibo, un altro per il vestiario e il terzo lo versava agli studiosi della Legge. Quando i suoi alunni gli fecero notare che in tal modo non accantonava nulla per i suoi figli, rispose: “Se essi saranno retti, sarà vero per loro ciò che disse il re David: Non si è mai visto un giusto abbandonato e i suoi figli costretti a mendicare il pane (Sal 37,25). Se non lo saranno, perché dovrei lasciare del mio a dei nemici di Dio?”. Beruriah, moglie di Rabbi Meir, fu la figura femminile di maggior spicco del periodo talmudico. Figlia di Rabbi Chanina Ben Teradion, martirizzato per aver insegnato pubblicamente la Torah, nonostante un divieto imperiale, la donna godeva di una considerevole reputazione come erudita, e spesso si preferiva la sua opinione a quella dei sapienti che le si opponevano. Lo stesso Meir si avvaleva sovente del suoi consigli. La sua vita fu marcata dalla tragedia: oltre al padre torturato a morte dai romani, sua sorella fu obbligata a prostituirsi, suo fratello fu ucciso dai banditi e infine i suoi due figli morirono improvvisamente nel pomeriggio di un sabato. Per non turbare la gioia sabbatica del marito, aspettò l’ora del tramonto, lo chiamò e gli chiese se era tenuta a restituire alcuni oggetti che le erano stati affidati. Il marito rispose che aveva l’obbligo di farlo. Lei allora lo condusse nella camera dei figli e scoprendone i corpi inanimati disse, citando il libro di Giobbe: “Il Signore dá, il Signore toglie, sia benedetto il nome del Signore”. Rabbi Meir morì in Asia Minore, verso il 175 d.C. Chiese di essere sepolto in Israele, in riva al mare, perché le onde che bagnavano la sua terra, coprissero anche la sua tomba. Successivamente il suo corpo venne esumato e sepolto nuovamente a Tiberiade, dove la tomba divenne meta di pellegrinaggi. Nel calendario ebraico, la memoria di Rabbi Meir (da noi unita a quella della sposa Beruriah) cade il 14 Iyar (data mobile tra aprile e maggio).

Irena Krzyzanowski era nata a Otwock, una cittadina a circa venti chilometri da Varsavia (Polonia), il 15 febbraio 1910 da Janina e Stanislaw Krzyzanowski, un medico, che fu tra i primi membri del Partito socialista polacco, e uno dei pochi medici cattolici che, a quel tempo, accettarono di prestare assistenza alle famiglie povere della locale comunità ebraica. Morirà nel febbraio 1917, di tifo, contratto mentre assisteva i pazienti, che i suoi colleghi avevano rifiutato di curare. Fu per l’educazione ricevuta dai genitori che, già da bambina, Irena frequentò ed ebbe modo di conoscere e di simpatizzare con i suoi piccoli compatrioti ebrei. Terminati gli studi, sposò Mieczyslaw Sendler (con il cui cognome sarebbe stata conosciuta in seguito, nonostante il fallimento del matrimonio, subito dopo la guerra). All’epoca dell’invasione tedesca della Polonia, nel 1939, Irena lavorava come infermiera per i servizi sociali del comune di Varsavia. Quando si scatenò la perscuzione nei confronti degli ebrei, decise da subito che non poteva restare indifferente e che doveva darsi da fare. Nei mesi che seguirono, lei ed altri volontari fabbricarono migliaia di documenti falsi per aiutare le famiglie ebree a nascondersi. Nel dicembre del 1942, il movimento clandestino Żegota (Consiglio per l’aiuto agli ebrei), da poco creato, la nominò, con il nome di battaglia di Jolanta, a dirigere la sezione che si occupava del salvataggio dei bambini. Come impiegata dei servizi sociali di Varsavia aveva diritto di accesso al ghetto della città. Fu così che si ingegnò in mille modi per nascondere e portar fuori dal ghetto quanti più bambini possibile, affidandoli poi, con documenti falsi, presso famiglie fidate nelle campagne circostanti, o presso conventi e istituti religiosi. Di ognuno di essi annotò accuratamente in codice i veri nomi accanto a quelli falsi, collocando poi le liste in contenitori di vetro, che nascose sotto terra. Sperava in tal modo di potere riunire i bambini, un giorno, ai genitori o, almeno, a qualche membro delle loro famiglie. Il 20 ottobre del 1943 Jolanta fu scoperta e arrestata dalla Gestapo. Condotta nella famigerata prigione di Pawiak, fu ripetutamente torturata. Le spezzarono i piedi e le gambe, ma non tradì l’organizzazione, né rivelò gli indirizzi dei bambini nascosti. Condannata a morte, fu salvata all’ultimo minuto, quando membri della Żegota riuscirono a corrompere le guardie che l’avevano in custodia e sottrarla così all’esecuzione. Dopo la guerra visse un’esistenza normale, tornò al suo vecchio lavoro, si sposò nuovamente, ebbe tre figli, restando in ogni caso in contatto con alcuni dei bambini che aveva salvato. Nel 1965 ricevette il titolo di Giusta tra le nazioni dallo Yad Vashem di Gerusalemme. In una lettera al Senato del suo Paese, che, più tardi, le attribuì un premio, scrisse: “Ogni bambino salvato con il mio aiuto e con l’aiuto di tutti i meravigliosi messaggeri che oggi non ci sono più, è ciò che giustifica la mia esistenza sulla terra più di ogni possibile onorificenza”. In un’altra occasione ebbe a dichiarare: “Avrei potuto fare di più. Questo rammarico mi seguirà fin o alla morte”. Aveva salvato solo 2500 bambini. Era stata torturata e aveva rischiato solo la morte. Irena Sandler è morta a Varsavia il 12 maggio 2008.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.17, 15.22 -18, 1; Salmo 148; Vangelo di Giovanni, cap.16, 12-15.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

Ieri sera, l’avvistamento della prima sottilissima falce della luna nuova ha segnalato che, terminato il mese di Ramadan, siamo entrati nel mese di Shewal (1442 del calendario egiriano, così chiamato perché data a partire dall’Egira). È, dunque, per i nostri amici musulmani la festa Id al–Fitr, cioè, la Festa della Rottura [del digiuno], chiamata anche Id al-Saghir, la Festa Piccola. Durerà tre giorni, dedicati al ringraziamento, al perdono, alle benedizioni, alla misericordia e alla pace. Eid Mubarak! È tragico che questi giorni siano turbati in Palestina dalla furia distruggitrice di un governo come quello di Benjamin Netanyahu, non a caso amico del Bolsonaro di qui, in cui si coniuga come di costume estremismo e corruzione. Al popolo palestinese, la nostra prossimità e solidarietà, con la preghiera al Padre che tutto questo abbia fine e scuota la coscienza delle nazioni.

“La libertà non promette nessuna soddisfazione immediata dei bisogni, nessuna felicità, neanche la sicurezza personale. Caino era libero di scegliere tra il bene e il male e scelse il male”. Ed è vero per ogni tempo e situazione. Agnes Heller, a cui si deve questa citazione, compirbbe oggi novantadue anni. Nata nel 1929 in Ungheria, ebrea scampata alla persecuzione antisemita durante la guerra, fu allieva e amica di Gyorgy Lukács, poi voce del dissenso rispetto al sistema sovietico, allontanata dall’insegnamento, quindi esule all’estero insieme al marito, il filosofo Ferenc Fehér, prima in Australia poi in America. Prendendo spunto da questa ricorrenza, scegliamo di congedarci, offrendovi una sua citazione, tratta da un articolo pubblicato in Babelonline. Rivista semestrale di Filosofia n.7, Anno 2009, con il titolo “I silenzi che circondano Auschwitz”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Può la poesia essere scritta dopo Auschwitz? O meglio, si possono scrivere poesie su Auschwitz? La riposta è ambiguamente, o forse inesorabilmente, dialettica. No, niente può essere scritto su Auschwitz. Ma, certamente, si può scrivere su tutti i silenzi che circondano Auschwitz: il silenzio della colpa, della vergogna, dell’orrore e della mancanza di senso. Non solo si può, ma si deve scrivere su Auschwitz, sull’Olocausto. Singoli individui, anche se numerosi, non possono impedire a qualcosa di simile ad Auschwitz d’accadere di nuovo, forse domani, forse tra tremila anni. Ma possono impedire l’oblio dell’Olocausto. Non si può conservare la memoria delle vittime che perirono in silenzio. Ma si può conservare il loro silenzio e i vari tipi di silenzio che le circondarono. I silenzi che circondano Auschwitz dovrebbero essere cost tantemente esplorati dalla filosofia, dalla storia e anche dalla poesia. Si dovrebbero scrivere poesie su Auschwitz, anche se non si può impedire che qualcosa di simile accada di nuovo. Se Auschwitz non sarà mai dimenticato, se sarà sempre presente nella mente, nella memoria, nei testi cantati e parlati, allora, anche se qualcosa di simile ad Auschwitz non può essere escluso, qualcos’altro lo sarà. Se qualcosa di simile dovesse accadere tra cinquemila anni, e Auschwitz fosse ancora ricordato proprio come lo è oggi, i futuri prigionieri del silenzio sapranno con certezza che su questa terra nessuno muore in silenzio. Sapranno ciò che i soggetti alle camere a gas non furono capaci di immaginare, che i silenzi dei martirizzati saranno tenuti vivi fintantoché la razza umana popolerà questo piccolo globo. Ma ci si lasci la speranza, poiché qui possiamo solo sperare, che il compito morale di mantenere viva la memoria dell’Olocausto sia un servizio reso a ciò che è scomparso e non a ciò che deve ancora avvenire. (Ágnes Heller, I silenzi che circondano Auschwitz).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Maggio 2021ultima modifica: 2021-05-12T22:12:34+02:00da fraternidade
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