Giorno per giorno – 01 Luglio 2018

Carissimi,
“Disse loro Gesù: Voi chi dite che io sia? Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E Gesù: Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16, 15-17). La domanda che Gesù rivolge ai suoi, dopo aver chiesto cosa gli “altri” pensino di lui, è diretta ogni volta anche a noi. Chi è per noi Gesù? Chi sia per gli altri, lo si sa: quando va bene, un profeta, un illuminato, un mago, oppure un rivoluzionario, se no, un mistificatore, uno dei molti falsi messia apparsi nella storia d’Israele, o addirittura qualcuno che non è mai esistito. A partire, poi, dall’uso ideologico fatto della sua figura, nel tempo, fino ad oggi, da parte di chi pure rivendica il titolo di cristiano, potremmo aggiungere anche altre definizioni, per lo più riconducibili in divera misura alla dimensione idolatrica che, se si può dire, lo offende anche più di chi, in buona fede, lo nega storicamente. Comunque, pensino gli altri ciò che vogliono, ma, per noi, chi è Gesù? Potremmo confessare, sotto l’azione dello Spirito, con la stessa irruenza di Pietro che egli è per noi, il Cristo, il Messia, il Liberatore, atteso segretamente, inconsciamente, nei secoli, ma anche più di questo (come neppure Simone aveva ancora capito appieno), lo stesso Dio resosi presente nella sua, e attraverso Lui nella nostra, storia, capace di attrarci e conquistarci, fino a fare di noi, poco a poco, certo, ciascuno per come si è, testimoni credibili del suo regnare, cioè servire, consumandosi per la vita del mondo?

La festa degli Apostoli Pietro e Paolo, qui in Brasile, è spostata a questa domenica. Perciò i testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri di tale festività e sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap. 12, 1-11; Salmo 34; 2ª Lettera a Timoteo, cap.4, 6-8. 17-18; Vangelo di Matteo, cap. 16, 13-19.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di padre Tullio Maruzzo, frate minore, e Luis Obdulio Arroyo Navarro, catechista, martiri in Guatemala; e di Shimon Ben ‘Azzaj, maestro in Israele.

I fratelli gemelli Marcello e Daniele Maruzzo erano nati il 23 luglio 1929 a Lapio, frazione di Arcugnano (Vicenza), nella famiglia di Angelo Maruzzo e di Augusta Rappo. Desiderosi entrambi di abbracciare la vita religiosa nell’ordine francescano, fecero il loro ingresso in noviziato, nell’agosto 1945, nell’isola di S. Francesco del Deserto (Burano, Venezia). Marcello prese il nome di Tullio e suo fratello quello di Lucio. Il 17 agosto 1946 fecero la loro prima professione religiosa e, al termine del ciclo di studi, il 21 giugno 1953 furono ordinati sacerdoti dall’allora patriarca di Venezia, card. Roncalli. Poi, a distanza di pochi anni uno dall’altro, i due fratelli chiesero ed ottennero di recarsi missionari in Guatemala, dove p. Tullio giunse nel dicembre del 1960, subito assegnato alla parrocchia di Cristo Re, a Puerto Barrios, capoluogo della provincia d’Izabal. Povero, semplice, pacifico, nei venti anni successivi, svolse il suo ministero, visitando i numerosi villaggi affidati alla sua cura pastorale, disseminati sulle montagne circostanti, imparando a conoscerne per nome tutti gli abitanti, le loro storie, i loro bisogni, le loro sofferenze. In tempi difficili, che conoscevano lo sfruttamento e le soperchierie dei latifondisti nei confronti di contadini poveri e braccianti, la crescente repressione del governo e la violenza armata degli squadroni della morte. In questo contesto, P. Tullio si propose di aiutare i contadini a legalizzare la proprietà delle terre che lavoravano, mettendo tra l’altro a loro disposizione i consulenti giuridici della Caritas. Cominciarono allora le minacce e gli avvertimenti. I superiori, temendo per la sua vita, trasferirono p. Tullio alla parrocchia del Sacro Cuore di Quiriguá. Era il 14 maggio 1980 e il frate, pur addolorato e contrario alla decisione, obbedì. Tali precauzioni, tuttavia, non servirono a nulla. La sera del 1º Luglio 1981, dopo una riunione dei Cursillos de cristiandad, a cui aveva partecipato, padre Tullio, con il catechista e terziario francescano Luis Obdulio Arroyo Navarro, accompagnò a casa in macchina alcuni cursillistas che abitavano lontano dal centro. Sulla via del ritorno, alle ventidue e trenta, l’imboscata: un gruppo di paramilitari bloccò il veicolo, ne fece scendere i due occupanti, che furono crivellati sul posto. Padre Tullio venne subito riconosciuto dai suoi parrocchiani come ‘martire’ e ‘santo’ e tale è venerato dalla gente fino ad oggi.

Shimon ben ‘Azzaj, maestro del 2° secolo, fu reso famoso dalla sua pietà e bontà. Se Hillel aveva insistito sul fatto che il precetto fondamentale della Torah era : “Ama il tuo prossimo come te stesso”, Ben ‘Azzaj insegnò che c’è un principio ancora maggiore che deve guidarci nelle relazioni interpersonali. Basandosi sul testo di Genesi: “Questo è il libro della genealogia di Adamo. Quando Dio creò l’essere umano, lo fece a somiglianza di Dio (Gen 5,1)”, diceva che questo comporta che l’obiettivo fondamentale della Torah è di insegnarci a trattare tutti gli esseri umani con lo stesso rispetto e considerazione che dobbiamo a Dio. Insegnava che non possiamo nutrire disprezzo per niente e per nessuno. Ogni cosa, anche la più piccola e insignificante, è infatti santificata dalla presenza di Dio e, per ciò che riguarda le persone, anche se fossimo in presenza di un grande peccatore, noi non sappiamo ciò che Dio ha in serbo per lui. La sua passione per lo studio della Legge era così forte che tralasciò di sposarsi, dimenticando così di mettere in pratica il primo precetto della Legge, che è quello di generare figli. Ma Il Signore lo avrà perdonato. Dicono gli antichi saggi d’Israele che, da quando morì Ben ‘Azzaj, non apparve mai più sulla terra anelito eguale per lo studio della Torah.

È tutto, per stasera. Prendendo spunto dalla memoria di Ben ‘Azzaj, scegliamo di congedarci, offrendovi in lettura il brano di un autore ebreo che ci è caro, Martin Buber. Tratto dal suo libretto “Il cammino dell’uomo” (Qiqajon), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Rabbi Shneur Zalman, il Rav della Russia, era stato calunniato presso le autorità da uno dei capi dei mitnagghedim, che condannavano la sua dottrina e la sua condotta, ed era stato incarcerato a Pietroburgo. Un giorno, mentre attendeva di comparire davanti al tribunale, il comandante delle guardie entrò nella sua cella. Di fronte al volto fiero e immobile del Rav che, assorto, non lo aveva notato subito, quest’uomo si fece pensieroso e intuì la qualità umana del prigioniero. Si mise a conversare con lui e non esitò ad affrontare le questioni più varie che si era sempre posto leggendo la Scrittura. Alla fine chiese: “Come bisogna interpretare che Dio Onnisciente dica ad Adamo:«Dove sei?». “Credete voi – rispose il Rav – che la Scrittura è eterna e che abbraccia tutti i tempi, tutte le generazioni e tutti gli individui?”. “Sì, lo credo”, disse. “Ebbene – riprese lo zaddik – in ogni tempo Dio interpella ogni uomo: ‘Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?’. Dio dice per esempio: ‘Ecco, sono già quarantasei anni che sei in vita. Dove ti trovi?’”. All’udire il numero esatto dei suoi anni, il comandante si controllò a stento, posò la mano sulla spalla del Rav ed esclamò: “Bravo!”; ma il cuore gli tremava. Qual è il senso di questa storia? […] Il comandante chiede chiarimenti sul brano del racconto biblico che riguarda il peccato di Adamo. La risposta del Rabbi mira a questo, a dirgli: “Adamo sei tu. È a te che Dio si rivolge chiedendoti: ‘Dove sei?’”. Apparentemente non gli ha fornito nessun chiarimento sul significato del brano biblico in quanto tale. Ma in realtà la risposta illumina sia la situazione di Adamo nel momento in cui Dio lo interpella, sia la situazione di ogni uomo in ogni tempo e in ogni luogo. Infatti, non appena si renderà conto che la domanda biblica è indirizzata a lui personalmente, il comandante prenderà necessariamente coscienza della portata dell’interrogativo posto da Dio: “Dove sei?”, sia esso rivolto ad Adamo o a chiunque altro. Ogni volta che Dio pone una domanda di questo genere non è perché l’uomo gli faccia conoscere qualcosa che lui ancora ignora: vuole invece provocare nell’uomo una reazione suscitabile per l’appunto solo attraverso una simile domanda, a condizione che questa colpisca al cuore l’uomo e che l’uomo da essa si lasci colpire al cuore. (Martin Buber, Il cammino dell’uomo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle dela Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Luglio 2018ultima modifica: 2018-07-01T22:15:06+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo