Giorno per giorno – 20 Ottobre 2017

Carissimi,
“Radunatesi migliaia di persone a tal punto che si calpestavano a vicenda, Gesù cominciò a dire anzitutto ai discepoli: Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto” (Lc 12, 1-2). Stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, ci dicevamo che, da noi, non c’era proprio il rischio di calpestarci a vicenda per il piccolo numero che si era, e aggiungevamo che, forse, chissà, i numeri diminuiranno, col tempo, pure per l’insieme della chiesa, anche per via di quel processo di secolarizzazione in atto un po’ ovunque, di cui si parla tanto. Ma, circa il calpestarsi a vicenda, certo, il più delle volte, solo metaforico, non siamo poi cosí sicuri che venga meno, indipendentemente dagli spazi che diventano disponibili. “Nella casa di mio Padre ci sono molte dimore”, diceva Gesù, ma lo spirito di competizione e l’ambizione di potere possono spingere a volerle occupare tutte. Forse il lievito dei farisei è anche questa smania di protagonismo, travestito di religioso (anche nella sua versione laica di perbenismo), che può contagiare tutti gli ambienti, famiglia, societa, chiesa, e, in questa, dalla sacristia, al presbiterio in ogni suo ordine e grado, ai monasteri, fino e soprattutto alle curie e alla curia romana. Perché questo desiderio insistente di volersi imporre con la propria verità particolare, di voler ad ogni costo dare la zampata finale? Che rimane del sogno-progetto di Gesù circa i suoi discepoli (ne avevamo letto nel vangelo dell’altro ieri), in cui lo stile delle relazioni – semplicità, povertà, pace, trasparenza – arriva a definire il più vero contenuto? Riusciremo a restare immuni da questo virus che pretende giudicare-condannare – a volte da dietro le quinte – ogni altra esperienza a partire dalla propria prospettiva, sacrificando il non-giudizio che ci è chiesto dal Signore Gesù, inviato non per giudicare il mondo, ma per salvarlo?

Il calendario ci porta oggi la memoria di Raimundo Hermann, prete e martire a difesa degli indios, in Bolivia, Jerzy Popiełuszko, prete e martire della Solidarietà; Soeur Emmanuelle Cinquin, straccivendola per solidarietà.

Raimundo Hermann era un prete statunitense, parroco a Marochata, in Cochabamba (Bolivia). Quando il 20 ottobre 1975 lo trovarono morto assassinato, nella sua parrocchia, aveva quarantacinque anni. Stava aiutando i contadini a organizzarsi in cooperativa per commercializzare le patate che coltivavano. Ma questo avrebbe contribuito a smantellato la rete di potenti intermediari, che avevano nelle autorità locali i loro referenti naturali. Subito dopo il fatto, il vescovo di Cochabamba emise una dichiarazione che sottolineava la dedizione pastorale del sacerdote e l’amore e la venerazione che la sua gente nutriva per lui; nel condannarne l’assassinio, chiedeva poi che si facesse prontamente giustizia. L’autore materiale del delitto fu arrestato, ma riuscì a scappare di prigione e non fu più trovato.

Jerzy Popiełuszko era nato in una famiglia contadina, il 14 settembre 1947, a Okopy, nella provincia di Bialystok. Ordinato prete dal cardinal Stefan Wyszynsky il 28 maggio 1972 a Varsavia, fu destinato alla parrocchia di san Stanislao Kostka, assumendo come incarico pastorale anche quello di cappellano alla Facoltà di medicina. All’agosto 1980 risale il suo coinvolgimento in Solidarnosc (Solidarietà), il movimento sindacale, nato un anno dopo la visita di papa Woytila. E fu solo per caso. I dipendenti delle acciaierie di Varsavia in sciopero avevano chiesto alla curia che un prete andasse da loro a celebrare la messa. P. Jerzy era libero e ci andò. Quella messa, di fronte alla fabbrica, dove gli operai avevano eretto una grande croce, cambiò la vita del giovane prete, che si rese conto, come del resto accadeva altrove nel mondo, sotto dittature di altro colore o sotto le false democrazie borghesi, che le lotte dei lavoratori per giustizia e libertà costituivano una vera e propria battaglia spirituale. Divenne così il cappellano dei lavoratori in sciopero. Quando nel dicembre 1981, il governo dichiarò la legge marziale e migliaia di membri e di simpatizzanti di Solidarnosc furono arrestati, l’attività di Popiełuszko incluse subito l’assistenza ai prigioniri e alle loro famiglie. Nello stesso tempo, attraverso i suoi “sermoni patriottici” che attiravano folle immense, sottolineava la dimensione morale e spirituale della causa di Solidarietà. Quando il governo dichiarò che questo non era affare della Chiesa, P. Jerzy rispose: “La missione della Chiesa è di stare con la gente, condividendone gioie e dolori”. Minacce, attentati, arresti si susseguirono, senza che egli si lasciasse intimorire. La sera del 19 di Ottobre 1984, di ritorno da un servizio pastorale, padre Popieluszko veniva rapito. Sotto la pressione popolare, il governo avviò immediatamente le indagini, che portarono in pochi giorni, il 30 ottobre, alla scoperta dei colpevoli, tre funzionari del ministero dell’interno polacco: Grzegorz Piotrowski, Wademar Chmelewski, Leszek Pekala. Rei confessi, dichiararono che la mattina del 20 ottobre, dopo aver picchiato selvaggiamente il prete, l’avevano legato, ne avevano appesantito il corpo con pietre e l’avevano lanciato ancora vivo in una cisterna. Oggi la tomba di Popiełuszko presso la Chiesa di san Stanislao Kostka è diventata meta di continui pellegrinaggi.

Madeleine Cinquin era nata a Bruxelles, seconda di tre figli, il 16 novembre 1908, da padre francese e madre belga. Nel settembre 1914, visse il trauma di assistere alla morte per annegamento del padre. In seguito confesserà: “Nell’inconscio, la mia vocazione data da quel momento. Ho cercato l’assoluto, non l’effimero”. Entrata nel 1929 tra le suore di Notre-Dame de Sion, dopo la laurea alla Sorbona, insegnò per quarant’anni a Istanbul, Tunisi e Alessandria, in scuole che offrivano insegnamento di qualità ai figli delle classe agiate dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Nel 1971, la svolta della sua vita, con la decisione di condividere la propria vita con quella degli straccivendoli del Cairo. La religiosa lascerà l’Egitto, ventidue anni più tardi, a ottantacinque anni, facendo ritorno in Francia, per dedicarsi a una vita di preghiera e di meditazione, senza comunque abbandonare il suo aiuto a molteplici situazione di povertà in diverse parti del mondo e l’appoggio a senzatetto e immigranti irregolari nel suo Paese. È scomparsa il 20 ottobre 2008, a Callian, in Francia, quando mancava poco meno di un mese al suo centesimo compleanno.

I testi che la liturgia odierna porpone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.4, 1-8; Salmo 32; Vangelo di Luca, cap.12, 1-7.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordoso.

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di una pagina di Suor Emmanuelle, tratta dal suo ultimo libro che ha come titolo “Confessioni di una religiosa” (Jaca Book). È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ecco la mia fortuna: ho potuto accedere alla nuova corrente missionaria della Chiesa, la cui priorità non è più di arrivare, crocifisso in mano, per battezzare popolazioni cosiddette barbare – sogno della mia infanzia -, ma di adottare una prassi di rispetto e di comprensione. Il cardinale Bea parlava in questi termini ai padri del Concilio Vaticano II, insistendo sul fatto che bisogna “riconoscere i valori spirituali e morali che esistono in ogni religione e stimarne sinceramente gli adepti”. In occasione dei miei soggiorni in Turchia, Tunisia, Egitto, ho avuto così la grazia di entrare in rapporto con l’islam e le sue ricchezze interiori. Nelle nostre cordiali conversazioni, raramente ho parlato della mia fede con i miei amici, intellettuali o straccivendoli, che condividono la religione di Maometto. La deferenza per le nostre reciproche convinzioni è sempre stata alla base dei nostri rapporti. Le barriere vengono abbattute soprattutto dall’amicizia. Nel mondo musulmano vi è purtroppo un corrente fanatica, una minoranza, certamente, ma terribilmente attiva che danneggia molto l’islam. Il Corano chiede, infatti, di rispettare i “popoli del Libro”, ebrei e cristiani, i seguaci della Bibbia. Nella preghiera del musulmano, il prostrarsi del corpo aiuta l’anima a riconoscersi “piccola” davanti a Dio, Allah, “il Misericordioso dei Misericordiosi”. Nulla di terreno farà distogliere lo sguardo centrato sull’Eterno. Io a volte, nel silenzio della mia stanza, accordo la mia preghiera con quella dell’islam: mi prostro, fronte a terra, perduta nel mio nulla, unita con i miei fratelli musulmani. Faccio passare la nostra adorazione attraverso il cuore di Cristo, Salvatore dell’umanità. Quando la religione è concepita in quest’ottica, offre una reciproca dilatazione. Le mie ex allieve di Istanbul mi hanno ultimamente invitato in Turchia. Mi hanno accompagnato, cristiane e musulmane insieme, a pregare al santuario di Efeso dedicato a Maryam Ana, la Vergine Maria, il cui culto é approvato dal corano. Abbiamo cantato all’unisono: “Salam, Salam, lêki ya Meryem”, l’Ave Maria di Lourdes. Io che avevo un po’ smarrito il senso del “completamente Altro”, ho ricevuto dall’islam una nuova luce sulla trascendenza di Dio. Ho così capito meglio questo inno del Breviario: “Tu, che sei al di sopra di ogni cosa, / Solo Tu sei ineffabile / Solo Tu sei inconoscibile. / Il desiderio universale, / L’universale gemito si innalza verso di Te”. (Suor Emmanuelle, Confessioni di una religiosa).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Ottobre 2017ultima modifica: 2017-10-20T22:07:38+02:00da fraternidade
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