Giorno per giorno – 08 Agosto 2017

Carissimi,
“Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario” (Mt 14, 22-24). Prove generali di come sappiamo cavarcela nell’assenza di Gesù. E, come rischiò di finire male allora, così ogni volta. La barca su cui ci ordina di salire, non è probabilmente solo la chiesa, come si è portati a pensare, è già la comunità umana lanciata verso il futuro (“l’altra sponda”). Dopo che Lui ci ha insegnato, mostrandecelo nel segno del pane condiviso, in cosa dovrebbe consistere il convivere umano. E noi ce lo dimentichiamo così facilmente, che si resta presto preda dei marosi, le forze di morte, che segnano l’esilio a cui abbiamo condannato Dio, senza più sapere come governare la barca. Il rischio è che noi, anche se lui prende l’iniziativa di presentarsi, lo si scambi per un fantasma, per ciò che non è, immagine di un dio che incute paura, invece che riflesso del Padre che non può cessare di amarci e che ci vorrebbe tutti fratelli. A questo punto c’è solo bisogno di qualcuno che si faccia animo e che, credendo davvero che l’ Io-sono di Dio si dà soltanto nella forma del Gesù che si è dato a conoscere, accetti l’avventura impossibile di farsi incontro a lui che ritorna a noi, scontando qualche sempre possibile crisi di fede, cui si porrà rimedio con l’invocazione che è anche il nome e il fondamento di ciò in cui si crede – “Signore, salvami!” o semplicemente “Gesù!”, che è “Dio-salva”. Dopo di che, ricuperato Dio e il suo significato alla nostra navigazione, potremo procedere in tutta tranquilità la nostra traversata. Fino alla prossima volta.

Oggi la Chiesa le memorie di Domenico di Guzman, fondatore dei Frati Predicatori, di Bonifacia Rodríguez Castro, fondatrice delle Serve di san Giuseppe, e di Maria Elena MacKillop, fondatrice delle suore di san Giuseppe del Sacro Cuore di Gesù.

Nato nel 1170 a Caleruega, nella Vecchia Castiglia (Spagna), quando, a 15 anni, ancora studente, viene a contatto con le miserie causate dalle continue guerre e dalla carestia, Domenico vende le suppellettili della propria stanza e le preziose pergamene per costituire un fondo per i poveri. A chi gli esprime stupore per quel gesto risponde: “Come posso studiare su pelli morte, mentre tanti miei fratelli muoiono di fame?”. Terminati gli studi, a 24 anni, il giovane entra tra i “canonici regolari” della cattedrale di Osma, dove viene consacrato sacerdote. Desideroso di recarsi in missione tra le popolazioni pagane, accetta tuttavia dal papa Innocenzo III l’incarico di dedicarsi a predicare contro la diffusione dell’eresia albigese, in Francia. Assieme ad alcuni amici fonda nel 1215 l’ordine dei frati predicatori. Convinto che il maggior ostacolo alla conversione sia la ricchezza materiale di gran parte del clero, decide che il suo ordine viva in povertà e semplicità. Negli ultimi anni, l’Ordine dimentica il primitivo impegno ad usare la “logica della persuasione e non della forza” per convincere le persone della verità cristiana, tanto che molti dei suoi frati diventano membri attivi dell’Inquisizione. Sfinito dal lavoro apostolico ed estenuato dalle grandi penitenze, Domenico muore il 6 agosto 1221, circondato dai suoi frati, nel convento di Bologna. Lungo i secoli molti dei suoi seguaci sarebbero stati esempio di difesa dei diritti dei più poveri, di impegno per la giustizia sociale, di testimonianza all’Evangelo del Regno, fino al dono della vita.

Bonifacia Rodríguez Castro era nata a Salamanca (Spagna) il 6 giugno del 1837 da Maria Natalia e Juan, una coppia di artigiani, profondamente religiosi. Terminati gli studi elementari imparò il mestiere di cordonaia e all’età di quindici anni, in seguito alla morte del padre, si recò a lavorare come operaia, per aiutare la madre a sostenere la famiglia. Potè così sperimentare, in prima persona, le dure condizioni di lavoro del tempo. Dal 1865, Bonifacia e sua madre, rimaste sole, si dedicarono a una vita di profonda pietà. Con un gruppo di ragazze di Salamanca, attratte da questa testimonianza di vita, decisero di fondare un’associazione che si prendesse a cuore le condizioni della donna lavoratrice. L’incontro con il gesuita catalano Francisco Javier Butinyà, giunto a a Salamanca nell’ottobre del 1870 con una grande preoccupazione apostolica verso il mondo della classe operaia, incise radicalmente nella vita di Bonifacia. Fu infatti su sua ispirazione che la donna fondò la congregazione delle Serve di San Giuseppe, nei cui laboratori, guidati dalla spiritualità della casa di Nazareth, le suore lavorano come operaie lato a lato di donne povere che non avevano lavoro. Da subito, tuttavia, la fondazione fu vista con sospetto e suscitò l’opposizione del clero di Salamanca, che ottenne l’allontanamento di P. Butinyà, il trasferimento del Vescovo che aveva dato la sua approvazione all’istituto e alla congregazione nuovi statuti e una nuova direzione, con suore che scelsero di essere maestre e non operaie. Per Bonifacia seguirono anni di umiliazioni, rifiuto, disprezzo e calunnie, sopportati in umiltà e silenzio. Emarginata dalla congregazione che aveva fondato, aprì a Zamora, col permesso del vescovo, una nuova comunità, fedele all’intuizione originaria. Lì, circondata dall’affetto delle sorelle e della gente di Zamora che la venerava come una santa, morì, l’8 agosto del 1905. Solo nel gennaio del 1907, la casa di Zamora si vide riconosciuta e si riunì al resto della Congregazione, come Bonifacia aveva fino all’ultimo sperato.

Maria Elena MacKillop (conosciuta in seguito come Madre Maria della Croce) era nata a Fitzoroy (Australia) il 15 gennaio 1842, figlia primogenita di una coppia di immigrati scozzesi. Benché desiderasse, fin dalla prima giovinezza, abbracciare la vita religiosa, dovette ritardare la realizzazione del suo sogno, per sopperire alle necessità della famiglia. Nel 1860 ricevette l’incarico di insegnante a Penola nell’odierno Stato dell’Australia Meridionale, dove incontrò padre Giuliano Tenison Woods, che divenne il suo padre spirituale, e con cui poco dopo fondò la Congregazione delle Suore di S. Giuseppe del Sacro Cuore di Gesù, con la missione di aprire scuole per i bambini poveri. Maria Elena andò ad insegnare per quattro anni a Portland nello Stato di Vittoria per ritornare a Penola nel 1866 dove aprì una scuola cattolica per ragazzi poveri, coadiuvata da un primo gruppo di ragazze che aderirono alla sua opera di carità. Nel 1867 aprì una seconda scuola ad Adelaide e altre ancora in breve tempo, mentre aumentava il numero delle consorelle e l’attività della congregazione si estendeva fino a comprendere l’assistenza agli orfani, ai poveri e ai vecchi. Nel 1870 la MacKillop e le sue consorelle denunciarono gli abusi di cui si era reso responsabile un certo padre Keating: le accuse furono provate e il prete venne rispedito in Irlanda (ufficialmente, per abuso d’alcol). Il vescovo della diocesi di Adelaide, monsignor Sheil, anziano e ammalato, si lasciò però convincere dal vicario generale Charles Horan (amico e collega del prete pedofilo) a intervenire con severità contro le Sorelle, cambiando le regole della congregazione. Di fronte al rifiuto della giovane fondatrice e superiora, il vescovo la scomunicò per insubordinazione. Dopo un anno, tuttavia, lo stesso Sheil, ormai prossimo alla morte, revocò la scomunica. In seguito, una commissione episcopale riabilitò completamente la religiosa. L’approvazione della congregazione da parte di Leone XIII giunse, infine, nel 1888. Debilitata nel fisico per gravi malattie, pur essendo rimasta indomita nello spirito, la madre Maria della Croce morì l’8 agosto 1909 a Sydney. È stata canonizzata a Roma da papa Benedetto XVI .

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dei Numeri, cap.12, 1-13; Salmo 51; Vangelo di Matteo, cap.14, 22-36.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, proponendovi una citazione di Timothy Radcliffe, ottantaquattresimo successore di san Domenico, alla testa dell’Ordine dei Predicatori dal 1992 al 2001. Il brano è tratto da un’intervista concessa a Guillaume Goubert, riportata nel libro “Testimoni del Vangelo” (Qiqajon). Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La chiesa, per sua stessa natura, non può escludere definitivamente nessuno. Essa è il segno dell’unità di tutto il genere umano, vuole radunare tutti gli uomini nel Regno. Essa non può che dire: “Venite, venite alla casa del Padre”. Ma, detto questo, la strada da percorrere sarà molto differente a seconda delle persone. Cercando di semplificare al massimo, si può dire che ci siano due tipi di ragioni per cui ci si può trovare in una situazione di tensione con la chiesa. Ci sono persone le cui concezioni e i cui atteggiamenti sono improntati all’odio: penso a tutte le forme di razzismo, contro i neri, gli ebrei, gli omosessuali… tutti i modi per dire: “Quello non è mio fratello”. In casi del genere l’atteggiamento della chiesa non deve avere nulla di ambiguo. Possiamo incontrare persone che professano quelle opinioni, discutere con loro, cercare di convincerle. Ma non dobbiamo dire nulla che possa far pensare che il loro comportamento è, sia pure in minima parte, compatibile con l’evangelo. L’odio è fondamentalmente incompatibile con la nostra fede. Ci sono poi altre persone che sono in difficoltà con la chiesa, non perché odino, ma perché vivono una relazione che non è conforme al suo insegnamento. È il caso delle coppie di fatto, dei divorziati risposati, degli omosessuali… Anzitutto bisogna riconoscere che al cuore di questa relazione c’è il loro amore. Ora, ogni amore, proprio in quanto amore, è buono, è spazio della presenza di Dio. Il punto di partenza essenziale è il desiderio di amare di queste persone. Dobbiamo riconoscerlo e attribuirgli valore. L’insegnamento morale della chiesa non deve mai consistere nel dire alle persone che non devono amare qualcuno, ma semplicemente nel cercare di aiutarle ad amare meglio. Non c’è amore umano che non abbia bisogno di guarigione, che non abbia bisogno di essere condotto alla maturità e alla pienezza. Questo vale anche per le coppie sposate. Se vogliamo far scoprire a tutte queste persone in che senso la dottrina morale della chiesa è “buona notizia”, dobbiamo andare loro incontro, frequentare le loro case, lasciarci coinvolgere nel loro affetto. Dobbiamo comprendere la loro visione del mondo, il modo che hanno di parlarne, imparare da loro. Allora troveremo il modo giusto per esporre loro la dottrina della chiesa. L’amicizia di Dio per l’umanità è proprio al cuore dell’evangelo. Proprio per questo noi possiamo esprimere le nostre convinzioni solo in un contesto di amicizia. (Timothy Radcliffe, Testimoni del Vangelo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Agosto 2017ultima modifica: 2017-08-08T20:58:28+02:00da fraternidade
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