Giorno per giorno – 30 Marzo 2017

Carissimi,
“Le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato” (Gv 5, 36-38). È sempre il discorso che segue la guarigione del paralitico in giorno di sabato e la polemica che essa ha suscitato tra i severi custodi della Legge e il Maestro che pretende esserne l’interprete autorevole, capace di individuare, anzi di incarnare, al di là della lettera, il senso piú vero e profondo. Quel senso che è precluso a chi, orgogliosamente, si chiude nel suo sapere, senza disporsi all’ascolto della voce del Padre, che addita nella persona del Figlio la rivelazione ultima della sua Verità, già allusa nelle antiche Scritture, ma che, solo adesso, trova il suo compimento e ne permette, perciò, la comprensione piena. Questo vale anche per noi, oggi, e giudica la qualità delle nostre opere, a partire dal grado di conformità alla maniera di essere e di agire di Gesù. Stasera, ci dicevamo che, nella primavera ecclesiale, che ci è dato sperimentare e vivere con il ministero di papa Francesco (anche se resta pur sempre vero che non basta una rondine a far primavera), risulta facile identificare gli arcigni difensori di una tradizione che, lungi dal radicarsi nel Vangelo, si fa, in una logica tutt’affatto mondana, culto e affermazione di se stessa, e chi invece ripropone come rinnovato lieto annuncio, nella sua sconcertante debolezza e nudità, l’evento e la persona di Gesù di Nazareth, che, a tutti coloro che sanno accoglierlo, si dona come forza di liberazione, energia di cura, partecipazione alla vita divina. A noi la scelta di campo.

Il calendario ci porta oggi le memorie di Thea Bowman, sorriso negro di Dio, e di Karl Rahner, teologo del rinnovamento della Chiesa.

Bertha Bowman era nata il 29 dicembre 1937, a Yazoo City, nel Mississippi. Suo nonno era stato schiavo, suo padre, Theon Edward, era medico, e sua madre, Mary Esther Bowman, insegnante. Era cresciuta a Canton, nello stesso Stato, dove il padre esercitava la sua professione. A nove anni, l’8 giugno 1947, aveva deciso di passare dalla chiesa metodista a quella cattolica. L’esperienza che avrebbe deciso del suo futuro si ebbe quando i genitori l’iscrissero alla scuola del Bambino Gesù, retto dalle Suore Francescane della Perpetua Adorazione, a La Crosse, nel Wisconsin. Cinque anni dopo, infatti, decise di entrare nella congregazione delle sue maestre. E sarebbe stata l’unica suora negra tra tanti visi pallidi. Entrando in noviziato, nel 1956, scelse il nome di Thea (“di Dio”). Scrisse in quell’occasione: “Io prego solo di apprendere ad amare qualcuno così tanto da poter dare tutto con gioia, mai sotto la pressione delle circostanze. Penso che riuscirò, con l’aiuto della grazia di Dio, a dedicarmi alla salvezza e alla perfezione della mia anima e a promuovere il benessere del mio prossimo, solo se imparerò a vivere con entusiasmo, a rallegrarmi in Dio mio Salvatore, a svegliarmi ogni mattina sorridendo a Dio”. Negli anni che seguirono Thea cercò di restare sempre fedele a quel programma, sia durante i lunghi anni di insegnamento che quando, a partire dal 1980, fu chiamata a porre la sua intelligenza brillante, la bella voce e la personalità coinvolgente, più direttamente a servizio della diffusione del Vangelo. Un giorno rimarcò sorridendo: “Beh, se alle donne non è ancora permesso di predicare nelle chiese cattoliche, questo non impedisce loro di predicare in qualsiasi altro posto”. A volte, davanti a uditòri ben più affollati di quelli che è dato incontrare alle funzioni domenicali e, chissà, forse con risultati maggiori! Sicché per qualche anno Thea animò, nel Paese e all’estero, in Nigeria, Kenya, Canada, Hawaii, assemblee vivaci e movimentate, in cui si mescolavano drammatizzazioni, canti, predicazione del Vangelo e preghiere e dove, ogni volta, gli spettatori diventavano attori. Il tutto con l’intento non ultimo di far cadere le barriere razziali e culturali, e incoraggiare le persone a comunicare tra loro per scoprire, conoscere e amare il mondo degli altri. Nel 1984, le fu diagnosticato un tumore al seno, terminale alle ossa. Thea non si lasciò abbattere: per cinque anni, fino alla fine, continuò a partecipare alle sue gioiose riunioni, anche se su una sedia a rotelle. Morì a cinquantatre anni, il 30 marzo 1990.

Karl Rahner era nato a Freiburg, in Germania, il 5 marzo 1904, in una famiglia tradizionale cattolica. Nel 1922, come aveva già fatto tre anni prima il fratello maggiore, Hugo, decise di entrare nella Compagnia di Gesù. Ordinato sacerdote nel 1932, fu mandato a studiare filosofia all’Università di Friburgo, dove seguì i seminari tenuti da Martin Heidegger, il cui pensiero, assieme a quello di Kant, avrebbe esercitato un’influenza determinante sull’evoluzione del nostro. Da allora, la vita di Rahner trascorse tutta, almeno apparentemente, centrata sullo studio, la riflessione e l’insegnamento di tematiche teologiche. Insegnerà per vent’anni all’università di Innsbruck, per succedere poi a Romano Guardini all’università di Monaco di Baviera, e concludere infine la sua docenza, nel 1973, all’università di Münster, in Vestfalia. Nel 1965, alla chiusura del Concilio Vaticano II, a cui aveva partecipato attivamente come perito, fondò con Edward Schillebeeckx, Hans Küng, Gustavo Gutierrez e altri, Concilium, la rivista teologica tra le più autorevoli a livello mondiale, vero e proprio laboratorio di dialogo ecumenico e interreligioso. Dopo il 1973, operò come professore onorario alla Scuola superiore di filosofia dei Gesuiti a Monaco di Baviera, fino a quando, nel 1982, si trasferì a Innsbruck. Lí morì poche settimane dopo il suo ottantesimo compleanno, il 30 marzo 1984. Di sé aveva detto: “Non so cosa cosa sia successo alla mia vita. Non sono stato io a dirigere la mia vita; io ho lavorato, scritto, insegnato, ho tentato di fare il mio dovere e di guadagnarmi da vivere. In questa maniera ordinaria, giorno per giorno, ho cercato di servire a Dio – ecco!”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Esodo, cap.32, 7-14; Salmo 106; Vangelo di Giovanni, cap.5, 31-47.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Per stasera, è tutto. Nel congedarci, vi offriamo in lettura il brano di una preghiera di Karl Rahner, dal titolo: “Dio della mia vita”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Con te voglio parlare. E di chi posso parlare se non di te? C’è cosa che non sia dall’eternità presso di te, che non abbia la patria nel tuo spirito e nel tuo cuore la sua prima sorgente? E perciò tutto quanto io posso dire è sempre un parlare di te. E tuttavia in questo parlare, sommesso e timido, tu intendi sempre un parlare di me, sebbene di te solo io vorrei far parola. Perché, che posso dire di te, se non che sei il mio Dio, Dio della mia origine e del mio tramonto, Dio del mio gaudio e della mia afflizione, Dio della mia vita? Si, anche nell’adorare in te l’Altissimo che non ha bisogno di me, che sta lontano sopra questa valle dove si snoda il mio cammino, ti chiamo pur sempre Dio della mia vita. E, saresti tu il Dio della mia vita, se non fossi che il Dio della mia vita? E se io adoro te, Padre, Figlio e Spirito, se confesso il mistero tre volte santo della tua vita, celato così nell’abisso della tua infinità che nessuna traccia ne possiamo rinvenire nella creazione…, m’avessi tu rivelato questo mistero della tua vita, pure potrei io confessare te Padre, e te Verbo eterno del cuore del Padre, e te Spirito del Padre e del Figlio, se la tua vita non fosse divenuta mia vita nella grazia, se proprio tu, Trinità divina, non fossi per grazia il Dio della mia vita? Dio della mia vita! Ma che ho poi detto chiamandoti, Dio mio, Dio della mia vita? Senso della mia vita? Meta del mio cammino? Santità delle mie opere? Giudizio dei miei peccati? Amarezza delle mie ore amare e il più segreto dei miei gaudi? Mia forza, che prostri nell’impotenza quella forza che viene da me? Datore di essere, di vita e di grazia? Vicino e lontano? Incomprensibile? Dio dei miei fratelli, Dio dei miei padri? C’è nome ch’io non ti debba dare? E che avrò poi detto quando te li abbia dati tutti? Se dalla soglia della tua infinità avrò gridato nelle lontananze senza vie del tuo essere tutti insieme i nomi che nella povertà del mio piccolo mondo io posso raccogliere, mai avrebbe fine il mio dire di te, mio Dio. (Karl Rahner, Dio della mia vita).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-30T22:03:48+02:00da fraternidade
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