Giorno per giorno – 13 Marzo 2017

Carissimi,
“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6, 36-38). Pagina da brivido, questa che abbiamo ascoltato oggi (ma forse questo si può dire di tutto il Vangelo). Su cui ci verrebbe di passar oltre in fretta, per non correre il rischio di perderci, lasciandoci prendere al laccio, e coinvolgendoci in una logica che non appartiene a questo mondo. Strana questa figura del Padre misericordioso, che parrebbe una contraddizione in termini, per l’esperienza che, spesso, almeno qui da noi se ne ha, in un contesto in cui, senza voler generalizzare, si oscilla tra i due estremi: di assenza o di presenza autoritaria, violenta e prevaricatrice. Che, così, diventa la maniera più naturale di pensare anche Dio. E, invece, Dio, no, non si vuole così, anche se le Scritture, dalla loro, si sono sforzate (concediamo che sia stato per una forma di rozza pedagogia o di parziale cecità), di proporcelo così. Gesù ci presenta Dio come Padre materno (con viscere di madre), e solo così. La perfezione che nel vangelo di Matteo è predicata di Dio, riceve qui il nome di misericordia. A vivere la quale, siamo, come figli, chiamati anche noi. E se avessimo ancora qualche dubbio o perplessità sul come praticarla, Gesù ci suggerisce di fare, appunto, come fa Dio: non giudicare né condannare nessuno, e perdonare sempre. Così si entra e si permane nella vita di Dio. Un buon esercizio per questa quaresima.

Oggi, il calendario ci porta la memoria di Marianela García Villas, martire per i diritti umani in El Salvador.

Marianela era nata nel 1949 in El Salvador da una colta famiglia borghese di origine spagnola. Ed è in Spagna, a Barcellona, che Marianela viene mandata a studiare. Il collegio le offre l’opportunità di dedicarsi, oltre agli studi curricolari, anche ad attività di catechesi con i bambini di un quartiere di periferia. Lì, per la prima volta, la ragazza tocca con mano la vita di stenti e di privazioni cui molti dei suoi bambini e le loro famiglie sono condannati. Tornata in Salvador, Marianela si iscrive alla Facoltà di Diritto. Diventa sempre più consapevole della grave situazione di ingiustizia che regna nel Paese e cerca come può di studiarne e approfondirne le cause. Entra nell’Azione cattolica universitaria e successivamente nella gioventù democristiana, col desiderio di combattere l’ingiustizia strutturale che concentra la ricchezza nelle mani di pochi e lascia i più in balia della miseria. Nello stesso tempo si dedica gratuitamente alla difesa d’ufficio degli imputati più poveri. Nel 1975 è eletta all’Assemblea Legislativa. Nominata membro della Commissione parlamentare del “Benessere sociale”, assume come compito quello di indagare sui soprusi commessi dalle forze armate nei conflitti in atto tra contadini e militari. Sequestri, torture, eccidi diventano, ogni volta di più, cronaca quotidiana. L’azione di Marinela è volta al ripristino della legalità. Crea la Commissione per i Diritti Umani del Salvador, la cui finalità è di fare chiarezza sui fatti di sangue, creando inoltre un archivio dei desaparecidos. Marianela viene sequestrata, torturata, violentata e poi rilasciata. Riprende subito il suo lavoro, con immutata passione. Neppure l’assassinio di mons. Romero di cui era amica e collaboratrice, la fermano. Cresce ancor di più il suo impegno all’interno della Commissione: ora si dedica a documentare fotograficamente gli eccidi del regime, recuperare i cadaveri, ricostruirne le dinamiche di morte, ricomporli, fotografarli e seppellirli. Scaricata dalla Democrazia Cristiana che ormai appoggia la dittatura, con la speranza di andare al potere, il 13 marzo 1983, Marianela viene catturata, brutalmente torturata e uccisa dalle Forze governative nelle campagne del Salvador.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Daniele, cap.9, 4b-10; Salmo 79; Vangelo di Luca, cap.6, 36-38.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Oggi sono quattro anni di papa Francesco. La cui elezione e il cui ministero hanno significato uno spirare forte del soffio del Vangelo, Buona Notizia capace di incarnarsi ogni volta in gesti concreti di cura, ascolto, accoglienza, comprensione, dialogo, misericordia, perdono scambievole, come anche di denuncia e appello a conversione. Che il Signore ce lo conservi a lungo.

E prendendo spunto dall’anniversario della sua elezione, nel congedarci, vi proponiamo un brano dell’Esortazione Apostolica Postsinodale di Papa Francesco “Amoris Laetitia”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Amare significa anche rendersi amabili, e qui trova senso l’espressione aschemonei. Vuole indicare che l’amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel tratto. I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi. Detesta far soffrire gli altri. La cortesia “è una scuola di sensibilità e disinteresse” che esige dalla persona che “coltivi la sua mente e i suoi sensi, che impari ad ascoltare, a parlare e in certi momenti a tacere”. Essere amabile non è uno stile che un cristiano possa scegliere o rifiutare: è parte delle esigenze irrinunciabili dell’amore, perciò “ogni essere umano è tenuto ad essere affabile con quelli che lo circondano”. Ogni giorno, “entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. […] E l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore”. Per disporsi ad un vero incontro con l’altro, si richiede uno sguardo amabile posato su di lui. Questo non è possibile quando regna un pessimismo che mette in rilievo i difetti e gli errori altrui, forse per compensare i propri complessi. Uno sguardo amabile ci permette di non soffermarci molto sui limiti dell’altro, e così possiamo tollerarlo e unirci in un progetto comune, anche se siamo differenti. L’amore amabile genera vincoli, coltiva legami, crea nuove reti d’integrazione, costruisce una solida trama sociale. In tal modo protegge sé stesso, perché senza senso di appartenenza non si può sostenere una dedizione agli altri, ognuno finisce per cercare unicamente la propria convenienza e la convivenza diventa impossibile. Una persona antisociale crede che gli altri esistano per soddisfare le sue necessità, e che quando lo fanno compiono solo il loro dovere. Dunque non c’è spazio per l’amabilità dell’amore e del suo linguaggio. Chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano. Vediamo, per esempio, alcune parole che Gesù diceva alle persone: “Coraggio figlio!” (Mt 9,2). “Grande è la tua fede!” (Mt 15,28). “Alzati!” (Mc 5,41). “Va’ in pace” (Lc 7,50). “Non abbiate paura” (Mt 14,27). Non sono parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano. Nella famiglia bisogna imparare questo linguaggio amabile di Gesù. (Papa Francesco, Amoris Laetitia, n. 99-100).

Ricevete l’abbraccio dei vistri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-13T23:03:41+01:00da fraternidade
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