Giorno per giorno – 06 Dicembre 2016

Carissimi,
“Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda” (Mt 18, 14). È la conclusione della parabola della pecora smarrita. Ragione della venuta, cioè, dell’avvento, del Figlio di Dio. Se non ci fossero perduti, se noi per primi non ci fossimo perduti, significherebbe che qui regna già Dio e suo figlio non avrebbe avuto bisogno di scendere allora o di tornare adesso, ad ogni momento, per mostrare cosa c’è di sbagliato, normalmente in quelli che si considerano giusti, quando c’è qualcuno che si perde. Pecore smarrite del gregge di Cristo sono coloro che non vedono realizzata per loro l’annuncio della felicità dei poveri di tutti i tipi, ma lo sono, e forse anche più, coloro che si credono salvi, ma che sono causa dell’infelicità altrui. A vario titolo: per la loro supponenza, intolleranza, ipocrisia, indifferenza, avversione, incapacità di condivisione, per il loro disprezzo, mancato ascolto, stile di vita, sfruttamento, arricchimento, egoismo. Così, pecore perdute possono essere, spesso, gli stessi pastori. Degli uni e degli altri, se stiamo davvero seguento i passi di Cristo, dobbiamo sentirci responsabili. É questo attenzione e compagnia dei piccoli, ultimi e peccatori, noi stessi tali, che ci fa chiesa di Cristo.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Nicola di Mira, pastore; di Grigol Peradze, presbitero e martire della dittatura naziasta ad Auschwitz; e di Raoul Follereau, amico dei lebbrosi.

Nicola nacque probabilmente, intorno al 270, a Pàtara di Licia, in Asia Minore (attuale Turchia). Eletto vescovo di Mira, nella stessa Licia, partecipò nel 325 al Concilio di Nicea. Morì il 6 dicembre dell’anno 343 e fu sepolto fuori le mura della città. Il suo culto, anche per la fama di protettore dei poveri e di taumaturgo che l’aveva accompagnato in vita, si diffuse ben presto in tutta l’Asia Minore e la sua tomba divenne centro di pellegrinaggi. Il 9 maggio 1087, le spoglie del santo, sottratte alla città di Mira con un’incursione di marinai baresi, vennero trasportate a Bari, che lo volle da allora come suo patrono.

Grigol Peradze era nato il 13 settembre 1899, nel villaggio di Bakurtsikhe, nella Georgia orientale, figlio del prete Romanoz Peradze. Dopo gli studi in seminario, il giovane si iscrisse alla Facoltà di filosofia di Tbilisi, ma l’invasione della Georgia da parte della Russia Sovietica, il 25 febbraio 1921, lo convinse a continuare gli studi in Germania, all’università di Bonn, dove si laureò nel 1926. Nel 1931 Grigol fu ordinato presbitero nella Cattedrale ortodossa di Londra; subito dopo fondò, a Parigi, la chiesa di Santa Nino e cominciò a pubblicare la rivista scientifica “Jvari Vazisa”, dedicandosi nel contempo alla ricerca e all’insegnamento in diversi Paesi. Notevole fu il suo contributo alla conoscenza dei Padri della chiesa georgiani, nonché il suo impegno in campo ecumenico. Peradze era ordinario della cattedra di Patrologia all’università di Varsavia, quando la Polonia, nel 1939, fu invasa dalle truppe tedesche. La solidarietà nei confronti degli ebrei perseguitati e l’attività febbrile per porne in salvo il maggior numero possibile portarono al suo arresto, da parte della Gestapo, il 4 maggio 1942. Inviato nel campo di sterminio di Auschwitz, il 6 dicembre dello stesso anno, si offrì di entrare nella camera a gas, al posto di un ebreo, padre di una numerosa famiglia, al quale permise così di avere salva la vita. Grigol Peradze è stato canonizzato dalla Chiesa ortodossa georgiana nel 1995

Nato il 17 agosto 1903 a Nevers, in Francia, da una famiglia di industriali, Raoul Follereau incontrò nel 1918 Madeleine Boudou, che divenne la compagna di tutta la vita. Dopo aver studiato Diritto e Filosofia, nel 1935, compiendo un viaggio in Africa, come giornalista, sulle orme di padre De Foucauld, visitò un villaggio di lebbrosi, ad Adfzopé, in Costa d’Avorio. Questo incontro gli cambiò la vita. Nel 1946 promosse il Natale del Padre de Foucauld e fondò L’Ordine della Carità, che in seguito diverrà la Fondazione Raoul Follereau. Nel 1953 con il denaro raccolto nel corso delle sue conferenze venne inaugurata ad Adzopé la città dei lebbrosi, per offrire ai malati la possibilità di uscire finalmente da un’emarginazione secolare. Da allora, Follereau girerà il mondo per raccogliere fondi al fine di combattere il flagello della lebbra, ma anche per denunciare le altre ‘lebbre’ che ne sono all’origine: l’ingiustizia, l’ipocrisia, la povertà, lo sfruttamento, la corsa agli armamenti ed ogni atteggiamento di indifferenza e di egoismo. Morì a Parigi il 6 dicembre del 1977.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.40, 1-11; Salmo 96; Vangelo di Matteo, cap.18, 12-14.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

È tutto, per stasera. E, prendendo spunto dalla memoria di Grigol Peradze, noi ci congediamo, offrendovi in lettura il brano di una riflessione del vescovo ortodosso Hrisostom di Braniecevo, che troviamo sotto il titolo “Fedeli nel piccolo” nel sito di “Tradizione Cristiana. Vita e Ascesi in Cristo”. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Quando noi, uomini piccoli e medi, cominciamo a meditare sul mondo, sulla vita e su noi stessi, ci capita alle volte di provare compassione di noi stessi. Tutta la nostra esistenza scorre in minuscole esperienze ed in piccole opere, che neppure si notano nel corso generale della vita. Porteremo a termine la nostra esistenza e lasceremo dietro di noi una traccia insignificante solo nello stretto ambito in cui ci siamo mossi. Un bel giorno ci spegneremo per questo mondo senza avergli dato nulla che sia significativo e duraturo. Le persone, che ci conoscevano, ci ricorderanno ancora per qualche tempo nel bene o nel male e poi poco a poco ci dimenticheranno. Quando sarà trascorsa una ventina d’anni dalla nostra morte, sarà difficile che qualcuno si ricordi di noi sulla terra. È vero, siamo piccoli e le nostre opere sono insignificanti per il mondo, ma non sempre Dio misura le cose come noi uomini. Poiché per noi, esseri insignificanti, è morto il Cristo, il quale ci ha chiamati suoi piccoli fratelli e, nei limiti delle nostre forze, ci ha dato il consiglio di essergli fedeli nel piccolo (Lc 16, 10). Finché si mosse per la terra, il Cristo dimostrò grande amore proprio per i piccoli e per le persone insignificanti. […] Non dobbiamo quindi rattristarci perché forse non potremo lasciare al mondo opere grandi e perché il nostro prossimo non avrà alcuna cura di ricordarci. A Dio è sufficiente che gli siamo fedeli nel nostro piccolo: nell’adempimento leale dei nostri compiti quotidiani, nell’assiduo adempimento di quei piccoli obblighi che Dio ci ha assegnato e che abbiamo preso su di noi. Infatti che significato ha il pensare a grandi opere e continuamente tralasciare le piccole occupazioni che Dio ci manda ogni giorno: di aiutare qualcuno, di confortare, di dare prova di buona volontà e di affetto nei confronti di coloro con i quali ci incontriamo nella vita? Che significa starsene a pensare dell’amore per tutto il mondo e non sopportare neppure quelle poche persone che ci sono più vicine ed aver sempre un vicino o una vicina, un cugino o una cugina con cui non parliamo? Siamo fedeli a Dio nel piccolo e non aspettiamoci nella vita grandi trionfi. Tutto ciò che è fatto con buona volontà e con cuore puro Dio accetta come il più grande dono, anche se ciò è insignificante agli occhi del mondo. (Hrisostom, vescovo di Braniecevo, Fedeli nel piccolo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Dicembre 2016ultima modifica: 2016-12-06T22:48:38+01:00da fraternidade
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