Giorno per giorno – 20 Novembre 2016

Carissimi,
“Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi! L’altro invece lo rimproverava dicendo: Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male” (Lc 23, 39-41). Vangelo difficile, quasi una provocazione per la mentalità comune, questo che la liturgia ci propone per la solennità della regalità di Gesù. Eppure non ce ne potrebbe essere uno più adeguato e più vero. Con buona pace di quanti hanno fatto della buona notizia di Gesù la variante trionafalista di una qualsiasi religione. Gesù aveva iniziato il suo ministero, proclamando la beatitudine dei poveri, perché di essi “è” il regno di Dio. E Lui, come figlio di Dio, che, quella sovranità ha preteso di incarnare, non poteva che “rappresentarla” così: crocifisso nudo tra due, forse della banda di Barabba (era Barabba che doveva essere crocifisso con loro al posto di Gesù), o chissà cosa d’altro, ma comunque dei poco di buono, di quelli che qui si usa dire, con un’espressione che fa accapponare la pelle, se si pensa che a pronunciarla sono spesso dei sedicenti cristiani, “bandito buono è un bandito morto”; quindi gli ultimi dei poveri, i quali, anche se spesso hanno perso tutto, almeno hanno salvato l’onore. Loro, invece, hanno perduto anche quello. E Lui, se sta lì, è perché, l’onore, l’ha perso pure Lui e il suo Dio. Ovvio lo scandalo dei curiali di allora e di oggi e l’accusa di bestemmia e di un pericoloso svuotamento della Legge. Ora, se Gesù si trovava lì, non era perché intendesse giustificare le malefatte dei due e degli infiniti altri come loro, ma per far loro sapere che Dio, almeno Lui, si prende sul serio, e se gli è capitato di scegliere i poveri come suo popolo, lo è per sempre, senza guardare troppo per il sottile. Sapendo di che argilla sono (e siamo) fatti e che sogni li (e ci) fa sognare il mondo. Gli stessi di ricchi e potenti, solo che questi li traducono in realtà con i crismi della legalità. I banditi, compresi quei due, si sono dovuti e si devono arrangiare, fuori della legge. Sperando di arricchire e giungere a controllare una qualche forma di potere, pensando così di potersi salvare. E invece. E, comunque, ora c’era Dio, l’oggetto più vero e nascosto di ogni desiderio umano, lì al loro fianco. Crocifisso con loro. Bestemmiato dai notabili e dal clero del tempo. Che non avevano niente a che fare con Dio. Né, spesso, ci hanno a che fare oggi. Gesù, da parte sua, non rimbrotta quello che è chiamato il “cattivo ladrone”, che fa poi quella che è la preghiera di noi tutti: liberaci , guariscici, salvaci, e salva così anche il tuo onore di Dio, mostrando che sei potente. Conferma, però, l’intuizione dell’altro, che non chiede nulla per sé e si preoccupa di Dio che, innocente, è lì, crocifisso con loro. Come a dire: “Ragazzo mio, in questo tuo dimenticare te stesso e farti dono, tu sei già, da oggi, con me, nel paradiso di Dio”. Festa della regalità di Nostro Signore e, se vogliamo della regalità di noi tutti. Sia pure da ladroni.

Oggi, XXXIV Domenica del Tempo Comune è la festa di Gesù Cristo, Amico e Servitore dei poveri, Signore dell’Universo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2° Libro di Samuele, cap.5, 1-3; Salmo 122; Lettera ai Colossesi, cap.1, 12-20; Vangelo di Luca, cap.23, 35-43.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Il 20 novembre, qui in Brasile, si celebra la Giornata Nazionale della Consapevolezza Negra. Che coincide con la memoria del martirio di Zumbi di Palmares e di tutti coloro che caddero per rivendicare il diritto della popolazione negra (ma non solo) di questo e di ogni altro continente a vivere in libertà una vita che si dispieghi in pienezza, bellezza e abbondanza. Che è poi il progetto del Regno.

Zumbi era nato nel 1655. Come molti altri negri nati in Brasile, aveva avuto una formazione cristiana. Educato da un sacerdote portoghese, che svolgeva il suo ministero a Porto Calvo, in Alagoas, a 15 anni era fuggito verso un quilombo, uno dei tanti villaggi, dove, lontani dai centri abitati, vivevano comunitariamente i negri (ma anche alcuni bianchi e indios) che erano riusciti a sottrarsi alla schiavitù. Nel quilombo di Palmares, Zumbi e i suoi compagni si educavano a convivere e a costruire relazioni basate sulla libertà, la giustizia, la collaborazione fraterna. I portoghesi si resero presto conto che Palmares stava diventando “pericolosa”, dato che molti, troppi africani, prendendolo ad esempio, costruivano sempre nuovi quilombos. Quando le incursioni dei portoghesi cominciarono ad intensificarsi, Zumbi organizzò la difesa di Palmares e ne guidò la resistenza. Dopo una resistenza durata oltre vent’anni, nel 1693 la repubblica di Palmares fu distrutta e i suoi villaggi rasi al suolo: migliaia di persone furono catturate e uccise. Zumbi scampò al massacro. Fuggito nella foresta, con pochi sopravvissuti, fece perdere le proprie tracce, rifugiandosi in un posto sicuro. Poco tempo dopo, uno dei suoi compagni catturato dai portoghesi svelò il luogo del suo rifugio. Gli fu tesa un’imboscata e Zumbi fu ucciso. La sua testa venne esposta nella piazza centrale di Macaco quello stesso giorno: il 20 novembre del 1695.

Il nostro calendario ci porta anche la memoria di Lev Tolstoj, profeta della nonviolenza.

Lev Nicolaevic Tolstoj nacque a Jasnaja Poljana, in Russia, il 9 settembre 1828 (28 agosto secondo il calendario giuliano), quarto figlio del conte Nikolaj Ilic e dalla principessa Marija Nikolaevna. Dopo anni di vita dissipata, inquietudini, viaggi, ma anche di molte letture che lo spinsero ad esordire nel mondo della letteratura, nell’autunno 1862 sposò Sof’ja Andreevna Bers, che gli darà 14 figli (di cui cinque morti in tenera età). Seguì la stagione la stagione dei grandi romanzi (Guerra e Pace, Anna Karenina). Nel 1879 cominciò a scrivere Confessione, storia della sua conversione ad un cristianesimo rigorosamente fedele al Vangelo e sempre più diffidente nei confronti delle chiese istituzionali. Tale posizione lo rese inviso alla gerarchia ortodossa, che nel 1901 lo scomunicò, ma richiamò l’attenzione di scrittori, scienziati, politici, religiosi, uomini comuni, di ogni parte del mondo, attratti dalla predicazione e dalla testimonianza del suo cristianesimo anarchico e radicale e dalla sua teoria della “non resistenza al male mediante la violenza”, che ispirerà in seguito il giovane Mohandas Gandhi. La crescente incomprensione e i dissidi con la moglie, a causa delle sue scelte esistenziali, lo portarono, il 10 novembre 1910, a fuggire di casa. Tre giorni dopo, febbricitante, dovette ricoverarsi nella casa del capostazione di Astapovo, dove morì assistito dalla figlia Alessandra, alle sei del mattino del 20 novembre 1910 (7 novembre del calendario giuliano). Una folla immensa, nonostante i tentativi messi in atto dalle autorità per contenerla, partecipò ai funerali.

È tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi a una citazione di Lev Tolstoj, tratta dal suo libro autobiografico “Confessione” (Freebook – Edizioni LibroLibero), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dalla vita di un uomo, dalle sue azioni, oggi come anche allora, non si può in alcun modo venire a sapere se egli è credente o no. Seppure vi è una differenza tra coloro che manifestamente professano l’ortodossia e coloro che la negano, essa non è certo a favore dei primi. Come oggi anche allora la dichiarata accettazione e professione dell’ortodossia per lo più si riscontrava in persone ottuse, crudeli e immorali, e che si ritenevano molto importanti. Mentre l’intelligenza, l’onestà, la rettitudine, la coscienza morale per lo più si incontravano in persone che si riconoscevano non credenti. (Leone Tolstoj, Confessione).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairrro.

Giorno per giorno – 20 Novembre 2016ultima modifica: 2016-11-20T20:47:11+01:00da fraternidade
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