Giorno per giorno – 14 Settembre 2016

Carissimi,
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3, 16-17). Questo, ci dicevamo stasera, è uno dei vangeli da brivido. Cui non si dovrebbe aggiungere altro, per non rischiare di velarne la bellezza. Celebra Dio che consegna suo Figlio – cioè il suo sé, la sua verità, nella storia – nelle mani degli uomini, sapendo che potranno ucciderlo – lo fanno ancora, ogni volta -, e la sua risposta è sempre la stessa: tu mi uccidi ed io, nondimeno, ti salvo. Perché questa é la legge interna dell’amore. Non può essere altrimenti. Dio si è scelto da sempre così. Chi crede questo è già entrato nella vita di Dio. Che comporta, qui ed ora, anche la sua morte. Di fronte a questa verità che accetta di scomparire, perché non possa essere invocata per far violenza a chicchessia, anche solo limitandone la libertà, e nessuno perciò soccomba ad essa, che vuole invece solo la vita e vita piena di tutti, appaiono in tutta la loro tronfia inconsistenza le nostre pretese di imporci e di imporla (!) sugli altri. Celebrazione della morte di Dio per la nostra salvezza, ma anche lutto di Dio per la morte di ognuno dei suoi figli e figlie, in cui, ad opera di chiunque la si compia, si dà la sua più vera negazione. Dio, oggi, o meglio, ogni giorno, ci affida la missione del Figlio: amare il mondo, in ogni sua espressione, compresa quella di chi si vuole nostro nemico, non semplicemente “come” noi stessi, ma oltre e di più. Ed è il significato della sua Croce.

Oggi, celebriamo la festa dell’Esaltazione (o dell’Allegria) della Croce.

Un’antica tradizione vuole che, durante il regno di Costantino, sua madre, Elena, si sia recata in Palestina a cercare i luoghi più significativi della nostra fede. Avendo localizzato, uno vicino all’altro, quelli che ritenne essere i luoghi della crocifissione e sepoltura di Gesù (localizzazione che gli archeologi moderni ritengono verosimigliante), costruì lì la Basilica del Santo Sepolcro, che fu consacrata il 14 settembre dell’anno 335. La coincidenza con i giorni in cui gli ebrei celebravano la festa di “Simchat Torah” (la “Gioia della Torah”), che commemorava il dono della Legge, ne fece in qualche modo il suo corrispondente cristiano, la festa gioiosa per il dono della nuova Legge, la Croce, simbolo dell’amore che abbraccia il mondo intero.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della festa odierna e sono tratti da:
Lettera ai Filippesi, cap. 2,6-11; Salmo 78; Vangelo di Giovanni, cap. 3,13-17.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

Alle 23:50 dell’altro ieri il Congresso poneva fine alla carriera politica – revocandogli il mandato parlamentare per manifesta indegnità -, a Eduardo Cunha, che era stato obbligato a dimettersi, lo scorso mese di luglio, dall’ufficio di presidenza della Camera. Cunha, nel già di per sé vergognoso panorama politico del nostro Paese (se non altro, per l’alto numero di inquisiti per i più vari reati), costituiva uno dei più loschi e inquietanti personaggi. Contando su una fitta rete trasversale di corruzione e di ricatti, si era reso protagonista di torbide manovre parlamentari, in sistematica opposizione all’esecutivo, di cui per altro il suo partito (PMDB) costituiva base d’appoggio, manovre che hanno largamente contribuito a portare il Paese in una situazione di ingovernabilità. Ciò che ha pesato, tuttavia, a determinarne la decadenza, sono state le accuse di integrare lo schema di corruzione dell’ ente statale del Petrolio, nonché il comprovato trasferimento di favolosi capitali in banche svizzere e, decisivo, il fatto di aver ripetutamente mentito di fronte alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sullo scandalo Petrobras. Il voto palese ha segnato la sua condanna. Cunha era stato all’origine del processo che ha portato all’impeachment della Presidente Dilma (praticamente per “non” aver commesso il fatto che le veniva imputato), motivato, a giudizio unanime, dalla volontà di vendicarsi di non essere stato salvato dalla messa in stato d’accusa dai voti del Partito dei Lavoratori. Oggi, con un tempismo e uno spettacolarità non proprio consona alla serietà e severità dell’azione giuriziaria, il team di procuratori che si occupa dello scandalo Lava Jato, ha illustrato la richiesta di rinvio a giudizio dell’ex-presidente Lula, di sua moglie Marisa, e di altri sei personaggi, legati a vario titolo all’entourage dell’ex-presidente, per corruzione passiva e riciclaggio, sulla base di prove che molti giuristi ritengono del tutto inconsistenti. Più probabile si tratti di un’operazione “politica”, volta ad impedire che Lula possa ricandidatarsi alle presidenziali del 2018, con un programma di governo inviso alle elite, che non gli perdonano la politica di inclusione sociale, che ne caratterizzò i precedenti governi. Staremo a vedere.

È tutto, per stasera. E noi ci si congeda qui, proponendovi un brano del bel libretto di Olivier Clément “Il potere crocifisso. Vivere la fede in un mondo pluralista” (Qiqajon). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’uomo che s’identifica al crocifisso, riceve la forza del risorto: “lo mi compiaccio negli oltraggi, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). Nella tradizione degli anawim, e più in particolare di Amos, di Geremia, di molti salmi, i “miti”, i “poveri”, gli “umili” dell’Antico Testamento sono chiamati “beati” nelle Beatitudini, perché fanno posto a Dio in se stessi, perché offrono uno spazio allo Spirito santo. Per questo Maria, nel suo cantico di lode, celebra gli “umili”, quelli che si sono svuotati per Dio, aperti a Dio, e che egli ha potuto innalzare proprio mentre rovescia i “potenti” dai loro troni, troppo appesantiti e troppo pieni di sé, troppo ricchi, nei quali egli non può trovare spazio. Il potere di Cristo, potere della fede e dell’umiltà, si esprime come servizio. Il testo decisivo, su questo punto, è quello di Lc 22,25-27: «Egli disse: “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande fra voi diventi come il più piccolo, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve”». Il potere “che serve” diventa, nel senso etimologico della parola, autorità; auctoritas viene dal verbo augere che significa far maturare, far crescere. Cercare di sottomettersi a ogni vita per farla crescere in pienezza. La vittoria di Cristo sulla morte trasforma al fondo del nostro essere l’angoscia in gratitudine. I padri della chiesa, specie i padri ascetici, rivelano che le due “passioni-madre” sono l’avidità e l’orgoglio, queste risorse del potere decaduto, e più in profondità ancora, “la paura nascosta della morte”. Ma se siamo veramente risuscitati nel Risorto, se la morte è già alle nostre spalle, sepolta nelle acque del battesimo, allora non abbiamo più bisogno né di schiavi né di nemici per proiettare su di loro la nostra angoscia e il nostro desiderio di essere Dio: Dio, noi lo siamo umilmente in Cristo, siamo cioè capaci di amare. (Olivier Clément, Il potere crocifisso. Vivere la fede in un mondo pluralista).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Settembre 2016ultima modifica: 2016-09-14T22:29:14+02:00da fraternidade
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