Giorno per giorno – 11 Dicembre 2014

Carissimi,
“Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11, 12). Giovanni era in prigione a causa di quel primo annunzio con cui aveva inaugurato il suo ministero: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2 ). E di ciò che ne era seguito: le folle al seguito, la crescente popolarità, l’ostilità nei confronti dei circoli sacerdotali e scribali, le denuncie degli abusi dei potenti, la previsione di un imminente terrificante giudizio. Che ci introdurrà nel regno, le relazioni nuove poste sotto la sovranità di quel Dio che da sempre è sensibile alle sofferenze dei suoi poveri, attento al loro clamore e pronto a cospirare per liberarli e condurli a un destino in cui posssano godere di pace, giustizia, fraternità e vita piena. Anche oggi, il regno di Dio subisce violenza, più o meno apertamente, ogni volta che la logica dell’affermazione di sé prende il sopravvento, attraverso l’oppressione, lo sfruttamento, l’impoverimento e l’esclusione dell’altro. Nel vangelo di oggi Gesù ci avverte: a questa violenza dobbiamo opporne un’altra e più grande: quella su noi stessi, per praticare una giustizia che superi quella semplicemente religiosa di scribi e farisei (cf Mt 5, 20), per forzarci ad imboccare la porta stretta e la via angusta che questo esige (cf Mt 7, 13), per testimoniare con zelo missionario e in povertà i segni della cura nei confronti dei bisognosi e della comunione con il fratello (cf Mt 10, 6 ss); per aver forza sufficiente per far fronte alle persecuzioni (cf Mt 10, 16 ss). E così via, fino alla violenza estrema del dono della vita. Anche a questo intende richiamarci l’Avvento.

Oggi è memoria di François de L’Espinay, testimone profetico del dialogo interreligioso con le religioni afro-brasiliane.

François era nato il 7 novembre 1918 in Vandea (Francia), gemello di Pierre (che sarebbe divenuto generale). Entrato in seminario nel 1934, fu prigioniero per cinque anni dei tedeschi durante la guerra. Ripresi gli studi, fu ordinato prete l’11 luglio 1948. Sin dall’inizio del suo ministero parrocchiale scelse la compagnia dei più semplici, poveri ed emarginati dalla società e dalla chiesa. A partire dal 1954 fu cappellano militare (figura di cui solo in seguito si è stati in grado di questionare la maggiore o minore compatibilità con la scelta evangelica) in Indocina (1954-56) e in Algeria (1956-62), dove ebbe almeno modo di denunciare con fermezza le torture messe in atto dall’esercito colonialista francese. Tornato in patria per qualche mese, nell’agosto 1963 fu inviato in America Latina, dove per molti anni accompagnò i sacerdoti francesi come delegato del CEFAL (Comité épiscopal France Amérique Latine) e dove, con Ivan Ilich, fondò il Centro inter-culturale di Cuernavaca, in Messico. Nel 1974 si trasferì a Salvador di Bahia e lì cominciò la stagione del suo lavoro e della sua comunione di vita con gli afro-brasiliani. Conobbe e cominciò a frequentare alcuni terreiros (luoghi di culto) di Candomblé e, dopo tre o quattro anni, fu scelto come mogbá, membro del consiglio di Xangô, nell’Ilê Axé Opô Aganju. Si approfondiva così un cammino di solidarietà materiale e spirituale con i fedeli del terreiro e una esperienza del tutto singolare: un prete accettava di essere iniziato in un terreiro, non come ricercatore, ma per condividerne la fede. Sopraggiunse infine l’ora della prova e della sofferenza con un tumore che progressivamente l’avrebbe immobilizzato. Pienamente cosciente delle sue condizioni, scrisse: “So già almeno approssimativamente l’orario del treno e voglio approfittare di questo tempo che mi resta per scrivere e porre il più chiaramente possibile le questioni che le religioni diverse dalla nostra ci pongono”. Il focoso François visse gli ultimi mesi nella pace e nella serenità preparandosi all’Incontro definitivo. Morì l’11 dicembre 1985.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.41, 13-20; Salmo 145; Vangelo di Matteo, cap.11, 11-15.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano del messaggio che Michel Quoist, in qualità di Primo Segretario del Comité épiscopal France Amérique Latine (CEFAL), inviò per i funerali di François de L’Espinay. Lo troviamo nel libro “François de l’Espinay. Prêtre dit le Baron” (Les amis du Baron) ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
François, tu ci hai preceduto presso il Padre. Questo non mi stupisce, tu andavi sempre davanti e più in fretta di noi. Non è per te che scrivo questo messaggio, perché nella luce del Signore tu leggi nel nostro cuore come in un libro aperto. Tu sai dunque che stiamo soffrendo, che io personalmente sto soffrendo, perché abbiamo perduto un fratello. Scrivo queste righe, per coloro che ti accompagnano oggi con il loro affetto e le loro preghiere, e che devono ancora lavorare, arando e seminando il campo del Padre. Vorrei che – come me – custodiscano viva la tua testimonianza. François, ti ho amato molto e non sono il solo. Tutti i compagni preti venuti dalla Francia potrebbero dire lo stesso ed io te lo dico da parte loro. Non era difficile amarti, tu eri talmente disponibile, accogliente, rassicurante quando c’era bisogno. Sono numerosi coloro che sono venuti da te, carichi di piccoli o grossi problemi e pesi e che, stupiti, ripartivano con lo spirito, il cuore, e le mani libere. Miracolo del tuo buon senso, della tua “saggezza”, della tua bonomia e, in fondo, senza che questo apparisse, sempre e a modo tuo, miracolo della profondità della tua vita símplice con il Signore. No, non era difficile amarti. perché davanti a te, prima e soprattutto, ci si sentiva amati, e qualche cosa di Gesù Cristo, attraverso te, ci raggiungeva. François, io ti ho anche ammirato molto e sono sicuro che anche in questo non sono il solo. Non entrerò in dettagli su tutte le ragioni di questa ammirazione, sarebbe troppo lungo. Io ero in Francia, segretario generale del Comitato episcopale. Venivo in America latina, di passaggio, per dei rapidi giri. Tu eri sul posto il rappresentante del Comitato. Ci scrivevamo regolarmente, quasi tutte le settimane, per cercare di servire al meglio le Chiese dell’America latina e i nostri compagni preti. […] Ora, ecco il punto che vorrei sottolineare, io ti scrivevo sempre a un indirizzo diverso. Tu non avevi domicilio fisso, non avevi nessun domicilio. “Vagabondo del buon Dio”, tu viaggiavi senza sosta avendo come solo bagaglio la tua minuscola valigia e la tua piccola macchina da scrivere. Non possedevi nulla e spesso ho pensato che eri un vero discepolo di Nostro Signore, che sulla terra “non aveva una pietra su cui riposare il capo”. Tu avevi abbandonato tutto per seguirlo. Queste non erano parole o buoni sentimenti… era vero. È probabilmente una delle grandi ragioni – forse la più importante – per la quale il Signore, attraverso te, ha potuto fare grandi cose! François, grazie per la tua testimonianza. Ma noi abbiamo ancora bisogno di te. Non dimenticarci presso il Signore. Aiutaci a rispondere anche noi all’appello di Cristo, là dove Egli ci invita, là dove ci vuole, più liberi da tutto per fare il suo lavoro e non il nostro. (Michel Quoist, On se sentait aimé).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Dicembre 2014ultima modifica: 2014-12-11T22:10:53+01:00da fraternidade
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