Giorno per giorno – 06 Agosto 2014

Carissimi,
“Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui” (Mt 17, 1-3). Sei giorni dopo che cosa? La domanda ha lasciato un po’ spiazzate le poche persone con cui ci siamo ritrovati stasera nella chiesetta dell’Aparecida, anche perché il vangelo di oggi, per via della festa odierna, non è in progressione con quelli che si sono letti nei giorni scorsi. E, tuttavia una rapida verifica ce lo ha fatto presto scoprire. È sei giorni dopo il primo annuncio della passione. Cioè di quando, ma i discepoli non lo capiscono ancora, Gesù si darà via tutto, per amore. E accadrà, perché è venuto scoprendo cosa significa e cosa comporti l’essere Figlio del Padre. Lui, su un alto monte, c’era già stato. Quando all’inizio del suo ministero, ma poi anche ogni giorno, gli si era prospettata la possibilità concreta di divenire padrone del mondo, proprio come da sempre l’uomo immagina Dio. E Lui aveva rifiutato. Perché conosceva troppo bene il Padre per non sapere che era padre, appunto, e non padrone. E si era messo a raccontarlo in giro. Dicendo che questa era l’unica buona notizia che conta. Per tutti, meno che per i potenti, evidentemente, che sull’immagine di un dio (che sia menzionato o meno, poco importa) padrone del mondo avevano costruito e costruiscono le loro fortune. Ora, Dio ricambia Gesù per aver resistito alla tentazione, rendendogli in tal modo giustizia. E, proprio su “un alto monte”, agli amici intimi e più fidati che egli aveva, fa sentire la sua voce, come fosse stato di nuovo sul Sinai: questo è mio figlio, l’amato, di cui vado matto. Ascoltatelo. Se volete essere figli anche voi. A immagine del Padre. Gli altri sono ugualmente figli, ma un po’ discoli. Sul Sinai aveva detto dieci parole, qui gli basta mostrarne una. È il Dio che mostra da che parte stare. Svuotato di sé, per identificarsi definitivamente con tutti i crocifissi della storia. Finché ce ne sarà anche solo uno, Dio, nella persona del Figlio, sarà lì, appeso con lui. In attesa che ci decidiamo a schiodarlo. E quando l’avremo schiodato, avremo liberato il mondo e noi dal grande idolo che ci tiene schiavi. E sarà risurrezione. Il regno in pienezza. Il mondo cristificato.

Oggi il calendario delle Chiese d’oriente e d’occidente ricorda la Festa della Trasfigurazione di Gesù.

Istituita, probabilmente nel V secolo, nella chiesa siriaca per ricordare la dedicazione di una chiesa sul Monte Tabor, si estese successivamente alla Chiesa bizantina, nella Spagna mozarabica e nella liturgia monastica dell’Occidente. Il papa Callisto III, ne fissò la data al 6 agosto, per celebrare il fatto che in quel giorno, nel 1456, giunse a Roma la notizia della vittoria a Belgrado contro i turchi. Come dire, uno che non aveva capito nulla del mistero che celebrava. E il Buon Dio, che è misericordia infinita, per non smentirsi, non potè neanche fulminarlo. Come in un primo momento dev’esserGli venuto in mente di fare.

Il calendario ci porta anche la memoria di Paolo VI, il papa del Concilio.

La sera del 6 agosto 1978 moriva, a Castelgandolfo, il papa Paolo VI. Nato a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897, Giovanni Battista Montini, dopo aver prestato per molti anni i suoi servizi in Vaticano, fu nominato arcivescovo di Milano, il 1º novembre 1954, e poi eletto papa, il 21 giugno 1963, succedendo così a Giovanni XXIII. Alieno da ogni culto della personalità e, a livello personale, profondamente umile e schivo, seppe nondimeno condurre a termine il Concilio e avviare l’applicazione delle delibere conciliari, nonostante gli ostacoli e le incomprensioni che gli venivano da diversi fronti. Importante fu il suo contributo alla causa dell’ecumenismo e del dialogo, soprattutto con le Chiese orientali (storico fu il suo abbraccio con il Patriarca Athenagoras di Costantinopoli, a Betlemme, nel 1964) e con la Chiesa anglicana. Viaggiò molto per incontrare da vicino l’umanità al cui servizio si era votato. Né sempre ci riuscì, come inevitabilmente accade quando i governi si mettono di mezzo a fare da schermo a realtà scomode. Per loro. Scrisse numerose encicliche, tra cui ricordiamo qui l’Ecclesiam suam e la Populorum progressio, in cui denunciava l’iniquità dell’attuale modello di sviluppo, identificandosi con le speranze e le lotte dei poveri. Al card. Luciani, che gli sarebbe successo sulla cattedra di Pietro aveva confidato un giorno: “Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non già perché io abbia qualche attitudine o io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualcosa per la Chiesa e sia chiaro che Cristo, non altri, la guida e la salva. Il Papa ha le pene, che gli provengono anzitutto dalla propria insufficienza umana, quale ad ogni istante si trova di fronte e quasi in conflitto con il peso enorme e smisurato dei suoi doveri e della sua responsabilità. Ciò arriva talvolta sino all’agonia”.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività che celebriamo e sono tratti da:
Profezia di Daniele, cap.7, 9-10.13-14; Salmo 97; Vangelo di Matteo, cap.17, 1-9.

La preghiera del mercoledì è in comunione con con quanti, nei più diversi sentieri, operano in favore della pace, della giustizia e della fraternità dei popoli.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi una citazione di Paolo VI, tratta dal messaggio pronunciato al termine della sua ultima Via Crucis, il venerdì santo del 1978. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Noi vorremmo che quanti hanno seguito questo itinerario concedessero alla propria coscienza un istante di spontanea sensibilità, e avessero a sperimentare quel momento di commozione e di simpatia, che non può essere privo d’una prima gioia, quella di sapersi immeritatamente, immensamente amati. Questo è il mistero della Croce. È il mistero dell’amore di Dio, in Cristo per noi, per ciascuno di noi. San Paolo non cessa di ripeterlo: “Cristo amò me, e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20). E ancora: “Cristo vi ha amati e ha dato se stesso per voi” (Ef 5, 2). Quando eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Cf Rom 5, 10-11). Un amore preveniente (Gv 4, 10), un amore insuperabile (Ibid 15, 13). Un amore liberatore (Gal 4, 5), un amore gratuito (Ef 1, 6). Un amore sacrificale, “nel sangue di Cristo” (Gv 1, 7). Che ciascuno di noi … dica a se stesso le parole testè ricordate: Io sono stato amato fino alla morte da Cristo! Egli ha amato me, e ha dato se stesso per me! Provi ciascuno ad avere coscienza di questo vivo, personale, infinito amore rivolto da Gesù, Figlio del Dio vivente, alla singola persona che ciascuno di noi è: Io sono stato amato da Cristo così! Lo, può dire chiunque, il peccatore, l’incredulo, il debole, l’infelice; nessuno escluda se stesso, ma lasci che la dolce violenza dell’amore di Cristo per lui, proprio per lui, lo avvolga e lo vinca. La vittoria della Croce è la vittoria dell’amore di Cristo. È l’alba della luce, è la rifioritura della nuova vita, che verdeggia sul tronco salutifero della Croce. (Paolo VI, Messaggio al termine della Via Crucis, 24 marzo 1978).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Agosto 2014ultima modifica: 2014-08-06T22:37:35+02:00da fraternidade
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