Giorno per giorno – 03 Luglio 2014

Carissimi,
“Gesù disse a Tommaso: Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20, 29). L’esperienza delle apparizioni del Crocifisso risorto, così come narrate nei vangeli e richiamate da Paolo (cf 1Cor 15, 1-9), quale ne sia l’interpretazione da dare, fu un’esperienza di pochi, a cui la gran parte dei cristiani della prima ora dovette credere sulla parola. È dunque in primo luogo a loro, e in prospettiva anche a noi, che queste parole di Gesù si dirigono. Ma, cosa significa, in definitiva, credere nella risurrezione di Gesù? In cosa è diverso dal credere a chi ci viene a raccontare di aver visto un Ufo, o un fantasma? Tommaso, con la sua incredulità, ci aiuta a dare un segno, o una conferma, a ciò che avevano visto i suoi compagni, ai quali Gesù aveva già mostrato le mani e il costato. Se dunque mai ci restasse un dubbio, nella professione di fede di noi cristiani, il Risorto è il Crocifisso, il figlio di Dio, che reca indelebili nella sua carne i segni della sua identificazione con tutti i crocifissi della storia. Dio sta lì e lì ci attende. Non possiamo scantonare, rifugiarci in facili spiritualismi, e meno ancora risolvere tutto con la partecipazione a un qualche rito o con la pratica di qualche devozione. La fede, allora, è riconoscere Dio in quell’uomo che si è perduto, perché noi ci potessimo salvare, che ha accettato di morire, perché potessimo vivere, che ha scelto di diminuire sino a scomparire, perché noi crescessimo a immagine della divinità; è, insomma, entrare nella logica del servizio gratuito, del dono incondizionato di sé, del perdono e della riconciliazione, che costituisce insieme l’evento della Croce e quello di una continua risurrezione. Sapendo che aprirci a questa dimensione non equivale automaticamente a viverla. La strada sarà costellata da dubbi, rinnegamenti, tradimenti, ripensamenti. Ma, Lui, testardo, ci attenderà ogni volta al varco. E noi vergognosi e stupefatti potremo ripetere ancora il nostro: Mio Signore e mio Dio!

Se, oggi, si è letto questo vangelo, è a causa della memoria di Tommaso apostolo. Noi, assieme a lui, ricordiamo una grande figura di maestro del sec. XX : Bernard Häring, apostolo della non-violenza.

Israelita, Tommaso fece parte del gruppo dei dodici. Il suo nome appare nell’elenco fornito dai quattro evangelisti. Il Vangelo di Giovanni gli dedica un rilievo particolare. È lui che incita i discepoli a seguire Gesù e a morire con lui in Giudea (Gv 11,16). È lui che chiede a Gesu, durante l’ultima cena, sul cammino che conduce al Padre (Gv 14,5-6). Tommaso fa una singolare esperienza dell’incontro con il Cristo risorto (Gv 21,2). Temperamento coraggioso e pieno di generosità, percorre le tappe della fede e riconosce Gesù, il maestro che ha dato la sua vita per amore, come Dio e Signore (Gv 20,26-28). Una tradizione afferma che nella sua missione di evangelizzazione arrivò fino in India, dove sarebbe morto martire.

Bernard Häring era nato il 10 novembre, 1912 a Böttingen (Germania), da Johannes e Franziska Häring. Entrò dodicenne nel seminario di Gars-am-Inn e, nel 1933, iniziò il suo noviziato tra i Redentoristi. Ordinato sacerdote sei anni più tardi, dopo la parentesi bellica, riprese gli studi di teologia morale, a cui l’avevano destinato i superiori, conseguendo, nel 1947, il dottorato in Sacra Teologia nell’Università di Tübingen. Nel 1954 pubblicò la sua prima opera maggiore di teologia morale: La Legge di Cristo, in cui “proponeva una teologia morale incentrata sulla Bibbia, sulla liturgia, sulla cristologia e sulla vita”, opponendosi “risolutamente ad ogni legalismo che facesse di Dio un controllore anziché un salvatore di grazia”. Fu nominato da papa Giovanni XXIII membro della Commissione Preparatoria del Concilio Vaticano II e a lui si deve un decisivo contributo nella redazione del documento conciliare Gaudium et Spes. Nel 1979 gli venne diagnosticato un tumore alla gola, contro cui lottò coraggiosamente, senza mai perdere il suo spirito. Centrale nel suo magistero e nella sua testimonianza di vita i temi della pace, della non-violenza e del dialogo. Scrisse: “Non potrei perdonarmi, se non credessi di poter vivere il Vangelo dell’amore non-violento e se non lo predicassi come nucleo e apice della fede in Cristo, redentore del mondo”. Molto ebbe a soffrire per le incomprensioni e le censure da parte della gerarchia ecclesiastica, ma questo non gli impedì di scrivere alla vigilia della morte: “Amo la Chiesa così com’è, come anche Cristo mi ama con le mie imperfezioni e le mie ombre”. Si spense a Gars-am-Inn il 3 luglio 1998.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria dell’Apostolo Tommaso e sono tratte da:
Lettera agli Efesini, cap.2, 19-22; Salmo 117; Vangelo di Giovanni, cap.20, 24-29.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni trazionali indigene.

Oggi ricordiamo anche la drammatica scomparsa, avvenuta il 3 luglio 1995, a Firenze, di Alexander Langer, una delle personalità più ricche, profonde e, negli ultimi tempi, sofferte, della vicenda politico-culturale di fine secolo del vostro Paese. Vogliamo farlo citando le parole con cui, in un discorso tenuto a Viterbo, il 27 gennaio 1995, spiegava la sua proposta di rovesciare il motto olimpico (“citius, altius, fortius”) come segno di una cultura nuova preoccupata di ristabilire un rapporto armonioso con la natura e relazioni pacifiche e solidali tra gli uomini: “Invece di dire più veloce probabilmente abbiamo bisogno oggi di una svolta verso una maggiore lentezza (lentius). Invece di dire più alto, che è poi il massimo della competizione, io credo che possiamo puntare viceversa sul più profondo (profundius), cioè sul valorizzare più le dimensioni della profondità che significa tante volte rinunciare alla quantità, alla crescita, guadagnando in qualità. E invece di più forte oggi possiamo cercare invece il più dolce, il più mite (suavius): nei comportamenti collettivi ed individuali invece di puntare alla prova di forza, al massimo della competizione, si punti, anche in questo caso, sostanzialmente alla convivenza”.

Bene. Oggi, dom Eugenio, il nostro vescovo, compie settanta primavere. Durante il giorno si è dovuto moltiplicare per permettere a tutti di festeggiarlo adeguatamente, ovvero in tutta semplicità, come piace a lui. Mettetelo anche nelle vostre preghiere, perché continui ad essere pastore di questa chiesa, secondo il cuore del Padre.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui con una citazione di Bernard Häring, tratta dal libro da lui scritto a quattro mani con Valentino Salvoldi, dal titolo “Nonviolenza. Per osare la pace” (Edizioni Messaggero Padova). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Mi sento sempre felice se vedo padri, madri, che hanno un dialogo bello con i loro figli. Se il padre ascolta, risponde, gioca col bambino è già l’inizio di una salute psichica, è la premessa per una buona crescita. Così anche tutti noi dobbiamo saper ascoltare. Ascoltare quelli che non sembrano aver voce e comunicare a tutti i livelli non solo con le parole. Quando feci la terapia telecobaltica, c’era sempre un gruppo di dieci-quindici persone che aspettavano. C’erano anche numerosi bambini. Un ragazzo di nove anni, non accompagnato da nessuno, era contento quando poteva sedere accanto a me e sentire la mia partecipazione. Scrivevo, ogni giorno, nell’attesa, piccoli biglietti con una parola per ciascuno. Quando arrivò in quella sala di attesa una signora che dava a ciascuno un bel sorriso, le scrissi: “Il tuo sorriso, qui, vale più di un milione di dollari”. Il sorriso è già comunicazione, così pure un volto benevolo. Ogni gesto è comunicazione. Chi lavora a livello pastorale deve essere un uomo di ascolto, come dice il Servo di Jahvè: “Il Signore mi ha aperto le orecchie. Ogni mattina mi apre le orecchie, perché ascolti come un discepolo”. Si ascolta per imparare, per conoscere, per approfondire la capacità di compassione e di simpatia. Vorrei fare qui un accenno particolare. Ci sono tante persone, donne e uomini in pensione, che si sentono soli. Perché non visitano altre persone anziane per portare conforto, pregare con loro, rendere un piccolo servizio e ascoltare? E perché non li aiutiamo a prepararsi a tale “logoterapia”? (Bernard Häring, Nonviolenza. Per osare la pace).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Luglio 2014ultima modifica: 2014-07-03T22:04:12+02:00da fraternidade
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