Giorno per giorno – 23 Settembre 2011

Carissimi,

“Allora domandò loro: Ma voi, chi dite che io sia? Pietro rispose: Il Cristo di Dio. Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno” (Lc 9, 20-21). Già, non importa ciò che gli altri pensano di Gesù. Fin dai suoi tempi ciascuno pensa di lui quel che vuole: un semplice profeta, il Battista, l’Elia che doveva tornare, un imbroglione, un falso messia, come ce n’è tanti, e poi, in seguito, magari, un avatar, un guru, un marziano, l’inesistente. Ma noi? Il Cristo di Dio, dice Pietro. Senza crederlo ancora, probabilmente. O senza crederlo alla maniera giusta. Come quando uno dice a una ragazza: ti amo, ma poi viene il tempo in cui le rinfaccia: ti amavo per quel che non eri. Chi confessava allora il Messia, il Cristo di Dio,  doveva aver in mente, tra le tante, la profezia di Aggeo che la liturgia ci ha fatto ascoltare quest’oggi: “Ancora un po’ di tempo e io scuoterò il cielo e la terra, il mare e la terraferma. Scuoterò tutte le genti e affluiranno le ricchezze di tutte le genti e io riempirò questa casa della mia gloria, dice il Signore degli eserciti. L’argento è mio e mio è l’oro. La gloria futura di questa casa sarà più grande di quella di una volta; in questo luogo porrò la pace” (Ag 2, 6-9). Essere associati a questa prospettiva non era davvero niente male. Per questo Gesù, riprendendo i discepoli (epitimésas), sgridandoli, ordina loro di non dir niente a nessuno. Perché la verità di Dio, il suo Cristo, è altro.  È  la sua Croce. E sarà anche vero che, forzandone un po’ il senso, si possa arrivare a vedere nel Messia crocifisso la “ricchezza di tutte le nazioni” dell’oracolo profetico (la Vulgata latina tradurrà, con molta libertà “verrà il Desiderato di tutte le nazioni”), ma Gesù si preoccupa di mettere le cose da subito in chiaro: Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto ed essere rigettato da tutte le espressioni del Potere, ed essere messo a morte e risorgere il terzo giorno” (Lc 9, 22). E con Lui, da allora, le masse degli oppressi, rifiutati, esclusi, costituiscono la pietra angolare, a partire da cui, imprescindibilmente, può [ri]sorgere l’edificio nuovo della sua chiesa, sacramento del mondo altro, che realizza il sogno di Dio.  Ma, per noi, chi è Gesù, per davvero?     

 

Il nostro calendario ci porta la memoria di Francisco de Paula Victor, prete afrobrasiliano al servizio della carità.

 

23 Francisco de Paula Victor.jpgFrancisco de Paula Victor venne al mondo in un fienile della “senzala”,  (l’abitazione riservata agli schiavi del tempo), di una piantagione nel municipio di Campanha (Minas Gerais). Era figlio della schiava Lourença Maria de Jesus e di padre ignoto. Il piccolo fu presto preso a benvolere dalla padrona della fazenda, dona Mariana Bárbara Ferreira, che si preoccupò di alfabetizzarlo e istruirlo. Ammirata per le qualità morali del ragazzo e per la sua disposizione allo studio, la donna chiese che gli fosse consentito entrare in seminario a Mariana, offrendo per lui in dote metà della fazenda Conquista, di sua proprietà. È facile imaginare quali e quante, in un ambiente esclusivamente di bianchi, fossere le umiliazioni e soperchierie a cui il giovane fu sottoposto durante tutto il periodo degli studi. I suoi biografi attestano che, però, egli “seppe sempre comprendere, perdonare e amare coloro che l’offendevano”. Sapendo, poi, col tempo, conquistare tutti con la sua mitezza e docilità. Ordinato prete, esercitò per 53 anni il suo ministero nella parrocchia di Três Pontas, dove gli toccò subire le stesse difficoltà del seminario, riuscendo tuttavia anche in questo caso a superare le barriere del pregiudizio razziale e attirando ben presto a sé gli abitanti, non solo della parrocchia, ma dell’intera regione. La sua azione pastorale si caratterizzò soprattutto per l’attenzione nei confronti degli ultimi, visitando gli ammalati, ospitando gli invalidi, occupandosi, benché lui stesso fosse poverissimo, dei più poveri. Morì il 23 settembre 1905. La sua salma restò esposta per tre giorni, per ricevere il pellegrinaggio devoto e riconoscente della sua gente.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Aggeo, cap.1, 15b – 2,9; Salmo 43; Vangelo di Luca, cap.9, 18-22.

 

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

 

La vicenda di Francisco de Paula Victor ci ha riproposto il tema della schiavitù, di cui Dom Pedro Casaldáliga, il profetico vescovo della Prelazia de São Felix, scriveva tempo fa in questi termini: “In nome di un dio suppostamente bianco e colonizzatore, adorato da nazioni cristiane come se fosse il Dio e Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, milioni di negri sono stati sottoposti, per secoli, alla schiavitù, alla disperazione e alla morte. In Brasile, in America, nella Madre Africa, nel mondo”. La “Missa dos Quilombos” da lui scritta, nel 1982, assieme al poeta Pedro Tierra e musicata da Milton Nascimento, ha voluto essere, con grande “scandalo di molti farisei e sollievo di molti pentiti”, la confessione “davanti a Dio e alla Storia di questa grandissima colpa cristiana”. La “Marcha final” di questa Messa è l’illustrazione del “banzo”, il sentimento che spesso affliggeva lo schiavo africano; qualcosa di simile alla nostalgia, alla nostra “saudade”, ma in un senso più ampio, il riandare melanconico del pensiero alla terra perduta e alla cultura di cui era stato spogliato, ma anche, perciò, in positivo, ancora oggi, il sogno di una terra ritrovata, l’utopia e la lotta che la invera. La traduzione del testo che proponiamo ha dovuto lasciare giocoforza alcuni termini non tradotti, di cui diamo conto in nota, rendendone altri con i significati il più possibile affini. Ve lo proponiamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Sogno della Terra che sarà nostra, / sogno di tutti in Libertà, / sogno della vita che sarà un’altra, / sogno del Regno, la nostalgia più grande, / nostalgia in lotta per il Domani, / volontà dell’Aruanda[1] che un giorno verrà! / Nostalgia della Terra e dei Cieli, il sogno dell’Uomo, nostalgia di Dio.// Rinchiusi nella Notte, lungo Millenni, / forziamo ora le porte del Giorno. / Faremo un Popolo di ugualmente ribelli. / Faremo un popolo di uomini uguali. // Faremo di tutte le case /rifugi fraterni, nient’altro. / Faremo l’Utopia Negra / del nuovo Palmares[2] / nell’unica Casa Grande dei figli del Padre. // I Negri di Africa,  / gli Afro d’America, / i Negri del Mondo, / nell’Alleanza con tutti i Poveri della Terra. / Saremo il Popolo dei Popoli: Popolo riscattato, / Popolo liberato, / libero da signori, / schiavo di nessuno, / signori di noi stessi, / fratelli di signori, / figli del Signore! // Essendo Negro il Negro, / essendo Indio l’Indio, /  essendo ciascuno / come ci ha fatto / la mano di Olorum. //  Saremo altrettanti Zumbí, costruttori / di nuovi Quilombos[3]  amati. / Nei muri redenti / della nostra Città, / nei Campi, finalmente ripartiti, / nella Chiesa del re, / di nuovo del Popolo, / saremo la Legge, / della nuova Fratellanza. / Andremo vestiti / delle palme della Vita. / Avremo il colore dell’Uguaglianza. / Saremo l’esatta misura / della felice Dignità umana. // Berimbaus[4] della Pasqua daranno il ritmo / al piede quilombola del nuovo Toré[5]. / Per la terra intera  / insieme danzeremo / la nostra Capoeira[6]. / Saremo bandiera, / saremo foliões[7]. / Nel Nuovo Israele pianteremo / le tende dei figli del Santo. / I pianti, le grida, uniti in un canto / di cuori affratellati, / nella lotta e nella festa dell’anno intero. / Sul volto di ogni uomo sincero, / il marchio della tribù di Dio, / il Sangue, segno dell’Agnello. //  E nell’attesa del nostro Quilombo totale / –  l’alto Quilombo dei cieli –  / le braccia levate, i Popoli uniti / saranna muraglia alla Paura e al Male, / saranno rifugio dell’Aurora ridestata / negli occhi del Popolo, / della Terra liberata / nel Quilombo Nuovo! (Pedro Casaldáliga, Pedro Tierra, Milton Nascimento, Missa dos Quilombos, Marcha final de banzo e esperança).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  




[1]L’ancestrale Madre-Africa.

[2]La repubblica di “quilombos”, sorta nel XVII secolo, in Alagoas,  teatro della resistenza eroica, fino alla morte, che il leader negro Zumbí oppose  ai bandeirantes portoghesi.

[3] Villaggi creati dagli schiavi fuggiti dai loro proprietari, dove essi potevano finalmente vivere in libertà. Qui è perciò sinonimo di “spazi di libertà” in attesa del “Quilombo total”, il Regno dei cieli che verrà.  

[4]Strumenti musicali a corda di origine africana.

[5]Danza sacra.

[6] Un’arte di tipo marziale,  sviluppatasi tra gli antichi schiavi africani,  che unisce lotta, danza e musica.

[7]Coloro che accompagnano con canti e danze cortei a carattere religioso o profano.

Giorno per giorno – 23 Settembre 2011ultima modifica: 2011-09-23T23:51:00+02:00da fraternidade
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