Giorno per giorno – 28 Novembre 2010

Carissimi,

“Verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2, 3-4).  È come Isaia vede “la fine dei giorni” (v.1), quanto “tutte le genti” affluiranno al “monte del tempio del Signore”. E dice proprio “tutte” le nazioni, nessuna esclusa. Anche Michea farà  riferimento alla stessa visione (Mi 4, 1-4). E, se sono in due ad affermarlo, la cosa dev’essere proprio vera. L’Avvento si apre dunque così, con questo sogno di Dio, dato che i profeti non raccontano i pensieri e i desideri degli uomini, ma quelli di Dio, appunto. Per questo l’Avvento è un bel tempo, quello in cui ci si abbandona a quel sogno. Il Vangelo, però, si preoccupa di mantenerci con i piedi per terra, e lo fa attraverso il “discorso escatologico”, che noi abbiamo già ascoltato nei giorni scorsi nella versione di Luca, e che oggi ci è stato proposto in quella di Matteo. Quale sia e se vi sia un nesso tra questo testo e quella visione profetica è tutto da scoprire. Stamattina, nella chiesetta dell’Aparecida, in sette hanno ricevuto la prima Eucarestia. Dopo una preparazione di due anni. E vai a sapere cosa gli passasse davvero per la testa e in cuore. A loro e ai famigliari,  amici e vicini, che hanno occupato, come succede di rado, tutti i posti a sedere. A cui è toccato sentire, in questo giorno di festa, la storia del diluvio, che “inghiottì tutti”. E “così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo” (v.39). E uno pensa che ci si riferisca a quell’inghiottimento generale. Mentre si riferisce al fatto che tutti “mangiavano e bevevano e prendevano moglie e marito” (v. 38).  E Lui arriva nel bel mezzo, quando capita, e nelle forme più diverse e impensate. Anche in una prima Comunione, se arriviamo a capirlo. O, nella millesima, se non ci avevamo mai pensato prima.  O in una parola del Vangelo che ci segna. O nel povero che bussa alla tua porta. Da voi non bussano più, lo sappiamo, qui invece non abbiamo ancora inventato i mezzi per tenerli lontani. Però, forse sulla porta della chiesa riescono ancora ad importunare anche voi. Gesù che importuna, capite? È quasi una bestemmia. E “due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato” (v.40). E uno si chiede: perché io? O: perché lui, o lei? Così piccolo, poi! Già, lo chiederà anche Pietro, a proposito di Giovanni: E lui? Lascia perdere: è il nostro incontro ora. Il primo di tanti, o forse già l’ultimo e definitivo. Stamattina ci dicevamo che l’invito a  vegliare (v.42) o a svegliarci dal sonno, come suggerisce Paolo (Rm 13, 11), significa in qualche modo anticipare nella nostra storia il compimento del sogno di Dio che riguarda tutti i popoli. È come dirsi: ho voglia di tornare a casa, è tentare di precedere Lui che ci precede sempre nel cammino che ci porta l’uno verso l’Altro. E, incontratoLo, chiudere gli  occhi e riaprirli, e scoprirlo in tutto, in tutti. E scoppia la Pace.  Dentro e fuori di noi.        

 

I testi che la liturgia di questa 1ª Domenica d’Avvento sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.2, 1-5; Salmo 122; Lettera ai Romani, cap.13,11-14a; Vangelo di Matteo, cap.24, 37-44.

 

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

 

Oggi il calendario ci porta la memoria di Paisij Veličkovskij, mistico e esicasta ortodosso.

 

28 PaissyVelichkovsky.jpgPaisij Veličkovskij  nacque il 21 dicembre 1722, a Poltava, in Podolia (l’attuale Ucraina), da Giovanni Veličkovskij, arciprete della chiesa della Dormizione della Madre di Dio, e da Irene, che più tardi si sarebbe fatta monaca con il nome di Giuliana, ecclesiastici ortodossi. Dopo aver studiato alcuni anni nell’Accademia teologica di Kiev, il giovane decise di farsi monaco, recandosi a tal fine, nel 1743, in Romania e, tre anni più tardi, sul Monte Athos, dove fece la sua professione monastica nel 1750. Attorno a lui  si formò presto una comunità di fratelli, che lo scelsero come maestro e guida spirituale. Nel 1763, lasciato l’Athos che attraversava un periodo di decadenza, fece ritorno con 64 monaci in Romania, stabilendosi dapprima a Dragomirna, in Moldavia, e nel 1775, con 350 monaci a Secu. Il crescente flusso di nuovi discepoli, lo portarono a trasferirsi, nel 1779, a Neamţ, dove sorgeva il più grande monastero del paese. Sua preoccupazione costante fu di trasmettere alla sua comunità l’amore per la preghiera di Gesù e per lo studio dei Padri. Paisij morì il 15 novembre (28 novembre per il calendario gregoriano) del 1793, quando la comunità contava circa un migliaio di fratelli fra romeni, ucraini, russi, serbi, greci e bulgari. L’affetto per i suoi  fratelli era tale che, in una lettera, giunse a dire: “Se anche fossi condannato all’eterno castigo perché privo di opere buone, benedetto il Signore! Mi basterà poter vedere i miei figli godere con Cristo, nel suo regno”.

 

Noi dobbiamo ringraziare la nostra amica Giusi di Milano, che ci manda, con gli auguri di Avvento, questo bel testo di Don Tonino Bello, tratto dal suo “Avvento-Natale” (EMP). Che noi vi giriamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

C’è una parola chiave che caratterizza quest’arco dell’anno liturgico, e attorno alla quale noi articoliamo abilmente i contenuti dell’ annuncio cristiano: attesa. È come una bambola russa: ad aprirla, cioè, ne trovi un’ altra: vigilanza. Se apri anche questa, ci trovi dentro: speranza. E così via fino a giungere alle più interessanti sottospecie della stessa famiglia. Messe tutte allo scoperto, queste bambole riempirebbero un tavolo di buoni sentimenti. È un gioco bellissimo di implicazioni e di esplicazioni, che ci fa vedere quanto sia esteso il fronte su cui deve esprimersi la nostra conversazione in questo periodo che ci prepara al Natale. Attesa. Vigilanza. Speranza. Preghiera. Povertà. Penitenza. Conversione. Testimonianza. Solidarietà. Pace. Trasparenza. […] Ma, con questa procedura, si rimane ancora un po’ troppo dalla parte dell’uomo. Si dà troppo l’impressione, cioè, che l’Avvento costituisca un espediente ciclico che, con le sue risorse, ci stimola a ricentrare la vita sul piano morale, e basta. […] Occorre allora guardare le cose anche dalla parte di Dio. Sì, perché anche in cielo comincia l’Avvento, il periodo dell’attesa. Qui sulla terra è l’uomo che attende il ritorno del Signore. Nel cielo è il Signore che attende il ritorno dell’uomo. È una visione prospettica splendida, che ci fa recuperare una dimensione meno preoccupata degli aspetti morali della vita cristiana e più interessata a cogliere il disegno divino di salvezza. Forse si potrebbe ripetere anche qui il gioco delle bambole russe. Visto che, anche per Dio, la parola chiave dell’avvento è: attesa. Ma quali ulteriori parole si potrebbero successivamente trovare l’una all’interno dell’altra? Si può provare a indicarne due: salvezza e pace. La parola salvezza evoca il progetto finale di Dio. I popoli che salgono al monte del Signore e che esultano finalmente dinanzi a Gerusalemme, esprimono il trasalimento di Dio che vede raccolte attorno a sé , tutte le genti, nello stadio finale del Regno. Attese irresistibili di comunione. Solidarietà con l’uomo. Bisogno di comunicargli la propria vita. Disponibilità a un perdono senza calcoli. Questi sono i sentimenti di Dio, così come ci viene dato di coglierli nella filigrana delle letture bibliche. Oggi è impossibile non rifarsi alla tenerezza del Padre, alle sue sollecitudini, alle sue ansie per il ritorno a casa di ogni figlio. Viene in mente l’espressione della parabola del figlio prodigo: “Mentre era ancora lontano, il padre lo vide” (Lc 15,20).  (Don Tonino Bello, Avvento-Natale).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Novembre 2010ultima modifica: 2010-11-28T23:23:00+01:00da fraternidade
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