Giorno per giorno – 08 Ottobre 2010

Carissimi,

“Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle rimasero meravigliate” (Lc 11, 14). Difficile capire perché la liturgia, nel proporci il vangelo di oggi, tralasci questo versetto, che ne è un po’ la chiave, e si apra solo col versetto seguente: “Ma alcuni dissero: È in nome di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni” (v.15). Stamattina ci dicevamo che il demonio muto è, assieme a quello che porta a parlare troppo e fuori luogo, con calunnie e menzogne, di quelli che, da sempre, sono più attivi. Il demonio muto è quello che spinge a tacere di fronte all’ingiustizia, alle prepotenze, alle malefatte, alla corruzione, ai crimini soprattutto di ricchi e potenti, o di parenti, amici, correligionari. E questo con le più svariate motivazioni (che non sono mai, ovviamente, giustificazioni): per viltà, amore del quieto vivere, opportunismo, falso ossequio, o per evitare possibili ritorsioni e vendette, per un errato senso di solidarietà, quando non, addirittura, per farsi largo nella vita, ottenere vantaggi, costruire su tale atteggiamento omertoso la propria carriera. Gesù è il contrario di tutto ciò, così che quando arriva Lui, non si può più tacere, prima e più ancora per denunciare l’oppressione, l’esclusione, il danno, di cui sono vittime gli altri, che l’ingiustizia di cui si possa soffrire in prima persona. Perché Gesù è la confessione del nostro essere, con Lui, figli delo stesso Padre e, perciò, del nostro essere fratelli tra di noi. E si confessa (o si tace e perciò si sconfessa)  con le parole, con i gesti, con le azioni.  Il demonio muto è quindi, alla radice, il peccato contro la fede, intesa questa nel suo senso più pregnante, non tanto congetturare qualcosa su Dio, ma accoglierlo nel suo significato come verità della nostra vita. E questo non è per niente facile, né si acquisisce una volta per tutte. Infatti, “quando lo spirito immondo esce dall’uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell’uomo diventa peggiore della prima”  (Lc 11, 24-26).  Il che si verifica, quando coloro che sono chiamati ad essere profeti e latori della Buona Notizia ai poveri (a tal fine i cristiano sono stati battezzati e unti, non, in primo luogo, per recitare giaculatorie), per sottrarsi all’accusa di “scacciare i demoni, in nome di Beelzebùl, capo dei demòni” (oggi si direbbe, di essere comunisti, sovversivi, anarchici), giungono a lasciarsi intimidire e tacciono o, peggio, si adeguano e entrano in combutta con quanti negano la verità e la destinazione universale del Regno e delle sue relazioni di fraternità. Universale e, perciò, per cristiani e no, per comunitari ed extra-comunitari, dato che Lui è venuto ad abbattere definitivamente muri e barriere.

 

Il nostro calendario ci porta la memoria di Sergio di Radonež, patriarca dei monaci della Russia ortodossa, e di Penny Lernoux, giornalista in difesa dei poveri in America Latina.

 

08_SERGIO_DE_RADONEZH_II.jpgBartolomeo,  questo era il suo nome di battesimo, era nato il 3 maggio del 1313,  a Rostov Vielikij (Russia).  Da piccolo, con tutta la buona volontà, non gli riusciva proprio di imparare a leggere. Finché un giorno incontrò un monaco. E gli confidò il suo cruccio piangendo. Quello allora lo benedisse, gli diede un po’ di pane e gli disse: Va con Dio. Da allora fu tutto più facile. Quando ebbe poco più di vent’anni, decise di ritirarsi con il fratello Stefano in una foresta, non lontano dal villaggio di Radonez, nei pressi di Mosca, dove qualche anno prima la famiglia si era trasferita. Costruì una cappella dedicata alla Trinità, dove il 7 ottobre del 1337 ricevette l’abito monastico, assumendo il nome Sergio. Nonostante la solitudine, i disagi e i pericoli della vita nella foresta,  giunsero presto altri uomini, desiderosi di imitarne l´esempio che, pochi anni più tardi lo vollero come loro igùmeno (abate). In breve la Comunità monastica crebbe in modo considerevole e  Sergio seppe guidarla con grande umiltà ma anche con fermezza. Fondò molti altri monasteri e la sua fama si diffuse moltissimo. Tipico santo contadino, alieno da ogni intellettualismo, era semplice, umile, serio e gentile e visse una vita di preghiera, digiuno e lavoro. Insegnò ai suoi monaci che la fuga dal  mondo e dalla sua logica non esimeva, ma, al contrario, imponeva spirito di servizio e aiuto concreto nei confronti del prossimo, oltre che la pratica rigorosa della povertà, a livello personale e comunitario. Pochi mesi prima di morire, convocati i suoi monaci, nominò il suo successore. Quando poi sentì vicina la morte, li mandò a chiamare,  diede loro le ultime istruzioni spirituali, ricevette i sacramenti e, sollevate le mani al cielo, rese l’anima a Dio. Era il 25 settembre del 1392 (corrispondente nel calendario gregoriano all’8 ottobre).

 

08 Penny Lernoux.jpgPenny Lernoux  era nata il 6 gennaio 1940 in un’agiata famiglia cattolica della California. Al termine di un brillante corso di studi universitari, era diventata giornalista, recandosi a lavorare, dal 1961,  in America Latina, e fissando la sua residenza dapprima a Rio de Janeiro, poi a Bogotà e Caracas e, infine, nuovamente a Bogotà. A partire dal 1974 operò come scrittrice freelance. Sposata e madre di una figlia, da subito percepì l’estremo contrasto esistente tra la ricchezza di politici, latifondisti e uomini di affari latinoamericani, da un lato, e la povertà delle masse della regione, dall’altro. Affascinata dalla proposta radicale del Vangelo, si avvicinò alle comunità cristiane di base e si interessò da vicino alla teologia della liberazione, che ne facevano lo strumento per interpretare e cambiare una realtà, caratterizzata da un violento sfruttamento economico e da brutali regimi dittatoriali. Fu per molti anni corrispondente del National Catholic Reporter, oltre a scrivere per altre testate e pubblicare numerosi libri. Colpita da un tumore ai polmoni, due settimane prima della morte, consapevole della gravità del suo stato, confessava: “Mi sento come se stessi scendendo per un nuovo sentiero. Non è una paura fisica o la paura della morte, perché i poveri dell’America Latina, con il loro coraggio, mi hanno insegnato una teologia della vita che, attraverso la solidarietà e la nostra lotta comune, trascende la morte. È piuttosto una sensazione di impotenza – ed io che ho sempre voluto essere campione dei poveri  mi ritrovo proprio come impotente – e, anch’io, devo tendere la mia scodella da mendicante; devo imparare  – sto imparando –  l’estrema impotenza di Cristo. È un’esperienza purificante. Quante cose sembrano ora meno importanti, specialmete le ambizioni”. Morì l’8 ottobre 1989. Aveva lasciato scritto: “Tu puoi anche guardare una favela o un villaggio contadino… ma è soltando entrando in quel mondo – e vivendoci – che comincerai a capire cosa significa essere senza potere, essere come Cristo”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera ai Galati, cap.3, 7-14; Salmo 111; Vangelo di Luca, cap.11, 15-26.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

È tutto per stasera. Non abbiamo testi di Sergio di Radonež. Però ci è capitata sotto gli occhi una citazione che ci sembra rifletta bene la spiritualità di cui il monaco russo è una delle più alte espressioni. È tratta da “I fratelli Karamazov” (Garzanti), il grande romanzo di Fëdor Dostoevskij, e ve la proponiamo, nel congedarci, come nostro          

 

PENSIERO DEL GIORNO       

Se le malefatte degli uomini susciteranno in te indignazione e un dolore insopprimibile, tali da indurti addirittura a farti desiderare la vendetta, allora temi, sopra ogni altra cosa, proprio questo sentimento. Cerca subito di procurarti delle pene, come se tu stesso fossi colpevole di quelle malefatte. Accetta quelle pene e sopporta, e il tuo cuore troverà conforto e capirai che anche tu sei colpevole, giacché avresti potuto risplendere come l’unico senza peccato agli occhi di quei malfattori e invece non l’hai fatto. Se tu fossi stato una luce avresti illuminato il cammino degli altri, e colui che ha commesso una malefatta forse non l’avrebbe commessa, illuminato dalla tua luce. Ma anche se la tua luce risplendesse e tu vedessi che gli uomini non vengono salvati da essa, tu resisti lo stesso e non dubitare del potere della luce celeste; abbi fede che, seppure non si sono salvati adesso, si salveranno in futuro. E se non si salvassero in seguito, si salveranno i figli loro, giacché la tua luce non morirà nemmeno se tu stesso sarai morto. Il giusto se ne va, ma la sua luce rimane. Accade sempre che gli uomini si salvino solo dopo la morte di colui che intendeva salvarli. Il genere umano non accoglie i suoi profeti e li massacra, ma gli uomini amano i propri martiri e onorano coloro che hanno torturato. Tu stai lavorando per tutto il Creato, stai agendo per il futuro. Non ambire a ricompense, giacché comunque la tua ricompensa su questa terra è già sublime: è la gioia dello spirito, che solo un giusto si conquista. Non temere gli illustri o i potenti, ma sii saggio e sempre sereno. Sappi la misura, sappi il tempo d’ogni cosa, approfondisci tutto questo. Quando rimarrai in solitudine, prega. Che il prostrarti per terra e il baciare la terra ti siano cari. Bacia la terra e amala incessantemente, insaziabilmente, ama tutti, ama tutto, ricerca l’esultanza e l’estasi che riserva questo amore. Irrora la terra con le lacrime della tua felicità e amale, quelle tue lacrime. Non provare vergogna per questa estasi: abbine cura, giacché è un dono divino, un grande dono, che non a molti è concesso, solo agli eletti. (Fëdor Dostoevskij, I Fratelli Karamazov).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sore3lle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-08T23:52:00+02:00da fraternidade
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