Giorno per giorno – 10 Settembre 2010

Carissimi,

“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Lc 6, 41. 42b).  La trave, ci dicevamo stamattina, non è una colpa qualsiasi, è la colpa delle colpe, l’assenza di misericordia. È ciò che ci fa diversi da Dio, il quale non perde tempo a giudicare e a condannare, ma agisce per salvare. In questo consiste la perfezione e la santità, cui esorta la Scrittura, nella parola rivolta da Dio a Mosè: “Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo” (Lv 19, 2). Che Gesù riprende ed esplicita: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 36). Non si tratta dunque di rinunciare a correggere l’errore che si renda presente nel fratello o nella sorella, se è questo che ci preme. Ma di farlo, sapendo assumere lo sguardo di Dio. Il che, diceva Dulcy, con più di una ragione, è impossibile. È tuttavia si può, si deve, tentare. Ogni volta di nuovo.  

 

Oggi noi si fa memoria di Hillel, l’Anziano, maestro in Israele, e di Emilio Caan e Policarpo Chem, martiri in Guatemala.

 

10 RABBI HILLEL.jpgHillel era nato in Babilonia, forse verso l’80 a.C., in una famiglia di ascendenza davidica. Dopo aver studiato la Torah nella cittá natale, si era trasferito, già adulto, a Gerusalemme, dove lavorò duro per mantenere la famiglia e per concedersi di frequentare nel contempo la scuola di Shemaià e Avtalion, rispettivante presidente del Sinedrio e capo del Tribunale. Verso l’anno 30 a.C., durante il regno di Erode il Grande,  Hillel fondò la scuola che prese il suo nome (bet Hillel), contrapposta a quella di Shammai. La scuola di Hillel, assai più liberale della seconda, era basata su un’interpretazione indulgente della Legge, senza tuttavia allontanarsene o tradirla. Divenuto a sua volta presidente del Sinedrio, fu lui che per primo insegnò ad un candidato alla conversione la cosiddetta Regola d’Oro (che Gesù avrebbe fatto sua), una definizione sintetica della Legge: “Non fare agli altri ciò che non vuoi che essi facciano a te. Questa è tutta la Torà, il resto è solo commento”. Seppe coniugare sapienza e umiltà, giustizia e amore profondo alle creature,  ragione e religione del cuore.  Morì nel 10 d. C., quando Gesù, a Nazareth, era ancora solo un adolescente. Che tutto lascia credere dovesse conoscere bene gli insegnamenti del gran vegliardo. È curioso il fatto che, di tutte le correnti presenti nel giudaismo del 1° secolo, le uniche a sopravvivere sono quelle che hanno la loro origine nel pluridecennale magistero di Hillel e nella parabola fulminea ed efficace del Rabbi di Galilea, che permearono, nei secoli successivi, fino ai nostri giorni, la storia del giudaismo e del cristianesimo.

 

Emilio Caan era un indigeno pocomchí. Operatore di pastorale, catechista, fondatore della Cooperativa di San Cristóbal, nel Dipartimento di Verapaz (Guatemala), era già stato ripetutamente minacciato e anche  sequestrato dalle forze paramilitari della zona di Cobán, ma ogni volta era stato liberato. Salvo l’ultima, quando nulla più si seppe di questo fedele servitore della sua Chiesa. Policarpo Chem, a San Cristóbal, aveva fondato la Legione di Maria, e ne era il presidente. Era conosciuto da tutti per la sua fede, il suo dinamismo, la sua umiltà. Era gerente della Cooperativa di Risparmio e Credito di San Cristóbal. Nel 1982 aveva posto le strutture della Cooperativa a servizio dei rifugiati di Las Pacayas. Il 10 settembre 1984 venne sequestrato, caricato a forza in un auto, alla cui guida c’era un certo Lara, già capo dei servizi di sicurezza della compagnia tedesca Hochtief, costruttrice del complesso idroelettrico di Chixoy, e già implicato in altri sequestri e omicidi delle bande paramilitari operanti nella regione. Il corpo di Policarpo venne ritrovato due giorni dopo con segni di tortura e orribilmente mutilato. Una folla immensa ne accompagnò i funerali. Durante il rito, la vecchia madre si avvicinò all’altare e, a voce alta, implorò il perdono di Dio per gli assassini di suo figlio.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera ai Corinzi, cap.9, 16-9. 22-27; Salmo 84; Vangelo di Luca, cap.6, 39-42.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

Ieri sera, l’avvistamento della prima sottilissima falce della luna nuova ha segnalato che, terminato il mese di Ramadan, siamo entrati nel mese di Shewal. È, dunque, per i nostri amici musulmani la festa Id al–Fitr, cioè, la Festa della Rottura [del digiuno], chiamata anche Id al-Saghir, la Festa Piccola. Durerà tre giorni, dedicati al ringraziamento, al perdono, alle benedizioni, alla misericordia e alla pace. Eid Mubarak! 

 

Il fatto che oggi si sia anche, per il calendario ebraico,  al secondo dei dieci “iamim noraim”, che così potentemente evocano l’immagine della conversione, ci suggerisce di proporvi, mentre ci congediamo, un brano tratto da “La passione credente dell’ebreo” (Morcelliana) di Martin Buber, che ha ben a che vedere con il tema. E che è per oggi il nostro   

 

PENSIERO DEL GIORNO

La conversione è un fatto umano, ma è anche una forza che com-prende il mondo. Quando Dio, come viene narrato, progettò la sua creazione e la incise su una pietra, come un architetto disegna per sé la pianta, vide che il mondo non avrebbe avuto alcuna stabilità. Allora creò la conversione: ora il mondo aveva stabilità, poiché ad esso, quando correva via da Dio, negli abissi dell’ipseità, si era dischiusa la salvezza, lo slancio all’indietro, concesso per grazia, da compiere nel proprio movimento. La conversione è la più grande forma del “principiare”. Quando Dio dice all’uomo: “Aprimi la porta appena quanto la punta di un ago, e io la aprirò tanto che vi potranno passare dei carri”, o quando Dio dice a Israele: “Convertitevi, e io vi riplasmerò in una nuova creazione”, si mostra a noi nella più grande chiarezza il senso del principiare umano. Nella conversione l’uomo si leva nuovamente come figlio di Dio. Poiché la conversione ha un significato così potente, si comprende la leggenda secondo la quale Adamo imparò la forza della conversione da Caino, si comprende quel detto che richiama una espressione del Nuovo Testamento, ma che ne è del tutto indipendente: “Nel luogo in cui stanno coloro che si convertono, non possono stare i perfetti della giustizia”. Vediamo nuovamente che nell’ebraismo non vi è alcuna etica speciale. Questo più elevato momento “etico” è accolto pienamente nella vita dialogica tra Dio e uomo. La conversione non è ritorno a una condizione anteriore, “libera dal peccato”, ma svolta essenziale, l’essere-portato nella svolta essenziale sulla via di Dio. Questa tuttavia non significa qualcosa come una semplice via che Dio comanda all’uomo, ma egli, Dio stesso, prende nella sua Shekinah, nella sua inabitazione, una via nella storia del mondo; egli intraprende il cammino, prende il destino del mondo su di sé. Chi si converte, si imbatte sulle tracce del cammino del Dio vivente. (Martin Buber, La passione credente dell’ebreo).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Settembre 2010ultima modifica: 2010-09-10T23:07:00+02:00da fraternidade
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