Giorno per giorno – 29 Agosto 2010

Carissimi,

“Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti” (Lc 14, 12-14). Non si può davvero dire che Gesù, cioè Dio, non faccia discriminazioni. Le fa, eccome. Infatti qui è categorico: “non invitare!” E, più avanti: “invita”. E chi non dobbiamo invitare? Parenti, amici, vicini ricchi. Chi invece inviteremo? Poveri, storpi, zoppi e ciechi. Tutti coloro che gli altri non invitano. Quindi Dio discrimina sì, anche se al contrario. Ora, non è che parenti, amici e ricchi non possano venire. No, Dio sarebbe ingiusto. Vengano pure, ma come clandestini, un po’ vergognosi, di nascosto, occupando gli ultimi posti. E gli andrà sempre meglio di quello che devono subire i poveri quando riescono a infiltrarsi nei banchetti dei ricchi. Perché i poveri si fanno in quattro per farti sentire a tuo agio, i ricchi un po’ meno, pur con tutta la buona volontà. È questione di classe. Nelle due parabole che racconta a casa di un capo dei farisei, Gesù parla già di come dev’essere la sua chiesa e Luca lo ricorda alla sua comunità, dove convivono appunto, con tutti i problemi che questo comporta, gente di ogni estrazione, compreso alcuni ricchi, così abituati ad occupare i primi posti e ad individuare le amicizie giuste e mondanamente gratificanti, a formare i circolini esclusivi ed escludenti. E Gesù mette i puntini sulle i. La chiesa “è” dei poveri. Gli altri sono “infiltrati”, benevolmente accetti. Non c’è nessun Sarkozy che li deporti, né un Maroni che li cacci. D’altra parte l’aveva già detto solennemente all’inizio dei suo ministero: Felici i poveri, perché “di essi” è il Regno di Dio. Se la chiesa è sacramento del regno non può che essere anch’essa “dei” poveri.  Se no, è la chiesa del diavolo. Ma dire che la chiesa è sacramento del regno, significa anche dire che essa è  laboratorio del mondo nuovo che Dio sogna. È il luogo dove i “princípi” si inverano, e da cui subito straripano, per trasformare la realtà esterna, anche se può non piacere a qualche cristianissimo governatore, così preoccupato di segnare invece i confini che separano quelli da questa. E adesso c’è solo da chiederci chi è che sta nelle nostre chiese, chi frequenta le nostre comunità, chi è al primo posto nelle nostre liturgie, nei nostri meeting, nelle feste che diamo, nelle cene che organizziamo. Che posto hanno, per esempio, lì da voi, zingari, marocchini, neri, albanesi, o anche semplicemente i poveri-poveri. Oh, qui da noi, non è che vada molto meglio, sia chiaro! Fatte le debite eccezioni, i poveri-poveri, qualche volta almeno, confessano che hanno anche tentato di andare in chiesa, ma si sono sentiti inevitabilmente a disagio, come pesci fuor d’acqua. E un perché ci sarà.  Se però vai a pregare a casa loro, se partecipi delle loro folias, delle loro feste, ti accolgono sempre come un Dio. E un perché ci sarà. Loro sono della Sua razza.    

 

I testi che la liturgia di questa XXII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro del Siracide, cap. 3,17-18.20.28-29; Salmo 68; Lettera agli Ebrei, cap. 12,18-19.22-24; Vangelo di Luca, cap. 14,1. 7-14.

 

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Oggi il calendario ci porta la memoria del Martirio di Giovanni Battista.

 

29_MART_RIO_DE_JO_O_BATISTA.JPGLe circostanze della vita e del martirio  del Battista le ricaviamo dal Vangelo e dalla tradizione. Nell’anno 150 dell’imperatore Tiberio (27-28 d.C.), Giovanni, che viveva dalla prima giovinezza una vita dura e austera, iniziò la sua missione, chiamando il popolo a conversione, in vista di un giudizio divino che egli prevedeva imminente. Denunciando soprattutto l’ipocrisia di molti tra coloro che facevano parte dei movimenti religiosi del tempo, si guadagnò presto la simpatia e l’appoggio dei ceti più umili ed emarginati. Riconobbe e additò in Gesù, che fu da lui battezzato e ne fu forse discepolo per qualche tempo, il messia promesso. Condannò pubblicamente la peccaminosa condotta di Erode Antipa e della cognata Erodiade. Apparentemente questa fu la causa del suo arresto e della sua condanna a morte, decisa da Erode, ma, secondo il Vangelo, richiesta da Erodiade e strappata al re da Salomé, figlia di quest’ultima.

 

Noi ricordiamo anche la figura di uomo, piccolo e testardo, che entrò clandestino al banchetto dei poveri di qui e decise di restarci fino alla morte: Philippe Leddet, monaco benedettino.

 

29_FELIPE_LEDDET.JPGPhilippe Leddet era nato a Touraine, in Francia, il 30 agosto 1916. Il 27 maggio 1942 entrò nel monastero di Madiran (che nel 1951 si trasferirà a Tournay), dove iniziò con entusiasmo il suo impegno monastico. Nel 1961, rispondendo all’invito, diretto ai religiosi d’Europa dal papa Giovanni XXIII, di aprire fondazioni nel Terzo Mondo, un gruppo di monaci di Tournay, tra cui Filipe e Pedro, si recò in Brasile, fondando il monastero di Curitiba, che presto si caratterizzò come luogo di dialogo ecumenico e di impegno concreto a favore della giustizia. Nel 1977, la comunità, su invito di dom Tomás Balduino, si trasferì a Goiás, con l’intenzione di approfondire la scelta dell’inserimento tra i poveri. Per alcuni anni i suoi membri vissero una situazione di diaspora e Filipe scelse di abitare in una casupola alla Vila União, nella periferia povera della città, collaborando con la Pastorale della Terra, dedicando i suoi sforzi a favore della lotta dei sem-terra e alla creazione della Scuola Famiglia Agricola.  Il 27 febbraio 1985 i monaci ripresero la loro vita comunitaria, su un terreno donato loro dall’Ospizio della città. Filipe continuò quello di sempre. Durante la sua ultima visita in Francia, morì improvvisamente di infarto, a Tour, il 29 agosto 1996, un giorno primo di compiere ottant’anni.

 

Giovanni Battista “ha scelto di disprezzare gli ordini del tiranno, piuttosto che quelli di Dio”. Lo diceva Johann Gerecht di Landsberg, un monaco certosino del XVI secolo, in un suo Discorso per la festa del martirio di san Giovanni Battista”. Altri tempi, quelli di Giovanni, e altri rischi. E tuttavia, la sfida di dispiacere ai potenti, per piacere a Dio, vale sempre, anche per noi, oggi. Glielo dobbiamo. Noi ci si congeda qui, lasciandovi a un brano di quel discorso come nostro   

 

PENSIERO DEL GIORNO

La caratteristica primaria di un cuore incendiato dall’amore divino consiste nel far dono di sé e di tutto ciò che è suo al Signore per onorarlo e seguire la sua volontà. Arriva al punto che preferirebbe morire — il che sarebbe anche necessario per la salvezza — piuttosto che commettere un peccato che offenda Dio in modo gravissimo. Comunque, l’amore perfetto non evita soltanto la colpa mortale, ma si impegna nell’adesione operosa del beneplacito divino. Così, appunto, Giovanni Battista ha sacrificato generosamente la vita quaggiù per amore di Cristo; ha scelto di disprezzare gli ordini del tiranno piuttosto che quelli di Dio. Questo esempio ci insegna che nulla deve esserci più caro della volontà di Dio. Piacere agli uomini non serve a gran cosa; anzi, spesso proprio questo ci nuoce moltissimo. Ma offendere Dio non può che portare cattive conseguenze Perciò, con tutti gli amici di Dio moriamo ai nostri peccati e alle nostre passioni, calpestiamo il nostro amor proprio sviato e impegniamoci a lasciar crescere in noi l’amore fervente di Cristo: quanto più fervido esso avvamperà in noi, tanto più in cielo saremo beati e uniti con Cristo. (Johann Gerecht di Landsberg, Discorso per la festa del martirio di san Giovanni Battista).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Agosto 2010ultima modifica: 2010-08-29T23:45:00+02:00da fraternidade
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