Giorno per giorno – 10 Luglio 2010

Carissimi,

“Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo” (Mt 10, 28).  Continua il discorso missionario e l’avvertimento che Gesù rivolge ai suoi discepoli circa le inevitabili persecuzioni di cui saranno oggetto. Stamattina ci dicevamo che c’è persecuzione e persecuzione e noi dobbiamo sempre tenere a mente il discorso delle beatitudini, per riconoscere quali sono le persecuzioni “a causa del Suo nome”. Quand’anche ogni persecuzione sia male in se stessa, ve n’è una che è però oggetto della beatitudine proclamata da Gesù ed è quella rivolta a chi ha fame e sete di giustizia, a chi lotta, perciò, in favore della vita – e di una vita piena, dignitosa, significativa – di quanti se la vedono negata. Non si parla dunque, in prima istanza, di una persecuzione religiosa, se non quando e  nella misura in cui la religione assuma e si identifichi nella lotta per la pace e la giustizia. Ma essa si riferisce, prima e  più ancora, a quella patita dalle moltitudini sterminate (religiose o meno, non importa), la cui fame e sete di giustizia si esprime nei suoi bisogni più elementari, è, cioè, fame di cibo, sete di acqua, di medicinali di base, di quanto basta per sopravvivere. E, poi, via via, nella rivendicazione di altri bisogni, diritti, libertà. Ora, è logico pensare che i discepoli e, perciò, anche le chiese, se sapranno dar voce a questa basilare fame e sete di giustizia – il che non è uno scherzo, perché chiede di ripensare per intero il sistema economico su cui il mondo si regge – avranno contro i poteri forti di questo sistema. Che, o li perseguiteranno violentemente, o, più facilmente, cercheranno di renderli innocui, conquistandoli alla loro causa e facendone consapevoli meccanismi di organizzazione del consenso, o rendendoli paciosi distributori o fruitori di riti e sacramenti che, privati del carattere dirompente che deriva loro dal Vangelo, scandiranno (sempre meno, del resto) le diverse tappe della vita personale e le celebrazioni di quella civile. La parola che Gesù ci rivolge oggi nel Vangelo è dunque un invito al coraggio, a non rinnegare e vergognarci del suo progetto, a non temere chi può attentare in vario modo alla nostra vita, ma a fuggire piuttosto quelle scelte che, oltre a non evitarci comunque la morte, farebbero della nostra storia oggetto si scarto e rifiuto, al pari di quelli che, ai tempi di Gesù, venivano bruciati giorno e notte nella Geènna (ge-hinnam), la discarica di Gerusalemme.

 

Oggi le chiese copta, ortodossa e cattolica fanno memoria di Cirillo d’Alessandria, pastore e padre della Chiesa. Il martirologio latinoamericano ricorda P. Faustino Villanueva, maritire della solidarietà in Guatemale. Noi ricordiamo anche i  51 Martiri ebrei di Berlino, vittime del fanatismo religioso nel 1519. 

 

10 CIRILLO.jpgCirillo nacque nel 370, nei pressi di Alessandria d’Egitto, ma della sua vita conosciamo in pratica solo gli eventi che seguirono la sua nomina a papa di Alessandria, nel 412, quando succedette nella carica a suo zio, il patriarca Teofilo, uomo violento e intollerante nei confronti di pagani, ebrei e cristiani che non la pensassero come lui, responsabile tra l’altro, nel 403, della fraudolenta deposizione da patriarca di Costantinopoli di S. Giovanni Crisostomo. A titolo di curiosità, furono i patriarchi della Chiesa alessandrina i primi in ordine di tempo a fregiarsi del titolo di papa (papas, padre), ai tempi di Eracla, 13º patriarca (232-248) sulla cattedra che fu, secondo la tradizione, di san Marco. Cirillo, teologo colto e penetrante, non fu, come del resto lo zio, alla cui scuola era cresciuto, quel che si dice uomo di dialogo. Se anche non vi intervenne personalmente, delegò tuttavia ai suoi armigeri e sostenitori l’organizzazione di provocazioni e tumulti che sfociarono nella cacciata degli ebrei da Alessandria, all’espulsione dei Novaziani dalle loro chiese, nonché, nel marzo del 415, alla folle uccisione della filosofa e scienziata pagana Ipazia. Dal punto di vista teologico, Cirillo si dedicò soprattutto ad elaborare una cristologia e una pneumatologia con base nell’Evangelo e nella tradizione. Si scontrò per questo con Nestorio, patriarca di Costantinopoli, sul cui insegnamento teologico ebbe la meglio, nel Concilio di Efeso (431), che vide l’affermarsi della sua teologia dell’Incarnazione: “L’Emmanuele consta con certezza di due nature: di quella divina e di quella umana. Tuttavia il Signore Gesù è uno, unico vero figlio naturale di Dio, insieme Dio e uomo; non un uomo deificato, simile a quelli che per grazia sono resi partecipi della divina natura, ma Dio vero che per la nostra salvezza apparve nella forma umana”. Sembra che, negli ultimi anni di vita, condotto a più miti consigli dalla pluriennale esperienza pastorale, si sia dedicato a ricercare un cammino che aiutasse a superare i contrasti insanabili tra le chiese, creati dalla radicalizzazione del dibattito teologico. Morì nel 444. La chiesa copta lo ricorda il 27 giugno del calendario giuliano, che corrisponde al nostro 10 luglio.

 

10 Faustino Villanueva.jpgFaustino Villanueva Villanueva era un missionario spagnolo della Congregazione del Sacro Cuore, giunto in Guatemala, ventottenne, nel 1959, e destinato alla parrocchia di Joyabaj, nel Quiché. Lì, come nelle altre località in cui fu inviato negli anni seguenti – Canillá, San Andrés Sajcabajá, San Bartolomé Jocotenango, San Juan Cotzal, Sacapualas – la sua attitudine pastorale fu sempre la stessa: conoscere la realtà e i problemi della gente, annunciare la Parola di Dio, celebrare l’Eucaristia e amministrare i sacramenti nei diversi villaggi e comunità, portare medicinali, animare e organizzare la catechesi, e, negli ultimi tempi, aiutare a costituire una piccola cooperativa di produzione che riuscisse a sottrarre la povera gente dalle mani degli usurai. Tutti lo conoscevano come grande organizzatore, uomo di dialogo, pacifico, equilibrato e serio, ma anche sempre teneramente vicino alla sua gente. In nulla, pericoloso e, tanto meno, sovversivo. Eppure, nel Guatemala di quegli anni, chiunque scegliesse di vivere a servizio delle comunità indigene, sapeva già di essere nel mirino degli squadroni della morte. Il 10 luglio 1980, a tarda sera, due giovani bussarono alla sua porta chiedendo di parlargli. Il prete li fece accomodare nell’ufficio parrocchiale. Il tempo di entrare e lo crivellarono di colpi. Morì a causa della sua dedizione agli indigeni del Quiché, i più emarginati nella società guatemalteca.

 

10 Menorah.jpgNel 1519, un folto gruppo di ebrei di Berlino fu accusato del furto sacrilego della pisside e delle ostie consacrate perpetrato in una chiesa di Knoblauch, un paese del circondario. Centoundici ebrei furono arrestati e processati sommariamente. Di essi, cinquantuno furono condannati a morte e trentotto mandati al rogo nella piazza del mercato. Era il 10 luglio 1519. Venti anni dopo, la Dieta di Francoforte li avrebbe riconosciuti tutti innocenti. Vittime dell’odio per la loro fede di cristiani fanatici.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.6, 1-8; Salmo 93; Vangelo di Matteo, cap.10, 24-33.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Anche per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad un brano del “Commento sul Profeta Isaia” di Cirillo d’Alessandria. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il beato profeta Isaia dice: Signore Dio nostro, donaci la pace, poiché ci hai dato tutto (Is 26,12). Se ci darai la pace abbonderemo di ogni bene e diverremo partecipi di tutti i tuoi doni.  Ma è necessario vedere di quale pace si tratta. Difatti, o si chiede lo stesso Cristo: Egli infatti è la nostra pace (Ef 2,14) secondo la Scrittura, e per tramite suo siamo uniti anche al Padre con una parentela spirituale. Oppure queste parole intendono quelli che sono morigerati, docili al freno e pronti a tutto quanto piace a Dio: costoro sono pieni d’amore e hanno pace con il Signore. Del resto la pace è un vero dono di Dio, e ci viene dalla generosità divina. Donaci, dunque, Signore, di essere in pace con te, e tolto di mezzo l’empio e detestabile peccato, fa’ che ci uniamo spiritualmente a te per la mediazione di Cristo. Lo esprime bene san Paolo, dicendo: Giustificati per la fede noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo (Rm 5,1). Quando ciò avverrà, saremo possesso ed eredità di Dio. Per questo sapientemente è detto: Signore, possiedici; fuori di te non conosciamo nessuno, solo il tuo nome invochiamo (Is 26,13). È necessario, infatti, che quanti sono in pace con Dio conformino la loro vita solo a lui, in comunione costante con lui, sì da non conoscere altri che lui, e da non poter nemmeno pronunziare il nome di un qualunque altro dio fittizio. Egli solo, infatti, dev’essere invocato, poiché egli solo è il nostro Dio, secondo natura e verità, come ci è stato insegnato per bocca di Mosè: Adorerai il Signore Dio tuo, e servirai solo a lui e al suo nome (Es 20,5; Dt 6,13). (Cirillo d’Alessandria, Commento sul Profeta Isaia, III, 1).  

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-10T23:21:00+02:00da fraternidade
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