Giorno per giorno – 15 Maggio 2010

Carissimi,

“In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Gv 16, 23-24). Già, ci dicevamo stamattina, e quando chiediamo e non riceviamo, da cosa dipende?  È che non chiediamo nel suo nome. Nel suo nome, o con il suo spirito, non si può chiedere l’appartamento più grande, o l’automobile dei nostri sogni, o anche di guarire da una malattia, o di vincere al lotto, che ci aiuterebbe a realizzare questi e molti altri desideri. Nel suo nome, ciò che si può chiedere è di farci simili a Lui, nella forma del libero dono. A quel punto, “in quel giorno”, (Gesù ogni tanto le spara grosse, ma c’è da credergli), non ci sarà più neanche bisogno che Lui preghi il Padre per noi: il Padre stesso infatti ci ama e, dato che noi gli abbiamo aperto la porta (“voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio”, è l’esperienza della fede), Egli opera ogni trasformazione in noi. Che poi è l’equivalente di quanto promesso già in altri passi del Vangelo: “Se dunque voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono” (Lc 11, 13). Tocca dunque a noi chiederglielo, sempre che non si stia vagando qua e là all’inseguimento di altro.

 

Oggi è memoria di Isidoro e Maria, santi contadini, di Pacomio, padre del monachesimo e di Michel Kayoya, martire nel Burundi.

 

15 ISIDORO.jpgDi Isidoro, sappiamo proprio poco. Nacque in una famiglia contadina e fece sempre il bracciante. Gli piaceva lavorare la terra, ma trovava il tempo, ogni giorno, di ritagliarsi i suoi spazi di gratuità, partecipando alla Messa e dedicandosi alle sue devozioni. Con un certo spasso dei suoi compagni di lavoro.Ma lui li lasciava dire.  Incontrò la donna che faceva per lui, una tale Maria, che sposò e da cui ebbe un figlio, morto da piccolo. Vissero insieme il resto della vita, lui lavorando duro fuori casa, e lei dentro. E il denaro che si sudavano, poco, bastava comunque per tanti. Se un povero bussava alla porta, per loro era sempre il Povero. E non se ne andava mai via a mani o con la pancia vuote. E loro erano pieni di allegria. Un giorno poi lui, uno dei piccoli amati da Dio,  morì. Era il 15 maggio 1130.

 

15 PACÓMIO.JPGPacomio era nato nell’Alto Egitto, l’anno 287, da genitori pagani. A vent’anni era stato arruolato a forza nell’esercito imperiale e, durante un trasferimento, era finito in carcere a Tebe con tutte le reclute. Fu in quell’occasione che il giovane venne per la pria volta a contatto con dei cristiani: gente che di notte portava ai prigionieri del cibo. Chi vi manda, chiedevano loro. Il Dio del cielo, rispondevano. E Pacomio pregò allora quel Dio di liberarlo, che lo avrebbe servito per la vita intera. Quando fu congedado, si recò a Khenoboskion e si aggregò ad una piccola comunità cristiana, dove fu istruito nei santi misteri, al fine di ricevere il battesimo. Visse lì per un certo tempo, dedicandosi al servizio della gente. Conobbe un vecchio anacoreta, Palamone, e lo scelse come guida spirituale. Infine gli giunse un’illuminazione: perché non dar vita a una comunità alternativa? C’erano altri cristiani e cristiane che si erano allontanate dalle città, insoddisfatte dello stile di vita che le caratterizzava. Forse valeva la pena di mettersi insieme e provare  a se stessi e agli altri che “un altro mondo era possibile”. Si stabilirono nel villaggio abbandonato di Tabennesi e cominciarono ad organizzarsi in una vita di preghiera, lettura della Parola di Dio e lavoro manuale. Nasceva così il monachesimo cenobitico. Al vescovo Atanasio che gli chiese un giorno: Ma insomma chi diavolo siete?, Pacomio rispose: siamo semplici cristiani. Perdinci, ma se è vero che il monaco è un semplice cristiano, allora ogni cristiano è un monaco. Corretto, ma nell’uno e nell’altro caso, vale la pena di aggiungere: se si prende sul serio. Pacomio morì nel 346, durante un’epidemia di peste, dopo aver servito i suoi sino alla fine.

 

15 MICHEL KAKOYA.jpgMichel Kayoya era nato nel 1934 a Kibumbu, in Burundi. Entrato in seminario, dopo gli studi filosofici, nel 1958 venne mandato in Belgio a studiare teologia. Nel 1963 fu ordinato sacerdote.  Nominato vice parroco a Rusengo, si impegnò nei movimenti di Azione Cattolica e assunse la responsabilità delle cooperative.  Dal 1967, per tre anni, fu rettore del seminario minore di Mugera; nel 1970 fu chiamato a ricoprire l’ufficio di economo generale della Diocesi di Muynga. Nel mese di aprile 1972, le autorità ecclesiastiche l’obbligarono a lasciare il luogo. Il 15 maggio venne ucciso dai Tutsi nel corso del massacro che costerà la vita ad altre 200 mila persone. Il cadavere fu gettato in una fossa comune.  Era sostenitore di un umanesimo che ha alla base il rispetto: “Rispetto del povero, rispetto del piccolo, rispetto del vecchio, rispetto dell’invalido”. Il contrario della civiltà occidentale. A chi gli chiedeva conto del perché fosse cristiano, rispondeva: “Ho deciso di restare cristiano non per paura di impegnarmi, non per paura di lottare. Come cristiano sentivo in me una gioia, un motivo di impegno superiore ed un’energia nuova per consacrarmi alla causa dei miei fratelli, gli uomini. Ero cristiano, volevo che nella lotta contro la fame, la carestia, l’ingiustizia, il disonore, il mio popolo si tessesse un’eternità vera”.

 

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.18, 23-28; Salmo 47; Vangelo di Giovanni, cap.16, 23b-28.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Noi ci si congeda qui, lasciandovi al brano di un testo di Pacomio dal titolo “Conseils à un moine rancunier, presente nella collettanea “Enseignements des Moines d’Orient. De Pacôme à Dorothé De Gaza  (Bayard). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Figlio mio, imita la vita degli amici di Dio, come loro, fa delle buone azioni. Svegliati! Non essere pigro! Trascina il tuo prossimo, tu sei responsabile di lui! Alzati! Non restare tra i morti! Allora il Cristo ti illuminerà con la sua luce e la vita di Dio porterà frutti nel tuo cuore. Sì, tutti i favori di Dio, tu li scoprirai, ma, per questo, devi essere paziente. Gli amici di Dio sono stati pazienti. Così hanno ottenuto le cose promesse. La grandezza dei santi è la pazienza. Sii paziente per far parte della famiglia degli amici di Dio. Tu puoi essere certo di una cosa: riceverai una ricompensa che dura per sempre. Quando un pensiero ti turba, accettalo con pazienza. Aspetta, e Dio ti restituirà la pace. […] Quando senti la collera montare dentro di te, resta calmo. Quando un’idea cattiva ti impedisce di vivere, non essere vile, ma sopporta ciò con coraggio. Puoi dire la parola del Salmo: I malvagi mi circondano da ogni lato! Nel nome del Signore io li respingo” E subito Dio viene in tuo soccorso. Con lui, li respingi lontano da te. Dio ti protegge e la sua gloria marcia con te. Sì, il coraggio accompagna l’uomo che è umile. E il Signore ti fa dono di ciò che il tuo cuore desidera. Come andiamo verso Dio? Facendoci umili e pieni di dolcezza. Perché Dio dice: Chi è colui su cui si posa il mio sguardo? È l’uomo umile e dolce. Avanza così sulla strada del Signore. Allora veglierà su di te e ti darà forza. (Pacôme, Conseils à un moine rancunier).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Maggio 2010ultima modifica: 2010-05-15T23:03:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo