Giorno per giorno – 15 Marzo 2010

Carissimi,

“Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: Se non vedete segni e prodigi, voi non credete. Il funzionario del re gli disse: Signore, scendi prima che il mio bambino muoia. Gesù gli rispose: Va’, tuo figlio vive. Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino” (Gv 4, 46-50). Quel funzionario del re era uno straniero, per giunta pagano, come si afferma più chiaramente nei racconti paralleli di Matteo (Mt 8, 5-13)  e Luca (Lc 7, 1-10), che specificano trattarsi di un ufficiale romano. Ogni volta che si legge questo brano si resta un po’ sconcertati dalla brusca risposta di Gesù, che richiama la resistenza da lui opposta alla donna cananea, che gli chiedeva la guarigione della figlia (Mt 15, 21-28). Ma, si tratta forse di una drammatizzazione necessaria, per dirci l’importanza della “svolta” che l’agire di Gesù determina. Svolta che sottrae Dio al monopolio del potere, incluso quello religioso. C’è nella richiesta di quel pagano – “scendi prima che il mio bambino muoia” – la fede incipiente in un’azione di Dio che sia qualcosa di diverso dalla semplice riproposizione delle barriere e degli ostacoli che noi umani ci ostiniamo ad erigere tra individui, popoli, razze e religioni. Come dire: almeno Tu no. E difatti: Va’, tuo figlio vive! Credere è entrare in questa logica di Dio, che abbatte ogni muro di separazione (cf Ef 2, 14), per prendersi cura di tutti. Chi, quei muri, continua ad alzarli o a mantenerli, semplicemente non crede in Dio, o almeno nel Dio di Gesù. Al massimo crede e adora il diavolo.

 

Il martirologio latinoamericano ricorda oggi Nelio Rougier, piccolo fratello del Vangelo, desaparecido sotto la dittatura argentina, e  Antonio Chaj, Manuel Recinos e compagni, martiri evangelici in Guatemala.

 

Nelio Rougier era nato nel 1930 in una famiglia di sette figli. Entrato in seminario e ordinato prete, venne nominato direttore spirituale, prefetto degli studi e professore nel seminario maggiore dell’archidiocesi di Paraná (Argentina). Questi incarichi non gli impedirono tuttavia di lavorare in un quartiere povero di periferia  e di svolgere la funzione di cappellano in un lebbrosario, dove celebrava la messa per i malati ed era in mezzo a loro una presenza amorosa. Desideroso di maggior povertà, entrò nella Fraternità dei Piccoli Frateli del Vangelo, a Fortín Olmos, dove divenne taglialegna. In seguito, si recò a vivere per tre anni con gli indigeni in Venezuela e, al ritorno in patria, si recò a Córdoba per fondarvi una comunità. Scelse di abitare in una “villa miseria”, una baraccopoli senza nome né servizi, dove si trasferì nascondendo la sua condizione di sacerdote. Lo battezzarono il “gringo”, per i suoi occhi e capelli chiari. Costruita la sua casetta, prese a cercare i mezzi per vivere, come i suoi vicini, rovistando nella spazzatura delle discariche circostanti. Nei momenti liberi giocava a calcio. Nel 1971 si aggiunsero a lui alcuni laici che ne condividevano la spiritualità e l’impegno. Nelio celebrò allora la sua prima messa all’aperto, all’ombra di un albero. Insieme crearono una societá di mutuo appoggio, costruirono un Pronto Soccorso, e ottennero l’acqua potabile. La comunità pregava, studiava, analizzava e approfondiva la realtà. Il quartiere si guadagnò allora persino un nome, “Barranca Yaco”. Nelio, per la coerenza della sua opzione, cominciò ad essere ricercato da religiosi, politici, giovani. Nella sua ansia di giustizia per i poveri, compì quella che sarebbe stata la sua ultima scelta: si mise in viaggio per Tucumán nel momento peggiore, quando impazzava la repressione governativa. Lì, il 15 marzo 1975,  venne sequestrato e sparì  nel nulla.

 

Manuel de Jesús, di 24 anni, era un militante cristiano dell’Alianza Evangélica Guatemalteca. Il 15 marzo 1986, mentre partecipava ad un culto, uomini non identificati armati di fucili e coltelli entrarono in chiesa e lo uccisero brutalmente sotto lo sguardo impaurito e impotente dei suoi fratelli di fede. Il Reverendo Guillermo Galindo, presidente della Chiesa, attribuì subito al governo la responsabilità di questo e di altri omicidi, sequestri e sparizioni, avvenuti nel dipartimento di Suchitepéquez, tra cui quello del pastore evangelico Antonio Chaj Solís e di altri sei militanti cristiani evangelici, a Chimaltenango, martiri della loro fede nel Signore Gesù.

 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.65,17-21; Salmo 30; Vangelo di Giovanni, cap.4, 43-54.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

 

È tutto per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi a una citazione di Arturo Paoli, anch’egli, come Nelio Rougier, piccolo fratello del Vangelo, nonché profondo conoscitore, dal di dentro, della realtà latinoamericana e della scelta di aderire alla proposta di Gesù, “operando storicamente per ristabilire le relazioni turbate, sconvolte, corrotte entro la società, dando impulso alla riconciliazione per giungere all’autentica comunione”. La prendiamo dal suo libro “Testimoni della Speranza” (Morcelliana) ed è, per oggi, il nostro.

 

PENSIERO DEL GIORNO

Dio poteva fare la nostra storia come quella di buoni bambini, creando un altro tipo di persone, robotizzate, cristallizzate in una specie di perfezione originale, senza contraddizione, ma preferì un cosmo ed un uomo che divengono, un essere che si sta formando, e la libertà come obiettivo è così affascinante che il prezzo da pagare non sembra mai eccessivo. Ogni generazione, nonostante le sofferenze che immagina intollerabili, è disposta a pagarne il prezzo. Non tutti raggiungiamo la gloria di dare il nostro sangue in una forma di martirio che storicizzi il sacrificio di Cristo, ma tutti possiamo “soffrire con Lui e morire con Lui” (cf Rm 6,8; 8,17; Fil 3, 10 e a.). È importante collocare le nostre sofferenze e la nostra morte nel contesto eucaristico, vale a dire, dare alle nostre sofferenze e alla nostra morte un senso d’amore verso l’umanità. Questa potrebbe essere la risposta alla problematica dell’inutilità della vita di chi si è rinchiuso nei chiostri, o di molte persone inabili per malattia o vecchiaia, e tutti dobbiamo scoprire la nostra responsabilità storica di essere nati con il proposito di contribuire a trasformare le società da egoiste in conviviali. E  Cristo ci ha preceduti indicandoci il metodo: “Dare la vita per gli amici (Gv 13, 15), perché il mondo viva”. Le circostanze storiche nelle quali si concretizzerà la nostra responsabilità, non le conosciamo, e in gran parte non dipendono da noi. Così l’Eucaristia è universale, come universale è il dolore umano, è universale come l’indignazione provocata dalle discriminazioni, è universale come la lotta per ottenere che le discriminazioni si trasformino in comunione. Il fenomeno sofferenza, unito alla indignazione e alla lotta, è la manifestazione dell’energia eucaristica innestata nella storia. (Arturo Paoli, Testimoni della speranza).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.   

Giorno per giorno – 15 Marzo 2010ultima modifica: 2010-03-15T23:04:00+01:00da fraternidade
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