Giorno per giorno – 22 Febbraio 2010

Carissimi,

“Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo? Risposero: Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti. Disse loro: Ma voi, chi dite che io sia? Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 13-16). Noi, stamattina, ci si chiedeva: E se Gesù lo chiedesse a noi, cosa gli risponderemmo?  E quale nome ci darebbe Lui? Le pietre mica sempre sono una cosa buona, cercava di spiegare dona Dominga a José Lucas, riferendosi al nome che Gesù aveva scelto per Simone. In un terreno da coltivare possono infatti rendere difficile una buona semina, o, per strada, ti possono impedire il passaggio, o farti inciampare. Però, se sono belle squadrate, ci puoi fare dei bei muri, costruirci addirittura una casa. Beh, nel caso di Simon Pietro, lui, pietra, lo sarebbe stato in tutti e due i sensi: di ostacolo, di scandalo, a causa dei suoi tradimenti, le fughe, la mancanza di fede, ma anche pietra adatta a costruire la chiesa, la comunità di coloro che vogliono offrire accoglienza e  rifugio a quanti ne sono alla ricerca. Ora, Gesù, per noi, è davvero il Cristo, il figlio del Dio vivente?  Ci impegniamo davvero di fare nostri i suoi atteggiamenti e gesti, le sue parole e azioni? Perché in questo consiste il confessare la sua divinità, nel testimoniare che Lui è il senso ultimo e più vero della nostra vita. Se no, ci prendiamo in giro.       

 

22 Saint Peter.jpgSe la Chiesa ci ha fatto leggere oggi quel testo, è perché, in questa data, si fa memoria della Cattedra di san Pietro apostolo, il pescatore ebreo, tanto generoso quanto pauroso discepolo del Signore, che faticò non poco a intendere la natura della sequela di Gesù, ma, che, nel momento decisivo, seppe dar buona prova di sé. È occasione di preghiera per il servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a rendere a Dio, alla Chiesa e al mondo, nella fedeltà all’Evangelo. 

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:

1ª Lettera di Pietro, cap.5, 1-4; Salmo 23; Vangelo di Matteo, cap.16, 13-19.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli delle grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

Il calendario ci porta oggi anche la memoria di Quelli della Rosa Bianca, martiri sotto il totalitarismo nazista.

 

22 ALEXANDER SCHMORELL.jpg22 KURT HUBER.jpg22 HANS SCHOOL.jpg22 SOPHIE SCHOOL.jpg22 WILLI GRAF.jpg22 CHRISTOPH PROBST.jpgLoro si erano definiti la “cattiva coscienza” della Germania nazista. Erano quattro ragazzi e una ragazza, tra i venti e i venticinque anni, di diversa confessione religiosa: gli evangelici Hans School (nato il 22 settembre 1918) e sua sorella Sophie (nata il 9 maggio 1921); l’ortodosso Alexander Schmorell (nato il 16 settembre 1917), il cattolico Willi Graf (nato il 2 gennaio 1918), e Cristoph Probst (nato il 6 novembre 1919), che si fece battezzare solo un’ora prima dell’esecuzione, tutti universitari. A loro si era aggiunto Kurt Huber, cattolico e professore  di filosofia (nato il 24 ottobre 1893).  Già membri della Hitlerjugend, la gioventù hitleriana, Hans, Alexander, Cristoph e Willi, avevano partecipato alla guerra sul fronte russo. Poi avevano aperto gli occhi, decidendo che era tempo di aprirli anche agli altri loro connazionali. Sotto il nome di Die Weisse Rose, “La Rosa Bianca”,  cominciarono a fare ciò che potevano e sapevano fare: redigere, stampare e diffondere volantini. I primi, nell’estate del 1942, in tiratura limitata, solo a Monaco, dove vivevano; l’anno successivo, con l’aiuto mediato dal professor Huber, anche in altre città, come Ulm, Stoccarda, Augsburg, Vienna, Berlino e altrove. Durante la distribuzione del sesto volantino, il 18 febbraio 1943, vennero arrestati Sophie e Hans con Willi; il giorno dopo fu la volta di Cristoph e poi, in rapida successione, il 24 febbraio, di Alexander e, il 27 febbraio, del prof. Huber.  Il processo di Sophie, Hans e di Cristoph, celebrato immediatamente, si concluse il 22 febbraio con la loro condanna a morte per tradimento. Furono decapitati nello stesso giorno. Il processo a Willi,  Alexander e Kurt Huber, si svolse il 19 aprile, con esito identico.  Schmorell e Huber vennero decapitati il 13 luglio 1943, nella prigione di Monaco. Il giovane Graf, nei mesi successivi, fu ripetutamente torturato dalla Gestapo, che tentò inutilmente di estorcergli i nomi di altri compagni e fu infine  decapitato il 12 ottobre 1943. Restano per tutti esempio della forza e del coraggio che germinano da una coscienza che si educhi all’ascolto della Parola e alla lettura della realtà alla luce dell’evento della Croce.

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:

1ª Lettera di Pietro, cap.5, 1-4; Salmo 23; Vangelo di Matteo, cap.16, 13-19.

 

È tutto per stasera. Noi ci si congeda qui, proponendovi in chiusura il racconto degli ultimi momenti di Hans e Sophie Scholl.  Lo troviamo nel libro di Annette Dumbach e Jud Newborn, “Storia di Sophie Scholl e della Rosa Bianca” (Lindau), ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Robert Scholl riuscì ad ottenere il permesso di entrare nella prigione insieme alla sua famiglia. Forse fu la prima e unica eccezione fatta a Stadelheim: ai condannati non era consentito ricevere visite. A quanto pare, in prigione s’era sparsa la voce su come si erano comportati i giovani studenti nelle mani della Gestapo e durante quel processo infame. Il personale del carcere li ammirava; gli impiegati non erano membri delle SS o della Gestapo; si consideravano “normali funzionari statali” che eseguivano compiti sgradevoli, a prescindere da quale regime fosse al potere. Considerando quello che il personale di Stadelheim aveva visto e fatto nel corso degli anni, è quasi un miracolo che i membri della Rosa Bianca fossero riusciti a toccare il loro cuore. Le guardie infransero le regole: fecero uscire Hans dalla sua cella e lo portarono nella sala delle visite dove l’attendeva la famiglia. Gli avevano già fatto indossare l’uniforme a strisce da carcerato; il suo viso era smunto e scarno. Strinse le mani a tutti oltre la sbarra che li separava, e rassicurò i genitori dicendo loro che non provava odio, che s’era lasciato “tutto” alle spalle. Suo padre lo abbracciò, dicendogli che sarebbe passato alla storia e che c’era ancora giustizia nel mondo. Hans doveva essere portato via, disse di salutargli gli amici. Quando pronunciò un nome, gli occhi gli si riempirono di lacrime; si voltò tentando di controllarsi. Lasciò che le guardie lo portassero via. Poi arrivò Sophie. Indossava ancora i suoi abiti – giacca, camicetta e gonna. Sorrideva. Sembrava più piccola, ma aveva la pelle fresca e luminosa. Accettò i dolci che la madre aveva portato – Hans li aveva rifiutati – dicendo che aveva fame, che non aveva mangiato nulla. “Sophie, Sophie”, disse la signora Scholl, “ora, dunque, non entrerai mai più da quella porta”. “Oh, mamma”, rispose, sorridendo, “che cosa sono pochi anni”. “Penserai a Gesù, vero Sophie?”, chiese la madre. “Sì, fallo anche tu”, replicò lei. Poi venne portata via. (Annette Dumbach, Jud Newborn, Storia di Sophie Scholl e della Rosa Bianca).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 22 Febbraio 2010ultima modifica: 2010-02-22T23:37:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo