Giorno per giorno – 26 Dicembre 2009

Carissimi,

“Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani” (Mt 10, 17-18). Come dire: non si tratta di una fiaba. Se prendete sul serio la nascita di cui si fa memoria in questi giorni, ciò che vi può capitare è soprattutto questo. E poi anche: “Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Mt 10, 21-22). Se questo non succede, delle due l’una: o il mondo si è convertito al Regno. O, più probabilmente, noi ci siamo convertiti al mondo. E, finché ce la faremo a reggere la parte, continueremo a cantare, per la gioia dei bambini, “Bianco Natale”. Salvo bestemmiarlo subito dopo con le nostre azioni. Ma loro se ne accorgeranno, non ci crederanno più. E alla fine  ci disprezzeranno. Perché avremo fatto della vita, la nostra e la loro, un teatrino. Invece che una cosa grande, ambiziosa, a misura di Dio: trasformare la storia.  A misura di quel Bambino.  

 

Oggi è il secondo giorno dell’Ottava di Natale e la memoria del diacono Stefano, primo martire. A cui noi aggiungiamo quella di Jean-Marc Ela, presbitero e teologo africano.

 

26_ESTEVÃO_II.JPGSecondo il racconto che ne fanno gli Atti degli Apostoli, Stefano era un ebreo della diaspora, che, dopo aver accettato il cristianesimo,  fu incaricato assieme ad altri sei di provvedere alla cura dei poveri della comunità. Denunciato dinanzi al Sinedrio da un gruppo di ex-correligionari di parlare contro il Tempio e contro la Legge, si produsse in un’autodifesa che ne peggiorò la situazione, al punto che “quelli del tribunale… si turarono le orecchie e gridarono a gran voce; poi si scagliarono tutti insieme contro Stefano, lo trascinarono fuori città per ucciderlo a sassate. I testimoni deposero i loro mantelli presso un giovane, un certo Saulo, perché li custodisse. Mentre gli scagliavano addosso le pietre, Stefano pregava così: ‘Signore Gesù, accogli il mio spirito’. E cadendo in ginocchio, gridò forte: ‘Signore, non tener conto del loro peccato’. Poi morì” (At 7, 57 ss). C’è solo da aggiungere che quel Saulo diventerà poi san Paolo, quasi a significare che, insomma, c’è speranza davvero per tutti!

 

26 JEAN MARC ELA.jpgNato a Ebolowa, in Camerun, il 27 settembre 1936, Jean-Marc Ela fu prete, teologo, sociologo e professore. Studiò teologia e filosofia all’Università di Strasburgo, in Francia, e passò sedici anni come missionario a Tokombere, tra i Kirdi del Camerun nord-occidentale, accanto alla figura carismatica di Baba Simon, da molti considerato una sorta di san Paolo africano. L’opera che lo fece conoscere fu “La mia fede d’Africano”, apparso in francese nel 1985 e poi tradotto in inglese, tedesco e italiano. Il libro denunciava l’imposizione da parte della Chiesa in Africa di un modello di fede che ignorava del tutto i bisogni reali della popolazione, soprattutto delle comunità rurali.  Attraverso un’analisi accurata dei sacramenti, dell’ermeneutica biblica e della prassi missionaria, identificava le vie attraverso cui la tradizione cattolica manteneva gli africani dipendenti nei confronti dell’Europa. Da parte sua, si faceva sostenitore di un’inculturazione della fede che rispettasse, riscattasse e valorizzasse la maniera d’essere della sua gente. Animato, assillato, inquietato dalle figure di Gesù di Nazareth, da quella di Abele, il cui grido giunge fino a Dio e ne provoca la domanda ai Caini di ogni tempo: che hai fatto di tuo fratello?, e da quella rappresentata dal mondo dei più deboli, degli oppressi e degli esclusi, che riassumeva e riviveva nella sua carne la passione dell’uno e dell’altro, Ela collocò la sua teologia al servizio di quel progetto. Critico del potere politico del suo Paese, nonché delle omissioni e delle collusioni della gerarchia ecclesiastica nei confronti di quello, dopo l’assassinio di padre Engelbert Mveng, il 22 aprile 1995, si recò in esilio nel Québec, dove continuò ad insegnare Sociologia nell’Universitá di Laval, a Montreal, fino alla morte, avvenuta il 26 dicembre 2008. Fu sepolto nel suo paese natale, a Ebolowa, in Camerun.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria di santo Stefano e sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap. 6,8-10; 7,54-60; Salmo 31; Vangelo di Matteo, cap. 10,17-22.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Noi ci si congeda qui, lasciandovi al brano di un’intervista di Anna Pozzi con Jean-Marc Ela, del 1° aprile 2002, apparsa in Missionline  con il titolo  La mia Africa? Non più ‘mendicante’. Ma capace di decidere il proprio futuro”. È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’Africa ha molte cose da dire all’Occidente, perché continua ad essere una riserva di valori fondamentali, una riserva di senso. Ed è a questi valori che dovremmo rivolgerci se vogliamo uscire dal vuoto nel quale l’umanità sta sprofondando. Le logiche del mercato sono logiche di guerra e di morte, conta solo ciò che ha un prezzo, che è quantificabile. Cercano di farci credere che l’unico  cogito, l’unico pensiero possibile è quello che dice: “Io consumo – o io vendo – dunque io sono”. Rispetto a questo modello, l’Africa ha molte cose da dire: ci ricorda che esistere significa essere sempre in relazione con l’altro, e di conseguenza non ci sono solo valori di “opportunismo”, ma anche valori fondamentali di solidarietà e di condivisione, che non possiamo trascurare se vogliamo rifiutare ciò che io chiamerei la barbarie. Bisogna ritornare a questi valori che l’Africa è riuscita a conservare e che dovrebbero appartenere a tutta l’umanità. Se l’Occidente vuole sfuggire a quella sorta di deriva in cui sta precipitando è necessario che in qualche modo si “ri-civilizzi”. Esiste invece una spinta molto violenta della modernità occidentale che cerca di livellare il resto dell’umanità e di imporsi come modello unico, di cui i giovani, soprattutto nelle città, subiscono un fascino pericoloso. Gli africani non possono restare ai margini del mondo, ma non devono perdere la loro identità e i loro valori; devono conservare il loro volto senza rinunciare ad essere persone del loro tempo. È una sfida. (Jean-Marc  Ela, La mia Africa? Non più ‘mendicante’. Ma capace di decidere il proprio futuro).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Dicembre 2009ultima modifica: 2009-12-26T23:57:00+01:00da fraternidade
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