Giorno per giorno – 09 Luglio 2009

Carissimi,

“Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento” (Mt 10, 9-10). Questo è un Vangelo che capita di ascoltare con dispetto. Che anche i preti a predicarlo, sorvolano. Che, infine, tutti, dal papa all’ultimo dei buoni parrocchiani, gli viene come minimo un colpo di tosse. Così la gente si chiede: sarà influenzato? Ed evita di prestare attenzione a ciò che stava dicendo. Per  molti dei nostri, questa parola è letteralmente vera, nel senso che i portafogli sono [sconsolatamente?] vuoti per gran parte del mese,  e non c’è bisogno di borsa da portarsi appresso, e, quanto ai sandali, bastano delle ciabattine infradito. E tuttavia ciò che ascoltiamo non suona come elogio della penuria. Deve essere altro. L’accento, forse, dev’essere posto su quel “Non procuratevi”, con l’idea dell’affanno che comporta la ricerca dei mezzi, più che del fine. Anzi, spesso, solo di quelli, senza più questo. Che è la tragedia di tante istituzioni religiose che, nella preoccupazione dei mezzi di sostentamento – sempre più abbondanti e sofisticati – cercano di autoperpetuarsi, senza sapere più perché esistono. Per non parlare della “cristianità” (le virgolette sono d’obbligo!) in quanto tale e del suo destino. Georges Bernanos, che noi si è ricordato qualche giorno fa, mette sulle labbra di Francesco d’Assisi questo sfogo: “Avete irritato la Povertà, ecco tutto. L’avete sconvolta. Abusando della sua pazienza, avete finito per metterle poco a poco sulle spalle, alla chetichella, tutti i pesi che avevate. Ora è là, con la faccia a terra, zitta zitta, che geme nella polvere. Dite: ora non ho più nessuna seccatura, e possiamo andare a ballare. No, non è alla danza che vi avviate, figli miei, ma alla morte. Siete bell’e morti, se vi maledice la povertà. Non attirate su questo mondo le maledizioni della povertà”. La danza, poi, può essere invece un pranzo di gala o persino una litugia. E questo potrebbe suonare come promemoria, indifferentemente, per il G8, o per le nostre chiese. O, nel nostro piccolo, per ciascuno di noi. Solo chi è povero, anche di mezzi, e lo è continuamente, è capace di dare tutto, perché, per chi è ricco, c’è sempre il rischio di dare soltanto cose, avendone in cambio altre (fosse pure la buona coscienza che se ne ricava). Il povero è in grado di dare solo se stesso. Come Dio.       

 

Oggi ricordiamo Angelus Silesius, mistico tedesco del XVII secolo; Augustus Tolton, primo prete afroamericano negli Usa, e Bruno Borghi, primo preteoperaio in Italia.

 

09 ANGELUS SILESIUS.jpgJohannes Scheffler nacque a Cracovia nel dicembre del 1624, figlio di Stenzel e di Maria Magdalena Henneman, entrambi luterani. Nel 1637  rimase orfano di padre e due anni più tardi gli morì la madre.  Compiuti gli studi ginnasiali a Breslavia, nel 1643 si trasferì a Strasburgo e poi a Padova, per studiarvi diritto e medicina. È in questo periodo che prese a leggere autori mistici come Taulero e Meister Eckhart, che ne influenzarono la spiritualità. Nel 1649 ottenne l’incarico di medico di corte del duca Sylvius Nimrod von Württemberg in una cittadina nei pressi di Breslavia. Ma vi rimase solo tre anni a causa di un conflitto con il cappellano luterano di corte. Il 12 giugno 1653, Johannes aderì alla fede cattolica e assunse il nome di Angelus Silesius. Poco dopo fu nominato medico di corte dell’imperatore Ferdinando III e nel 1657  pubblicò gli scritti che aveva composto nel frattempo. Al fine di spogliarsi progressivamente dei propri beni, costituì fondazioni in favore di monasteri e di poveri. In quello stesso anno, venne ordinato sacerdote. Nel 1671 ottenne ospitalità in un monastero cistercense, dove trovò modo di sottrarsi agli attacchi che, dai tempi della sua conversione, gli venivano dagli ex-correligionari. Visse gli ultimi anni in assoluta povertà, dedito alla preghiera e alla contemplazione, morendo il 9 luglio 1677.

 

09 AUGUSTUS TOLTON.jpgAugustus Tolton nacque, secondo di quattro figli, nella famiglia di una coppia di schiavi cattolici, Peter Paul e Martha Jane Tolton, a Ralls County, nel Missouri, il 1° Aprile 1854.  Allo scoppio della Guerra Civile, nel 1861, il padre fuggì dalla proprietà e si arruolò nell’esercito dell’Unione al fine di lottare per la libertà della sua famiglia e per la fine dello schiavismo. Fu uno dei 180 mila negri che morirono durante la guerra. Martha Tolton a sua volta fuggì con i figli verso la libertà, attraversando il fiume Mississippi e stabilendosi a Quincy, nell’Illinois. Crescendo, il giovane Augustus manifestò il desiderio di essere prete, ma non si trovava un seminario disposto ad accoglierlo. Senza disanimare, egli studiò dapprima col suo parroco, poi, nel 1878, fu ammesso nella scuola gestita dai francescani a Quincy, dove rimase due anni, finché ottenne di potersi recare a Roma nel Collegio Urbano, il seminario della Congregazione di Propaganda Fide. Ordinato prete nel 1886, divenne il primo prete afroamericano negli Stati Uniti. Tornato nella sua diocesi, gli fu affidata una parrocchia di negri, ma il suo carattere, la sua preoccupazione per le reali necessità della sua gente,  e le sue predicazioni lo resero presto popolare anche tra molti bianchi di origine tedesca e irlandese, che presero a frequentare la sua chiesa. Suscitando, neanche a dirlo, il risentimento e la gelosia degli altri parroci della zona. I quali nel giro di poco tempo riuscirono ad ottenere il trasferimento del “prete negro” a Chicago, dove divenne il primo pastore negro della città, profondendosi senza risparmio per la causa della sua gente e per la causa del Regno di Dio. Troppo, forse, per durare a lungo. Morì d’infarto, la notte del 9 luglio 1897, tornando da un ritiro. Aveva quarantatre anni.

 

09 Don Bruno Borghi.jpgDi Bruno Borghi abbiamo a disposizione solo pochi elementi biografici. Ne ricaviamo alcuni da un ricordo a lui dedicato a suo tempo da Adista. Cristiano e prete scomodo, fece parte, con La Pira, Balducci, Turoldo, Facibeni, Vannucci, Milani e altri, di una generazione che seppe animare e provocare salutarmente il panorama ecclesiale e politico italiano, a partire dagli anni cinquanta. Nato nel 1922,  entrò nel seminario di Firenze dove fu compagno di studi di don Lorenzo Milani, con cui instaurò una duratura amicizia. Nel 1950, scelse di lavorare in fabbrica, desiderando “immedesimarsi totalmente nella condizione della classe operaia, in cui vedeva la presenza di valori e istanze capaci di rivitalizzare una realtà sociale ed ecclesiale in cui cominciavano, dalla base, a nascere i primi fermenti del rinnovamento”. Nell’ottobre 1964 fu autore, insieme a don Milani, di una “Lettera ai sacerdoti della diocesi fiorentina”, in cui denunciava l’autoritarismo del vescovo Ermenegildo Florit. Nel 1965, sempre con don Milani, intraprese una battaglia in difesa dell’obiezione di coscienza al servizio militare, allora fuori legge. Nel 1968, scese in campo per esprimere la sua solidarietà concreta a don Enzo Mazzi, che l’arcivescovo aveva allontanato dalla comunità dell’Isolotto. In seguito Borghi abbandonò il sacerdozio. Conobbe e sposò Agnese, da cui ebbe un figlio, Giovanni. Negli anni successivi, non venne mai meno il suo impegno nella società civile, a difesa dei settori più emarginati. Si impegnò tra l’altro come volontario, a fianco dei carcerati, nel carcere fiorentino di Sollicciano. È morto il 9 luglio 2006, nella sua abitazione di Torri (Firenze).

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro della Genesi, cap.44, 18-21. 23b-29; 45, 1-5; Salmo 105; Vangelo di Matteo, cap.10, 7-15.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Nel congedarci, vi si sarebbe voluto proporre  un qualche scritto di Bruno Borghi, che però non abbiamo. Tuttavia, scorrendo il sito Pretioperai.it, ci è capitato sotto gli occhi un articolo di don Renzo Gradara. Che, forse, aiuta a capire qualcosa di questo modo di essere preti. Ed è il nostro 

 

PENSIERO DEL GIORNO 

Il modello di prete che oggi si sta facendo strada è molto diverso da quello degli anni settanta. Nei seminari si tende ad educare un prete del culto e della vita intraecclesiale, preoccupati che non si sporchi troppo le mani negli impegni del mondo; anche la carità è vista, a volte, in funzione proselitistica e non come reale servizio. Per la verità il Concilio afferma che il primo compito del sacerdote è la testimonianza della Parola di Dio; poi viene quello dell’amministrazione dei sacramenti ed infine la gestione della comunità. Spiega padre Chenu: “La testimonianza della Parola, anche senza gli altri due aspetti, realizza la verità intera del sacerdozio. Testimone di Cristo, il prete operaio è integralmente prete, anche se non di sacramenti. Ero presente al Concilio durante il dibattito su questo tema. Le discussioni furono molto accese, ma alla fine emerse questa linea”. Ho partecipato nelle settimane scorse ad una cena di amici preti, occasioni purtroppo non frequenti, ma ritempranti la comunione presbiterale. Ascoltavo con profonda gioia interiore, non senza una punta di ammirata invidia, il racconto dei risultati pastorali dei miei amici: affollati incontri di riflessione biblica, prolungate assemblee di preghiera, evidente cammino di fede delle persone loro affidate. Ho provato a chiedere, un po’ inopportunamente: “C’è qualcuno che si impegna anche socialmente, che perde un po’ di tempo nel sindacato?”. Ma è poi così importante? E’ sembrata essere la silenziosa risposta. (Renzo Gradara, Serve un prete in fonderia?).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Luglio 2009ultima modifica: 2009-07-09T23:59:00+02:00da fraternidade
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