Giorno per giorno – 13 Giugno 2009

Carissimi,

“Non giurate affatto… Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5, 34. 37). Se il Regno è di Dio, se cioè la Verità regna tra noi, non c’è nessun bisogno di giurare. Si giura quando non ci si fida, noi degli altri, gli altri di noi. E se non ci fidiamo, è forse perché si ha qualche scheletro nell’armadio. Noi, a dire il vero, non ci s’ha l’abitudine a giurare, sicché ci tocca di più l’invito alla sobrietà del parlare, presente nella seconda parte del Vangelo di oggi. Non tanto nel senso di limitare le parole, quanto di piegarle alla ricerca del facile consenso, farne strumento di adulazione o, al contrario, di giudizio avventato, di chiacchiera e di pettegolezzo. Che, quando succede, c’è qualcosa che non va. In chi lo fa, più che in coloro  che ne sono l’oggetto. Per questo Gesù ci invita a limitarci al “sì, sì, no, no”, alle parole essenziali. Nel rispetto della Verità. Già, ma cos’è la Verita? Verità è l’atteggiamento di Dio: la sua cura per gli Ultimi, che si esprime nel guardare a loro, nell’ascoltarne il clamore, nell’intuirne il grido che spesso sale dai loro silenzi, e nell’unirsi a loro per liberarli (Es 3, 7-8). Sorprendente questo Dio che si lascia convertire dai poveri! Un Dio, potremmo definirlo, “secolarizzato”, che non si preoccupa più del culto che gli è dovuto, ma della felicità dei suoi figli. Ora, questo Dio, è anche Colui che si è reso presente nell’evento e nella persona di Gesù. Sapendo, e avendo scelto questo, non sarà difficile per noi, ripetere e ripeterci, di volta in volta: Ciò che stai facendo è (o non è) conforme  a verità.  Nient’altro. Perché “il di più viene dal maligno”.

 

Oggi è memoria di Antonio di Padova, evangelizzatore e amico dei poveri.

 

13_ANTONIO_DI PADOVA.jpgNato a Lisbona nel 1195, il giovane Fernando de Bulhões y Taveira de Azevedo entrò nell’Ordine dei Canonici regolari di S. Agostino, e fu ordinato sacerdote a ventiquattro anni. Dopo i primi anni nel convento di Lisbona, chiese ed ottenne di essere trasferito nel monastero della Santa Croce a Coimbra. Qui però, la nomina a priore di un monaco del tutto alieno alla vita ascetica e che, con uno stile di vita dissoluto, contribuì a sperperare in poco tempo le sostanze del monastero e, più ancora, a danneggiarne il buon nome, tanto da esser presto scomunicato da papa Onorio III, la comunità finì per spaccarsi in due: da un lato i sostenitori del priore e del suo stile, dall’altra quanti desideravano invece condurre un vita austera, modesta e tutta dedita a Dio. Tra questi, ovviamente, il giovane Fernando. Quando passarono da Coimbra i primi frati francescani diretti in Marocco, Fernando restò incantato dalla loro radicalità evangelica e intuì che quello sarebbe stato il suo cammino. Entrò così  nell’ordine dei frati minori, cambiando il suo nome in quello di Antonio, e si imbarcó per il Marocco come missionario. Una malattia insorta durante il viaggio frustrò i suoi piani di recarsi ad annunciare il Vangelo alle popolazioni islamiche. Si recò allora in Italia, dove, dopo aver preso parte al Capitolo generale di Assisi, presente lo stesso Francesco d’Assisi, si stabilì. Qui si fece presto conoscere come grande oratore. La sua predicazione, che richiamava moltitudini immense, rifletteva una profonda conoscenza della Sacra Scrittura. Passò come un turbine, combattendo gli errori dottrinari del suo tempo, la corruzione e la rilassatezza del clero, l’arroganza e la prepotenza di ricchi e potenti contro la gente povera e semplice. Ammalatosi, morì il 13 giugno del 1231.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

2ª Lettera ai Corinzi, cap.5, 14-21; Salmo 16; Vangelo di Matteo, cap.5, 33-37.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Grande festa, quest’oggi, all’insediamento agricolo “Dom Tomas Balduino” (già Ferreirinha) , uno dei ventitre “assentamentos” nati, nella nostra diocesi, dalla lotta dei “sem-terra” negli ultimi decenni; lotta che ha dato terra, lavoro, pane e dignità a circa 1500 famiglie. Si è trattato della “VI Festa da Colheita” (VI Festa del Raccolto) che si celebra da qualche anno per iniziativa della Commissione Pastorale della Terra (CPT), del Movimento Piccoli Agricoltori (MPA) e della Diocesi di Goiás, “per ricordare e commemorare tutto ciò che è stato piantato e che, oggi, può essere raccolto”. Quanto è stato seminato nella terra, ma anche nella storia di tante persone: “i semi della lotta per la Riforma Agraria, della coscientizzazione ambientale, della lotta per i popoli dell’Amazzonia, della dignità, della cittadinanza, del riso, del mais, dei fagioli e della pace”. A cui la nostra Chiesa ha dato e continua a dare un grande contributo. Chiesa del “sì, sì, no, no”, ad alto prezzo; nei suoi tempi migliori, a prezzo del martirio. 

 

I profeti sono personaggi scomodi. Il loro linguaggio è spesso ostico, duro, carico com’è di minacce, insulti, imprecazioni, di invettive violente o di pungente ironia ai limiti della tollerabilità. Basta rileggersi i profeti dell’Antico Testamento. Anche Antonio di Padova, lungi dall’essere il santo sdolcinato che così spesso ci propinano, si trasformava spesso in leone, non a difesa di qualche privilegio della chiesa, ma in difesa dei poveri. Come potrete leggere in questo brano di un suo sermone, nella X Domenica dopo Pentecoste, a commento di alcuni versetti del libro di Giosuè (Gs 7,13.19.21.24-25). Che vi proponiamo, nel congedarci, come nostro     

 

PENSIERO DEL GIORNO

Acan s’interpreta “che corrompe”, o anche “rovina del fratello”, ed è figura del ricco di questo mondo che corrompe la giustizia, sottraendo ai poveri i loro beni, o negando loro quello di cui hanno diritto, e così diventa la rovina del fratello. […] I ricchi e i potenti di questo mondo sottraggono ai poveri la loro misera sostanza, conquistata con il sangue, con la quale in qualche modo si proteggono: la tolgono ai poveri, che essi chiamano “i nostri villani”, cioè servi della campagna, mentre proprio essi, i ricchi, sono i servi del diavolo. […] E la conoscenza dell’Antico e del Nuovo Testamento […] la rubano i prelati e i chie­rici, quando la imparano non per istruire ed edificare, ma per ricavarne lodi e onori. Perciò dice di essi Salomone: “Un anello d’oro al naso di una scrofa, tale è la donna bella ma fatua” (Pro 11,22). Il termine sus (maiale), usato nei Proverbi, può indicare anche la scrofa. La donna bella è figura dei chierici. Essi sono donna, in lat. mulier, perché molli, effeminati e corrotti, si presentano per denaro nei tribunali e nelle curie, come le prostitute. Bella per la sontuosità delle vesti, per la folla dei nipoti, e forse anche di figli, e per l’accumulo delle prebende. Fatua, perché non capisco­no ciò che essi stessi o gli altri dicono (in lat. fantur); tutto il giorno gridano in chiesa, abbaiano come cani, ma non capiscono neanche se stessi, perché hanno il corpo in coro ma il cuore nel foro (in piazza). E anche se ascoltano una predica, non capiscono. Predicare ai chierici e parlare ai cretini: quale utilità in entrambi i casi, se non chias­so e fatica? (Antonio di Padova, Sermoni, Domenica X dopo Pentecoste).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Giugno 2009ultima modifica: 2009-06-13T23:38:00+02:00da fraternidade
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