Giorno per giorno – 24 Aprile 2009

Carissimi,
“Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?” (Gv 6, 8-9). Chi ha fatto catechismo una decina di lustri addietro, ricorderà che uno dei precetti generali della Chiesa che si imparavano a memoria suonava così: comunicarsi almeno a Pasqua. Il tema dell’Eucaristia, assieme a quello del battesimo, come si è visto nei Vangeli dei giorni scorsi, percorre e s’intreccia con il tempo liturgico della Pasqua. Peccato però che, spesso, nell’uno e nell’altro caso, esso sia ricondotto al suo aspetto rituale, senza quasi nessun aggancio alla vita reale. Il Vangelo, invece, non è immaginabile senza la preoccupazione di Gesù per le condizioni concrete della gente che incontra: le sue fami, malattie, lutti, tristezze, fatiche, povertà, sogni e delusioni, slanci di generosità, egoismi, tradimenti. E senza la sua risposta, senza la risposta che Lui è, a tutto ciò. Sicché, dove e quando, l’Eucaristia, il tema del Pane, si riduce a rito, non c’azzecca niente. Se apro la bocca per cibarmi di quel Pane, senza darmi pensiero del pane quotidiano che manca in tante bocche, sto, come si dice con linguaggio d’altri tempi, commettendo un sacrilegio. Punto e basta. “Noi non eravamo orfani. Non abbiamo mai indossato la maschera di dolore e di desolazione dell’orfano, perché non abbiamo mai sentito l’assenza di bontà e affetto. Il nostro era un volto collettivo, duro, amaro, dispettoso. Odiavamo tutti e ci odiavamo a vicenda. Ogni sorta di bugia era la nostra difesa. Ed era legge naturale picchiare i deboli, essere picchiati dai più forti. Per un pezzo di pane delle dimensioni di un pugno, noi lottavamo, picchiavamo, sanguinavamo. Amore era una parola incomprensibile, amicizia un sentimento sconosciuto. Il pane era il compagno, l’amico, e l’amore”. Lo scrive Andranik Zaroukian in “Men without Childhood” (Ashod Press). L’autore aveva due anni nel 1915 quando fu deportato con la madre dalla dittà di Gurun, nella Turchia centrale, con altre migliaia di armeni, donne, bambini, anziani. Dopo aver attraversato il deserto siriano, raggiunsero Aleppo, nella Siria settentrionale dove trovarono rifugio. Lì, il bambino, assieme a molti altri coetanei, fu affidato ad un orfanatrofio via l’altro, dove trascorse la sua infanzia. Lui (e quanti come lui) e il pane comune. Noi e il pane dell’Eucaristia. Vale la pena di pensarci su un po’.

Il 24 aprile gli armeni ricordano Metz Yeghern (il Grande Male), che designa lo Sterminio di un milione e mezzo di civili armeni, deciso dal governo dei “giovani turchi” durante la prima guerra mondiale.

24 Armeniankids.jpgIl 24 aprile 1915, con l’arresto e la deportazione dell’intera élite armena di Costantinopoli – ecclesiastici, politici, letterati, avvocati e giornalisti -, prese il via l’eliminazione sistematica del popolo armeno sul territorio ottomano. Nella sola primavera del 1915 circa 600 mila armeni furono massacrati dall’esercito turco. Gran parte dei massacri avvenne il 24 aprile. Il Partito di governo “Unione e Progresso”, laicista e antireligioso, pretese di giustificare il genocidio con la volontà di “salvare la madrepatria dalle ambizioni di questa razza maledetta e di prendersi carico sulle proprie spalle patriottiche della macchia che oscura la storia ottomana. La Jemiet (= l’Assemblea), incapace di dimenticare tutti i colpi e le vecchie amarezze, ha deciso di annientare tutti gli armeni viventi in Turchia, senza lasciarne vivo nemmeno uno e a questo riguardo è stato dato al governo ampia libertà d’azione…”. Il decreto provvisorio di deportazione, datato maggio 1915, e quello di confisca dei beni non furono mai ratificati dal parlamento. Tra le prime vittime, ci furono i maschi adulti, chiamati a prestare servizio militare, e passati per le armi. Seguì la fase dei massacri e delle violenze indiscriminate sulla popolazione civile. Per ultimo, i superstiti furono costretti ad una terribile marcia nel deserto, con destinazione Deir es-Zor, in Mesopotamia. Lungo il cammino, i prigionieri, lasciati senza cibo, acqua e scorta, morirono a migliaia. I sopravvissuti furono gettati in caverne e bruciati vivi, altri annegati nel fiume Eufrate e nel Mar Nero. Pochissimi furono coloro che, per salvare la vita, rinnegarono la fede dei padri.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.5, 34-42; Salmo 27; Vangelo di Giovanni, cap.6, 1-15.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

“Questa è infatti la tua consuetudine: dare agli altri, senza negoziare”. Così è Dio. C’era, quel giorno, un ragazzo con cinque pani d’orzo e due pesci. Anche lui li mise semplicemente a disposizione, senza negoziare. Si era evidentemente lasciato raggiungere dalla stessa preoccupazione di Gesù per la fame altrui. Gesù conta sulla inquietudine, sulla disponibilità, sul gesto generoso di alcuni, per saziare la fame di molti. Conta anche su di noi, se lo vogliamo. E noi ci si congeda qui, lasciandovi alla parole di un antica anafora della liturgia siriaca, di cui vi abbiamo già anticipato la conclusione e che è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dio, / essere al cui potere nessuno resiste. / Tu sei uno, / tu solo natura santa e sostanza adorabile. / Tu che sei come tu sei / e che come sei nessuno lo sa. // Tu, che stupore è il tuo Nome / e tremore è la tua memoria / e meraviglia è la narrazione su di te / e timore è la storia della tua sostanza. // Tu che davvero sei buono / e non c’è nulla che somigli alla tua bontà. / Non si avvicina alla tua bontà / l’essere a te somigliante, / poiché, secondo verità, immutabile è la tua bontà. // Tu sei la causa della tua bontà, / poiché la tua natura è fonte / della tua stessa compassione. // Da te sale e su tutti si effonde / la ricca sorgente della tua misericordia. / Non prendi da altri ciò che agli altri dài, / poiché non c’è nessuno che, più ricco di te, / possa prestare a te; / né, poi, sei indigente da dover chiedere in prestito, / poiché in te e davanti a te / è radunata la ricchezza di tutti i viventi. // Tu che sai solo far grazia / e persuadi le tue opere / ad accettare la tua grazia, / chiama le tue opere ad accogliere i tuoi doni. / Questa è infatti la tua consuetudine: / dare agli altri, senza negoziare. (Da un’antica anafora siriaca del VI secolo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Aprile 2009ultima modifica: 2009-04-24T23:57:00+02:00da fraternidade
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