Giorno per giorno – 11 Marzo 2009

Carissimi,
“I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20, 25-28). Già, il “segno” del Figlio dell’uomo, cioè della sua signoria su di noi è il suo essersi fatto servo. Solo che, così facendo, ci ha messo irrimediabilmente nei pasticci. Perché noi non possiamo essere suoi discepoli, né sua chiesa, se non ricevendo il suo stesso battesimo, e conformandoci al suo modo di agire. Cioè, servendo il mondo, l’umanità. Non, come spesso ci capita di fare, servendocene. Sempre a fin di bene, naturalmente. Per la maggior gloria di Dio. O magari solo dell’io. Se non accettiamo questo segno, se non mettiamo la nostra vita sotto questo segno, Gesù non è il Signore. Almeno per noi e per quella parte di mondo che ci può stare a guardare, in attesa di qualcosa di diverso, di nuovo. Come, per esempio, il Regno. E noi ne portiamo la responsabilità.

Di uno che, il battesimo di Gesù e la sua prassi, li ha fatti propri sino alle estreme conseguenze, noi facciamo memoria oggi: James Reeb, pastore e martire per la giustizia negli Stati Uniti.

11 JAMES REEB.jpgJames Reeb era nato a Wichita, nello Stato del Kansas (USA), il 1° gennaio 1927. Pastore unitariano, Reeb era militante nel movimento per i diritti civili. Chi lo conobbe lo descrive come una persona sensibile e benevolo con tutti, e uno spirito costantemente in ricerca. Era stato cappellano presbiteriano in un Ospedale di Filadelfia, poi pastore ausiliare della Chiesa Universalista Unitariana a Washington, dove aveva profuso le sue energie soprattutto nell’impegno sociale. Fu lì che scoprì la sua vocazione, maturando la decisione di trasferirsi a Boston, per lavorare in un progetto della Società degli Amici (Quaccheri) a favore della popolazione afro-americana. Nel marzo 1965, Martin Luther King indisse una marcia di protesta per affermare il diritto al voto della popolazione negra dell’Alabama. La manifestazione, proibita dal governatore George Wallace, doveva partire da Selma per raggiungere la capitale, Montgomery. Il primo tentativo fu selvaggiamente respinto dalla polizia il 7 marzo. Le immagini del brutale intervento furono trasmesse dalle televisioni di mezzo mondo ed anche James Reeb le vide. Ne fu scosso a tal punto che decise di prendere il primo volo per essere anche lui presente e dare il suo sostegno a quella mobilitazione. La sera del 9 marzo, lui e altri due pastori, si stavano recando alla chiesa dove era previsto un discorso di King, quando furono affiancati da quattro uomini bianchi: “Negri, ehi, negri, un momento….”. Fu inutile affrettare il passo. Una raffica di bastonate si abbattá sui tre malcapitati. Per Reeb non ci fu nulla da fare. Perse immediatamente conoscenza. Sarebbe morto, l’11 marzo, all’ospedale di Birmingham, lasciando la moglie, Mary, e quattro figli, John, Karen, Anne e Steven. Il processo che portò alle sbarre tre dei responsabili dell’aggressione, si concluse, dopo una riunione in camera di consiglio durata un’ora e mezza, con la sentenza di assoluzione. In una Autobiografia di Gandhi che teneva con sé, Reeb aveva a suo tempo sottolineato queste parole: “Tutti i piaceri e i possessi impallidiscono e diventano nulla a confronto con il servizio reso in spirito di gioia”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da :
Profezia di Geremia, cap.18, 18-20; Salmo 31; Vangelo di Matteo, cap.20, 17-28.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano la Verità del mondo e l’Assoluto della loro vita, lungo i sentieri dell’impegno per la pace, la giustizia e la fraternità tra popoli e individui.

Non abbiamo sottomano citazioni di James Reeb, ma possiamo proporvene una di Martin Luther King, di cui egli ha condiviso la battaglia ideale fino all’estremo sacrificio della vita. La troviamo in un libretto che raccoglie i pensieri di King e che ha per titolo “Il sogno della non violenza” (Feltrinelli). È per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il principio della resistenza non violenta cerca di conciliare la verità di due opposti – l’acquiescenza e la violenza – evitando al contempo l’estremismo e l’immoralità di entrambi. Il resistente non violento è d’accordo con l’acquiescente sul fatto che non si deve aggredire fisicamente il proprio oppositore; ma bilancia l’equazione quando si dichiara altresì d’accordo con il violento sul fatto che è necessario opporre resistenza al male. Evita la non resistenza del primo e la resistenza violenta del secondo. Con la resistenza non violenta nessun individuo o gruppo deve accondiscendere ad alcuna ingiustizia, e nessuno deve ricorrere alla violenza per correggere un’ingiustizia. (Martin Luther King Jr., Il sogno della non violenza).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Marzo 2009ultima modifica: 2009-03-11T23:52:00+01:00da fraternidade
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