Giorno per giorno – 10 Ottobre 2008

Carissimi,
“Gesù stava cacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle rimasero maravigliate” (Lc 11, 14). Gesù ha appena insegnato ai suoi a chiamare Dio “Padre nostro”, e a trarre da questo riconoscimento tutte le conseguenze che si debbono trarre. Valdecì, stamattina, diceva che noi siamo posseduti dallo spirito muto, ogni volta che non sappiamo vivere le relazioni di fraternità capaci di attestare che noi siamo davvero figli dell’unico Padre. E, stasera, leggendo il discorso pronunciato nei giorni scorsi da Ingrid Betancourt al Parlamento Europeo, ci è parso che esso rappresentasse il commento migliore a questo Vangelo. Diceva infatti: “Abbiamo il diritto di continuare a costruire una società dalla quale la maggioranza è esclusa? Possiamo insistere nell’occuparci solo della nostra felicità quando questa felicità è la maledizione degli altri? Così come il cibo che gettiamo non sazia la fame di chi ha fame. E se noi cercassimo modelli di nutrizione razionali per permettere ad altri di godere dei benefici della modernità? Sono convinta che la difesa dei diritti dell’uomo passi per la trasformazione del costume e delle nostre abitudini. Dobbiamo essere coscienti della pressione che questo modo di vivere esercita su coloro che non ne hanno accesso… Dobbiamo cominciare a riconoscere agli altri il diritto a desiderare ciò che noi desideriamo. E poi c’è il nostro cuore. Siamo tutti capaci di essere migliori, ma sotto la pressione del gruppo siamo anche disposti al peggio. Non sono sicura che tutti possano premunirsi contro la possibilità di diventare crudeli”. Già, cosa diceva il Signore a Caino? “Il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dóminalo!” (Gen 4, 7). E il peccato, la radice di ogni peccato, è la negazione della paternità di Dio e restare muti e indifferenti dinanzi ai fratelli. Questa tentazione non sarà mai vinta una volta per tutte. Infatti, ci avverte il Vangelo: “quando lo spirito immondo esce dall’uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell’uomo diventa peggiore della prima” (Lc 11, 24-26). Per questo Gesù ci invita a pregare: Non permettere che cadiamo nella tentazione (Lc 11, 4).

Tre sono le memorie che il nostro calendario ci propone oggi: Jules Monchanin (Swami Parama Arubi Anandam), precursore del dialogo tra cristianesimo e induismo; Michele Pellegrino, pastore e profeta di una Chiesa rinnovata, Daniele Comboni, missionario del Regno in Africa.

1917712165.jpgLa vita di Jules Monchanin, nato a Fleurie, in Francia, il 10 aprile 1895, fu quella di un pioniere dell’incontro tra le religioni, vissuta fino al limite delle sue possibilità fisiche, psicologiche, intellettuali e culturali. Ordinato presbitero, nel 1938 si trasferì nell’India del Sud, dove si mise a disposizione della Chiesa di Tiruchirapalli. Dopo qualche anno, assieme a Henri Le Saux, fondò l’ ashram della Trinità, assumendo il nome di Swami Parama Arubi Anandam (= Felicità dello Spirito Santo). Monchanin credette profondamente che la spiritualità hindu potesse arricchire e vivificare il cristianesimo. Fermamente convinto, fin dall’inizio del suo ministero sacerdotale che la missione del cristiano fosse quella di stabilire una relazione dialettica con il pensiero scientifico moderno e con le altre religioni, dedicò tutto se stesso a questo fine. Alla fine dell’agosto 1957 gli fu diagnosticato un tumore e gli fu suggerito di tornare in Francia per essere operato. Fu ricoverato all’ospedale Saint-Antoine di Parigi, stremato e ridotto a 42 kg di peso. Lo stato di avanzamento della malattia, rese impossibile operarlo, e Monchanin, il 10 ottobre 1957, dopo aver ricevuto il viatico, stese le braccia in forma di croce come estremo gesto di offerta e dopo alcune ore spirò dolcemente.

1182000154.jpgMichele Pellegrino era nato a Centallo (Cuneo) il 25 aprile 1903. Sacerdote a soli 22 anni nella diocesi di Fossano, fu professore di Letteratura cristiana antica e di Storia del cristianesimo all’Università di Torino, fino a quando, nel 1965, papa Paolo VI lo chiamò alla guida della Chiesa torinese. L’amore per la Parola di Dio e la profonda conoscenza dell’insegnamento dei Padri, ne fecero un pastore sensibilissimo, sollecito e coraggioso di fronte alle necessità e alle sfide inedite che via via si manifestavano nella comunità dei fedeli e nella società civile del tempo. Rassegnate le dimissioni, nel luglio del 1977, continuò negli anni successivi ad impegnarsi in Italia e all’estero sui temi dell’attuazione del Concilio, della povertà, della comunione, del dialogo interreligioso e della libertà nella comunità dei credenti in Cristo. Colpito da ictus cerebrale, l’8 gennaio 1982, paralizzato e reso afono, chiese di passare quanto gli restava da vivere tra gli ultimi degli ultimi, al Cottolengo. Lì si spese leggendo i Padri della Chiesa, sgranando senza sosta il rosario, visitando, sorridendo e benedicendo gli altri malati. Fino a che la morte lo colse la mattina del 10 ottobre del 1986.

587874235.jpgDaniele Comboni era nato in una povera famiglia contadina, quarto degli otto figli di Domenica e Luigi Comboni, a Limone sul Garda (Brescia) il 15 marzo 1831. Durante gli studi a Verona aveva maturato la sua vocazione, che lo portò, completati gli studi di filosofia e teologia ad essere ordinato sacerdote nel 1854 e a partire, tre anni dopo, per la sua prima missione in Africa, con destinazione Khartoum, la capitale del Sudan. Da lì scrisse ai genitori: “Dovremo faticare, sudare, morire, ma il pensiero che si suda e si muore per amore di Gesù Cristo e della salute delle anime più abbandonate del mondo è troppo dolce per farci desistere dalla grande impresa”. Tornato in Italia, elaborò nel 1864 un Piano per la rigenerazione dell’Africa, sintetizzabile nello slogan “Salvare l’Africa con l’Africa”, espressione della sua fiducia incrollabile nelle risorse umane e religiose delle popolazioni africane. Sull’onda di questa sfida, fondò, nel 1867 e nel 1872, l’Istituto maschile e l’Istituto femminile dei suoi missionari, che saranno conosciuti in seguito come Missionari Comboniani e Suore Missionarie Comboniane. Nominato Vicario aprostolico dell’Africa Centrale e consacrato vescovo nel 1877, dedicò i suoi ultimi anni con instancabile energia a battersi contro la piaga dello schiavismo e a consolidare l’attività missionaria con gli stessi africani. Il 10 ottobre 1881, a soli cinquant’anni, stroncato dalle fatiche e dalla malattia, moriva a Khartoum, tra la sua gente.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Galati, cap.3, 7-14; Salmo 111; Vangelo di Luca, cap.11, 15-26.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Il 20 febbraio 1948, a tre settimane dall’uccisione del Mahātma Gandhi, Jules Monchanin ne tratteggiò un ricordo in un’allocuzione pronunciata all’Alliance Française di Pondichéry, che verrà pubblicata in seguito nel suo libro “Mistica dell’India, mistero cristiano” (Marietti). Nel congedarci, scegliamo di offrirvene un brano come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Gandhi ha un messaggio anche per il mondo? Il mondo è in attesa. La purezza dei mezzi deve uguagliare quella del fine; questo, io credo, è il messaggio del Mahātma. Abbiamo appena visto all’opera una dottrina che si era prefissata un fine impuro: lo smembramento dell’umanità in uomini e sottouomini. Una simile dottrina non può che utilizzare mezzi impuri. Un’altra dottrina voleva e persiste a volere una società senza classi e senza stato. Se il fine, in questo caso, può essere considerato puro, perlomeno visto nelle sue altezze filosofiche, i mezzi troppo spesso sono soltanto l’astuzia, la menzogna, la forza e la guerra. Noi invece vogliamo che l’unità sia ottenuta con la purezza dei mezzi, a scala umana. Vogliamo non l’astuzia, ma la verità; non l’odio, ma l’amore; non il sacrificio degli altri, ma quello personale. Chiediamo l’amore dell’altro in quanto altro. Così l’umanità sarebbe riconciliata con se stessa, come l’India lo sarebbe con se stessa, poiché India e umanità sarebbero riconciliate con la Verità. Dobbiamo concludere questo omaggio con il silenzio, proprio come l’avevamo iniziato. Sentiamo risuonare in noi questo canto di ispirazione vedica: “Guidaci dal Non-Essere all’Essere, / dalle Tenebre alla Luce, / dalla Morte all’Immortalità. / O tu che sei non-manifestato, manifestati a me / sotto le specie della Verità, / sotto le specie dell’Amore!”. (Jules Monchanin, Mistica dell’India, mistero cristiano).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Ottobre 2008ultima modifica: 2008-10-10T23:48:00+02:00da fraternidade
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