Giorno per giorno – 15 Maggio 2008

Carissimi,
”E voi chi dite che io sia?” (Mc 8, 29). Per davvero, non così per dire, ripetendo magari formule astruse che neppure comprendiamo bene. Chi sia per noi lo rivela il nostro comportamento, l’accoglierlo, il farlo nostro, l’incarnarlo. È la seconda persona della santissima Trinità? E che vor dì? Perché non la quarta? È il Figlio di Dio, lui là, noi qua? Serve a niente. È un grande profeta, un illuminato, un ribelle e rivoluzionario? Serve meno ancora. È la verità di Dio, perciò la verità della nostra vita? Fuochino, fuoco. Ci siamo quasi. Ma, appunto. La verità della nostra vita, è la nostra vita ad attestarla. E, allora, noi siamo ben al di qua dall’avere solo cominciato. Come cominciare del resto, se neppure lo conosciamo? Se il Vangelo ci capita solo di rado (sempre che capiti) di prenderlo in mano. Come appassionarci di Lui, senza averlo incontrato? E come viverlo, senza aver abbandonato tutto di noi stessi, giocandoci esclusivamente sulla sua parola? No, Gesù caro, non c’è proprio bisogno che ci raccomandi di non dirlo a nessuno chi Tu sia. Le nostre vite, prima che le nostre bocche, sono assolutamente mute. Tu, del resto, neppure ci sei più, sparito probabilmente con il primo dei fogli di via che il potere e la nostra buona coscienza, con sollievo di tutti, hanno cominciato a distribuire. Tu, da sempre – e sempre più – clandestino nelle contrade del mondo e nelle nostre anime. Resti solo crocifisso sulle pareti delle chiese, dei tribunali e delle scuole, perché non ci si dimentichi come si crocifigge un uomo. E con lui, Dio.

Oggi è memoria di Isidoro, il contadino, di Pacomio, padre del monachesimo e di Michel Kayoya, martire nel Burundi.

354894505.jpgDi Isidoro, sappiamo proprio poco. Nacque in una famiglia contadina e fece sempre il bracciante. Gli piaceva lavorare la terra, ma trovava il tempo, ogni giorno, di ritagliarsi i suoi spazi di gratuità, partecipando alla Messa e dedicandosi alle sue devozioni. Con un certo spasso dei suoi compagni di lavoro.Ma lui li lasciava dire. Incontrò la donna che faceva per lui, una tale Maria, che sposò e da cui ebbe un figlio, morto da piccolo. Vissero insieme il resto della vita, lui lavorando duro fuori casa, e lei dentro. E il denaro che si sudavano, poco, bastava comunque per tanti. Se un povero bussava alla porta, per loro era sempre il Povero. E non se ne andava mai via a mani o con la pancia vuote. E loro erano pieni di allegria. Un giorno poi lui, uno dei piccoli amati da Dio, morì. Era il 15 maggio 1130.

720528245.jpgPacomio era nato nell’Alto Egitto, l’anno 287, da genitori pagani. A vent’anni era stato arruolato a forza nell’esercito imperiale e, durante un trasferimento, era finito in carcere a Tebe con tutte le reclute. Fu in quell’occasione che il giovane venne per la pria volta a contatto con dei cristiani: gente che di notte portava ai prigionieri del cibo. Chi vi manda, chiedevano loro. Il Dio del cielo, rispondevano. E Pacomio pregò allora quel Dio di liberarlo, che lo avrebbe servito per la vita intera. Quando fu congedado, si recò a Khenoboskion e si aggregò ad una piccola comunità cristiana, dove fu istruito nei santi misteri, al fine di ricevere il battesimo. Visse lì per un certo tempo, dedicandosi al servizio della gente. Conobbe un vecchio anacoreta, Palamone, e lo scelse come guida spirituale. Infine gli giunse un’illuminazione: perché non dar vita a una comunità alternativa? C’erano altri cristiani e cristiane che si erano allontanate dalle città, insoddisfatte dello stile di vita che le caratterizzava. Forse valeva la pena di mettersi insieme e provare a se stessi e agli altri che “un altro mondo era possibile”. Si stabilirono nel villaggio abbandonato di Tabennesi e cominciarono ad organizzarsi in una vita di preghiera, lettura della Parola di Dio e lavoro manuale. Nasceva così il monachesimo cenobitico. Al vescovo Atanasio che gli chiese un giorno: Ma insomma chi diavolo siete?, Pacomio rispose: siamo semplici cristiani. Perdinci, ma se è vero che il monaco è un semplice cristiano, allora ogni cristiano è un monaco. Corretto, ma nell’uno e nell’altro caso, vale la pena di aggiungere: se si prende sul serio. Pacomio morì nel 346, durante un’epidemia di peste, dopo aver servito i suoi sino alla fine.

505393510.jpgMichel Kayoya era nato nel 1934 a Kibumbu, in Burundi. Entrato in seminario, dopo gli studi filosofici, nel 1958 venne mandato in Belgio a studiare teologia. Nel 1963 fu ordinato sacerdote. Nominato vice parroco a Rusengo, si impegnò nei movimenti di Azione Cattolica e assunse la responsabilità delle cooperative. Dal 1967, per tre anni, fu rettore del seminario minore di Mugera; nel 1970 fu chiamato a ricoprire l’ufficio di economo generale della Diocesi di Muynga. Nel mese di aprile 1972, le autorità ecclesiastiche l’obbligarono a lasciare il luogo. Il 15 maggio venne ucciso dai Tutsi nel corso del massacro che costerà la vita ad altre 200 mila persone. Il cadavere fu gettato in una fossa comune. Era sostenitore di un umanesimo che ha alla base il rispetto: “Rispetto del povero, rispetto del piccolo, rispetto del vecchio, rispetto dell’invalido”. Il contrario della civiltà occidentale. A chi gli chiedeva conto del perché fosse cristiano, rispondeva: “Ho deciso di restare cristiano non per paura di impegnarmi, non per paura di lottare. Come cristiano sentivo in me una gioia, un motivo di impegno superiore ed un’energia nuova per consacrarmi alla causa dei miei fratelli, gli uomini. Ero cristiano, volevo che nella lotta contro la fame, la carestia, l’ingiustizia, il disonore, il mio popolo si tessesse un’eternità vera”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera di Giacomo, cap. 2,1-9; Salmo 34; Vangelo di Marco, cap. 8,27-33.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È un po’ tardi e noi si ha un certo desiderio di cadere tra le braccia di Morfeo, prima che sulla tastiera. Così ci congediamo rapidamente e vi incolliamo qui sotto una citazione tratta dalle “Catechesi” di Pacomio, che vi auguriamo di leggere con calma e a vostra edificazione e profitto. È per oggi il nostro

Pensiero del giorno
Non hai sentito Cristo che dice: Perdona fino a settanta volte sette? Non hai versato lacrime più volte supplicando: Perdona tutti i miei peccati ? E allora se tu esigi dal tuo fratello quel poco che ti deve, subito lo Spirito di Dio pone davanti a te il giudizio e il timore dei castighi. Ricordati che i santi furono stimati degni di essere oltraggiati, ricorda che Cristo fu oltraggiato, insultato, crocifisso a causa tua, ed egli subito colmerà il tuo cuore di misericordia e di timore. Allora ti prostri con la faccia a terra piangendo e dici: “Perdonami, Signore, perché ho fatto soffrire la tua immagine”. Subito ti rialzi nella consolazione del pentimento e ti getti ai piedi del tuo fratello con cuore aperto, con il volto radioso e il sorriso sulle labbra e irradiando pace e sorridendo al fratello lo preghi: “Perdonami, fratello, di averti fatto soffrire”. Abbondano le lacrime e dalle lacrime viene una grande gioia. La pace esulta tra voi due e lo Spirito di Dio da parte sua gioisce e grida: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. (Pacomio, Catechesi, I, 59)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Maggio 2008ultima modifica: 2008-05-15T23:27:00+02:00da fraternidade
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