Giorno per giorno – 03 Gennaio 2008

Carissimi,
“Il giorno dopo, Giovanni vede Gesù venire verso di lui e dice: “Ecco l’agnello di Dio, che prende su di sé il peccato del mondo” (Gv 1, 29). O, secondo la traduzione più utilizzata anche qui da noi, “che toglie il peccato del mondo”. Continua nel Vangelo di oggi la testimonianza del Battista sul significato di Gesù. Che è additato come “agnello di Dio” e Giovanni, nel far questo, avrà avuto ben in mente qualcosa, ma quale delle tante immagini di agnello che ci presenta la Bibbia? E in che senso porta su di sé, o toglie, il peccato del mondo? A noi piace pensare che l’agnello in questione sia quello del quarto Canto del servo sofferente, là dove si dice: “Egli si è lasciato maltrattare, senza opporsi e senza aprir bocca, docile come agnello condotto al macello, muto come una pecora davanti ai tosatori” (Is 53,7). E, subito prima era detto: “Egli è stato ferito per le nostre colpe, è stato schiacciato per i nostri peccati. Egli è stato punito, e noi siamo stati salvati. Egli è stato percosso, e noi siamo stati guariti” (Is 53,5). E questo darebbe ragione di entrambi i significati dell’azione che il nostro Vangelo attribuisce all’agnello: “porta su di sé” e “toglie”. Si parla di Gesù, ma non solo. O meglio, si dice di Lui, in quanto egli assume di identificarsi con la sofferenza degli ultimi. Allora, l’agnello, il servo sofferente, a guardare bene, ci vive e ci passa qui accanto, ogni giorno. È ogni relitto di umanità che “fa ribrezzo a guardarlo, che non vale niente, che non teniamo in nessuna considerazione” (Is 53, 3). Frutto dell’ordine ingiusto, di un sistema di peccato che crea integrati ed emarginati, ricchi e poveri, società dell’opulenza e paesi della fame. L’agnello – popolo sofferente porta dunque su di sé le conseguenze del peccato del mondo, ma è in grado, davvero, di toglierlo, di eliminarlo? Questo dipende da noi, è affidato da Dio alla nostra scelta, alla nostra capacità di scoprire l’orrore di cui siamo se non direttamente responsabili, spesso, almeno, complici. Isaia, e con lui tutta la Bibbia, scommette di sì, che prima o poi, il peccato, l’ingiustizia, l’oppressione, la morte saranno eliminati: “Dopo tante sofferenze, egli, il mio servo, vedrà la luce e sarà soddisfatto di quel che ha compiuto. Infatti renderà giusti davanti a me un gran numero di uomini” (Is 53, 11). Speriamo che tra loro, Gesù e i nostri amici e amiche, la cui sofferenza ci avrà aperto gli occhi e convertiti, ci si ritrovi anche noi.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera di Giovanni, cap.2, 29 – 3,6; Salmo 98; Vangelo di Giovanni, cap.1, 29-34.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

La comunità del bairro in questi giorni è ancora per buona parte dispersa e voi non potete immaginare come “cada um faz falta”, come di ognuno si sente la mancanza. Ma, prima o poi, ci si ritroverà e tutto riprenderà di nuovo. Con maggior lena. Noi per oggi chiudiamo qui, offrendovi in lettura un brano di un articolo recente del Card. Carlo Maria Martini, dal titolo “La tentazione dell’ateismo”, apparso sul Corriere della Sera del 16 novembre 2007 e giratoci dall’amico Ambrogio. È per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Molti e diversi sono i modi con cui ci si avvicina al mistero di Dio. La nostra tradizione occidentale ha cercato di comprendere Dio possibilmente anche con una definizione. Lo si è chiamato ad esempio Sommo Bene, Essere Sussistente, Essere Perfettissimo… Non troviamo nessuna di queste denominazioni nella tradizione ebraica. La Bibbia non conosce nomi astratti di Dio, ma ne enumera le opere. Si può affermare che ciò che la Bibbia dice su Dio viene detto anzitutto con dei verbi, non con dei sostantivi. Questi verbi riguardano le grandi opere con cui Dio ha visitato il suo popolo. Sono verbi come creare, promettere, scegliere, eleggere, comandare, guidare, nutrire ecc. Si riferiscono a ciò che Dio ha fatto per il suo popolo. C’è quindi un’esperienza concreta, quella di essere stati aiutati in circostanze difficili, dove l’opera umana sarebbe venuta meno. Questa esperienza cerca la sua ragione ultima e la trova in questo essere misterioso che chiamiamo Dio. D’altra parte ha qualche ragione anche la tradizione occidentale. Infatti tutte le creature hanno ricevuto da Dio tutto ciò che sono e che hanno. Dio solo è in se stesso la pienezza dell’essere e di ogni perfezione, e colui che è senza origine e senza fine. Tuttavia nel mistero cristiano la natura di Dio ci appare gradualmente come avvolta da una luce ancora più misteriosa. Non è una natura semplicemente capace di tenere salda se stessa, di essere indipendente, di non aver bisogno di nessuno. È una realtà che si protende verso l’altro, in cui è più forte la relazione e il dono di sé che non il possedere se stesso. Per questo Gesù sulla croce ci rivela in maniera decisiva l’essere di Dio come essere per altri: è l’essere di Colui che si dona e perdona. (Carlo Maria Martini, La tentazione dell’ateismo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Gennaio 2008ultima modifica: 2008-01-03T23:11:00+01:00da fraternidade
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