Giorno per giorno – 09 Ottobre 2008

Carissimi,
“Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; […] vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene almeno per la sua insistenza” (Lc 11, 5-8). Se dunque voi sapete fare questo, quanto più Dio! Ovvero, il buon Dio è un po’ come dona Dominga, che non c’è ora della notte in cui se qualcuno va a bussare alla sua porta (qui, a dire il vero, non si bussa, si battono le mani), non si alzi pronta e disponibile per qualunque aiuto richiesto. Lei lo dichiara (e noi del resto lo si sa) con semplicità, senza nessuna vanteria, e lo fa con tutti, non solo amici e amiche, ma semplici vicini e persino sconosciuti. Dunque noi si può con fiducia rivolgerci a Dio per chiedere ciò di cui di volta in volta riteniamo di avere bisogno, Lui saprà darci ogni volta il suo Spirito (v.13), anche perché, inconsapevolmente, non gli si chieda una pietra, invece di pane, o una serpe invece di pesce, o uno scorpione invece di un uovo.

2107808372.jpgOggi è il 10 di Tishri ed è perciò Yom Kippur, il decimo dei giorni penitenziali, il giorno più santo e solenne dell’anno ebraico, quello di cui nella Bibbia è detto: “In quel giorno si compirà il rito espiatorio per voi, al fine di purificarvi; voi sarete purificati da tutti i vostri peccati, davanti al Signore. Una volta all’anno, per gli Israeliti, si farà l’espiazione di tutti i loro peccati” (Lv 16, 30. 34). È “Shabbat Shabbaton”, il “Sabato dei Sabati”, ovvero un sabato al superlativo, anche se non cade di sabato. Per ventisei ore, cioè da pochi minuti prima del tramonto del 9 di Tishri fino al calar della notte del 10, l’ebreo è chiamato ad esprimere la sua afflizione e il pentimento per le colpe commesse, astenendosi da ogni cibo e bevanda, da qualunque tipo di lavoro, dalle relazioni coniugali, dal lavarsi e dal profumarsi. La giornata è scandita dalla partecipazione in Sinagoga a cinque servizi religiosi: Maariv, con la recita del Kol Nidrei, la vigilia della festa; Shacharit, la preghiera del mattino; Musaf, una preghiera aggiuntiva che si usa nelle feste (dato che con Dio non è mai troppo); Minchah, la preghiera del pomeriggio, durante cui si legge il Libro di Giona; e Ne’illah, al tramonto. La confessione dei peccati “Al Chèt” viene ripetuta otto volte durante la giornata e, ad ogni momento disponibile, si recitano i salmi. La giornata è caratterizzata da un sentimento di gioia per la confidente certezza che Dio abbia accolto il pentimento, perdonato i peccati e suggellato la nostra richiesta di un anno di vita, salute e felicità. Amen!

Oggi noi si fa memoria del Patriarca Abramo, Padre di tutti i credenti nel Dio unico.

1446014837.JPGPrimo dei Patriarchi e fondatore del monoteismo ebraico, confidando nella parola di Dio, emigrò con sua moglie Sara nella terra di Canaan (Gen 12, 1ss). Come segno della sua alleanza con Dio, gli fu ordinato, quando era già vecchio, di circoncidersi (Gen 17,10) e, secondo il racconto biblico, fu dopo questo che Sara diede miracolosamente alla luce un figlio, Isacco (Gen 21,2). Una delle dieci prove di fedeltà a cui Dio sottopose Abramo fu la richiesa che gli offrisse in sacrificio proprio Isacco (Gen 22,2). L’episodio, che nell’esegesi ebraica è designato como la ’Aqedah (la legatura), è ricco di interpretazioni suggestive. Abramo è considerato il “guardiano della Torah”, ancor prima che essa fosse stata rivelata da Dio. A lui si deve la pratica della preghiera ebraica del mattino (Gen 19,27). Benevolo e compassionevole, intercedette presso Dio perché Sodoma fosse risparmiata, nonostante la malvagità dei suoi abitanti, chiedendogli quanti uomini giusti fosse sufficiente trovarvi per evitarle la distruzione. Partito da cinquanta, quando arrivò a dieci, ritenne giusto non insistere oltre (Gen 18, 23 ss). Sembra che il minian, il numero minimo di dieci uomini necessario per il culto pubblico, si fondi proprio su questa tradizione. Abramo morì a 175 anni e fu sepolto nella caverna di Macpela (Gen 25,7ss). Gode di una grande considerazione, oltre che nell’ebraismo, anche nel cristianesimo e nell’islamismo, che vedono in lui la figura perfetta del credente, che fonda gli ideali etici e culturali di queste tre religioni.

Bene, i testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Galati, cap.3, 1-5; Salmo (Lc 1, 69-75); Vangelo di Luca, cap. 11, 5-13.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Nella prima delle sue Conferenze sul Talmud, tenute a Bologna tra gennaio e febbraio del 2000, e pubblicate poi col titolo “Sei riflessioni sul Talmud” (Bompiani), Elie Wiesel rivisita l’episodio della ’Aqedah (letteralmente, il “legamento”) di Isacco e richiama la glossa fattane dal midrash. Vi proponiamo qui di seguito un brano del testo di Wiesel. Che ha a che vedere con la celebrazione del perdono, propria di Yom Kippur, ed è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Abramo, data la sua enorme fede nella bontà e nella giustizia divina, sa che il proprio figlio non morirà sull’altare. Questo è il motivo per cui trova la forza interiore di sottomettersi all’ordine datogli da Dio. Come per dichiarare: Signore dell’universo, vuoi la vita di mio figlio, la vuoi attraverso le mie mani? Hinneni, eccomi, ed ecco mio figlio. Adesso vediamo se veramente sarà necessario che io diventi lo strumento della sua morte. L’intuizione di Abramo è corretta: Dio revocherà l’ordine. Abramo riceve questa notizia da un angelo. E perché non da Dio? Per quale motivo solo Dio può ordinare una punizione mortale, mentre l’uomo si deve limitare a salvare una vita umana? Forse c’è un’altra ragione: Dio kavyakhol era imbarazzato… La storia è dunque finita? Non nel Midrash, dove il lettore è testimone di un ribaltamento sorprendente, di un vero e proprio colpo di scena: al posto di gridare la propria gioia, se non la propria gratitudine, Abramo, il primo “’Ivri, colui che viene da l’al di là del fiume”, il primo ebreo, incomincia a discutere. Non ha discusso prima, lo fa adesso. Ascoltate il Midrash. Quando Abramo sentì la voce celeste ordinargli di risparmiare il figlio Isacco, affermò: “Giuro che non mi allontanerò dall’altare prima di aver detto quello che ho da dire”. “Parla” disse Dio. “Non mi avevi promesso che i miei discendenti sarebbero stati tanto numerosi quante sono le stelle in cielo?” “Sì, te lo avevo promesso.” “ E di chi saranno i discendenti? Solo miei?” “Saranno anche i discendenti di Isacco.” “Signore dell’universo” disse Abramo, “avrei potuto dirti che il tuo ordine era in contraddizione con la tua promessa. Ho trattenuto il mio dolore e tenuto a freno la lingua. In cambio, voglio che mi prometti che ogni volta che i figli dei miei figli peccheranno, anche tu non dirai nulla e li perdonerai.” “Così sia” disse Dio. “Che continuino a raccontare questa storia e saranno perdonati.” Questa è la ragione per cui si legge la storia della ’Aqedah a Rosh ha-Shanah. Nei giorni penitenziali, ricordiamo a Dio questa promessa. Ma a Dio non importò, per così dire, essere messo alle strette? Dice il Talmud: “Colui che è Santo, benedetto sia il suo nome, ama essere sconfitto dai propri figli”. (Elie Wiesel, Sei riflessioni sul Talmud).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Ottobre 2008ultima modifica: 2008-10-09T23:03:00+02:00da fraternidade
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