Giorno per giorno – 13 Maggio 2008

Carissimi,
Lui li stava ammonendo a guardarsi dall’orgoglio spirituale e dalle sirene del potere temporale (Mc 8, 15), peccati mortali di ogni istituzione religiosa, e loro, che ancora non sapevano cosa ciò significasse, si preoccupavano più terra terra di essersi portati dietro solo un pane. Sicché Lui, a questo punto, probabilmente, non sapeva più se ridere o piangere. Poi, considerati i soggetti, ha voluto forse solo fingere di indignarsi e li ha sommersi di domande senza dar loro neppure il tempo di rispondere per poi concludere con un “Non capite ancora?” (v.21). Che era come dire: “Ma dove vi ho pescati?”. E grazie a Dio che li aveva pescati e ci ha pescati così come erano e siamo: lenti e duri di cuore, perché, diversamente, Lui che sarebbe venuto a fare? E come sapremmo noi che il suo amore è davvero senza limiti? E come potremmo noi anche solo sognare di cominciare a imitarlo? Quell’unico pane, comunque, è quanto basta. Sia esso un semplice pane, o la nostra vita, o lo stesso Gesù, cioè la dimensione del dono, che è capace di moltiplicare all’infinito quello, questa e ogni altra cosa. E c’è sempre qualcosa che avanza.

Oggi il nostro calendario ci porta le memoria di Bede Griffiths, monaco-sannyasi, e di René Voillaume, piccolo fratello di Gesù.

1373605897.jpgAlan Richard Griffiths era nato, ultimo di tre figli, il 17 dicembre 1906 a Walton-on-Thames, in Inghilterra, da una famiglia un tempo benestante, ma ora impoverita. Giunta l’età degli studi, il giovane ottenne tuttavia una borsa di studio, che gli consentirà di studiare fino al conseguimento della laurea in giornalismo, a Oxford. Dopo la laurea, per circa un anno, il giovane Griffiths visse con due amici un’esperienza di vita semplice ed essenziale, a contatto con la natura, alimentata dalla lettura della Bibbia e di altri testi di letteratura cristiana. Dopo una visita all’abbazia benedettina di Prinknash, chiese di ricevere il battesimo – che gli fu somministrato la vigilia del Natale 1931 e, l’anno successivo entrò in monastero, assumendo il nome di Bede. Nel 1937 pronunciò i suoi voti perpetui e nel 1940 fu ordinato sacerdote. Per circa quindici anni se ne stette relativamente tranquillo, scandendo la sua vita, come vuole la Regola, tra preghiera, studio e lavoro. Nel 1955, la svolta, con la richiesta di trasferirsi in India, “alla scoperta dell’altra metà dell’anima”. Assieme a Benedict Alapott, un prete indiano nato in Europa, si stabilì per tre anni a Kengeri, nel Bangalore, poi nel 1958, raggiunse p. Francis Acharya, nel Kerala, collaborando alla fondazione dell’ Ashram Kurisumala, un monastero di rito siriaco, dove assunse il nome di Dhayananda (Beatitudine della preghiera). Nel 1968, infine, si trasferì, con altri due monaci indiani, Swami Amaldas e Swami Christodas, all’Ashram Saccidananda, a Shantivanam, nello stato del Tamilnadu, vicino a Tiruchirappalli. L’ashram, fondato nel 1950 da Jules Monchanin e Henry Le Saux, era stato il primo tentativo di fondare in India una comunità cristiana che seguisse i costumi di un ashram e s’adattasse, nel modo di vivere e di pensare, allo stile indù. Bede Griffiths, che adesso prese a chiamarsi Dayananda (Beatitudine della Compassione), si conformò in tutto al costume vedico, vestendo la veste arancione del sannyasi e vivendo in assoluta povertà, fino alla morte, che lo colse, uomo dal cuore universale, il 13 maggio 1993.

1272665705.jpgRené Voillaume era nato a Versailles il 19 luglio 1905. Ordinato prete nel 1929, aveva proseguito gli studi all’Angelicum di Roma e si era poi specializzato in lingua araba e islamistica a Tunisi. L’8 settembre 1933, nella basilica parigina del Sacro Cuore a Montmartre, insieme a Guy Champenois, Marcel Boucher, Georges Gorrée e Marc Gerin, Voillaume dava inizio alla famiglia dei Piccoli fratelli di Gesù. Decisero di stabilirsi insieme a El-Abiodh, nell’Algeria del Sud, seguendo le impronte di Charles de Foucauld, l’eremita solitario che a lungo sognò, senza riuscirvi, di fondare una congregazione che avesse come ideale la vita nascosta di Gesù a Nazareth. Nel 1939, dall’incontro di Voillaume con Magdeleine Hutin, avvenuto l’anno prima, sarebbe nata la congegazione delle Piccole sorelle di Gesù. Altre famiglie sarebbero in seguito sorte, alimentate dall’intuizione spirituale di fratel Charles e dalla traduzione che Voillaume seppe farne nel cuore del nostro tempo. Quando, prima di morire Voillaume diede spazio ai ricordi autobiografici, volle sottolineare l’importanza che, nella sua vicenda spirituale, ebbero il Santissimo Sacramento e Nazareth. Quest’ultima letta nei suoi due significati di vita di silenzio, preghiera, lavoro e povertà, e quello di inserimento in un ambiente povero, in cui, fuori da ogni troppo facile retorica, si condivide la vita e il lavoro di tutti. Il 13 maggio 2003, alle soglie dei 98 anni padre Voillaume moriva a Aix-en-Provence, assistito dai rappresentanti delle varie famiglie spirituali nate dai suoi scritti e dalla sua vita.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera di Giacomo, cap. 1,12-18; Salmo 94; Vangelo di Marco, cap. 8,14-21.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa nera.

È tutto per oggi. Noi ci si congeda qui, lasciandovi a un testo di René Voillaume, tratto dal suo libro “Pregare per vivere” (Cittadella Editrice). Al buon Dio noi piacciamo così come siamo. Del resto, in buona misura, è Lui che ci ha fatti. E dove, invece, ci siamo fatti, malamente, da noi, Lui ha uno spazio aggiuntivo per mostrare la sua creatività. Dunque non ci resta che imparare a piacerci comunque. Noi, così spesso, paradossalmente, più esigenti e pignoli di Lui. Solo per poter un giorno arrivare davanti all’altare a testa alta e dire: Ti ringrazio Signore, perché io non sono come gli altri! E Lui si dispererà. Eccovi qui, comunque, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dobbiamo accettare da Dio, con riconoscenza, l’esistenza e la vita, così come ci sono state donate. C’è chi non è soddisfatto e si lamenta di essere ciò che è. Penso che siamo più o meno tutti in questa condizione. Non siamo soddisfatti di quello che Dio ci ha dato, della parte che egli ci ha assegnato; non vorremmo avere le difficoltà interiori che sentiamo, essere soggetti a tentazioni che ci umiliano, non vorremmo essere oppressi da quei complessi che ostacolano i nostri rapporti con gli altri uomini; vorremmo, infine, essere degli altri, essere diversi da ciò che si è in realtà. Inoltre, Dio ha creato il mondo, ed è prima di tutto attraverso questo mondo, così com’è, attraverso la nostra stessa esistenza, che dobbiamo imparare a scoprire l’amore di Dio per le creature. Dobbiamo amare tutto della creazione, non solo in linea di massima ma concretamente. È una tale disposizione di fede, di ottimismo vero e soprannaturale, che dava a certe dichiarazioni di papa Giovanni XXIII questa grazia particolare di comunicare la pace e la serenità a tanti uomini. Siamo felici di essere come siamo, di esistere, felici di esistere ora nel nostro tempo! Questo sembra nulla, ma un tale atteggiamento è la base per scoprire che siamo amati. Sappiamo trovare anche nelle nostre imperfezioni e nelle nostre debolezze il segno dell’amore di Dio! L’accettazione del nostro stato di povertà e di miseria spirituale dà occasione al Cristo di avvicinarsi a noi per guarirci. Dobbiamo lasciarci guarire. Avremmo preferito essere al posto del fariseo o del pubblicano, nel Tempio? Perché non trovare un motivo di azione di grazia e un segno dell’amore di Dio nelle nostre debolezze? È attraverso la debolezza dell’uomo che Dio manifesta la sua potenza. Senza la coscienza della nostra miseria come potremmo capire ciò che significa la parola «misericordia», questa inclinazione che è nel cuore del Cristo e che è in lui qualcosa di specificamente divino, che gli permette di affermare, nella pienezza, la sua divinità compatendo la nostra miseria e perdonando i nostri peccati? Per noi, poveri peccatori, è il cammino di accesso verso Dio: sapersi amati al punto di essere totalmente perdonati; e, per mantenere questo sentimento alla base della nostra vita spirituale, ci occorrerà molto spirito di fede! (René Voillaume, Pregare per vivere).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Maggio 2008ultima modifica: 2008-05-13T23:53:00+02:00da fraternidade
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