Giorno per giorno – 16 Ottobre 2016

Carissimi,
“Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 7-8). È la conclusione di una strana parabola, in cui Gesù mette in scena un giudice ingiusto (ne sappiamo qualcosa anche qui), una vedova vittima di soprusi che ricorre insistentemente a lui, con l’epilogo a sorpresa del giudice che, pur di togliersi la donna di torno, decide di farle giustizia. Una conclusione che ricorda un po’ quella della parabola dell’amico importuno: Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, immaginatevi Dio (cf Lc 11, 13). Eppure, stamattina, nella chiesa del monastero, durante la condivisione della Parola, la prima cosa che ci siamo detti è che la nostra esperienza non è proprio quella che ci permette di vedere il pronto attuarsi della giustizia di Dio, e non solo il “pronto”, ma neppure l’attuarsi ritardato, tanti sono i drammi che si prolungano nel tempo, scontando interminabili attese. Sarà allora che manca la preghiera, o che non è sufficientemente gridata, o che la si fa senza fede? Ma quale preghiera, poi? E quale fede? Il vangelo si era aperto con la nota dell’evangelista che suonava così: “Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”. E uno pensa: vittoria garantita. Tanto è vero che la prima lettura ci proponeva l’esempio di Mosè, che, intercedendo senza sosta, a braccia levate, sostenute da Aronne e da Cur, riuscì a far prevalere Giosuè e i suoi uomini nella battaglia contro Amalèk. E diamogliela buona, anche se non riusciamo proprio a immaginare il buon Dio godersela nel vedere passare a fil di spada i nemici del suo popolo, che sono suo popolo anche loro. Sarà, ci dicevamo, una sorta di parabola, per dire la lotta che dobbiamo condurre incessantemente contro i nostri istinti egoisti, gli idoli che ci portiamo dentro. La fede, allora, è questa cosa qui, che si lascia educare dalla preghiera continua, quella per cui invochiamo “venga il tuo regno, spazza via ogni altra cosa ci voglia dominare, facci strumenti della tua regalità di amore”. Allora, e solo allora, vedremo che le cose cominciano a cambiare. E la società, vedova di Dio, del suo significato, che è, nel dono di sé, vita e vita piena per tutti, assisterà al compiersi della giustizia divina, vedrà come anche attraverso noi Dio si mostra fedele al suo progetto e lo compie.

I testi che la liturgia di questa XXIX Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Esodo, cap.17, 8-13; Salmo 121; 2ª Lettera a Timoteo, cap.3, 14-4, 2; Vangelo di Luca, cap.18, 1-8.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

Il calendario ci porta oggi la memoria di Rabbi Nachman di Bretzlav, mistico ebreo, e di Agostino Thevarparampil, piccolo prete al servizio dei dalit, gli intoccabili.

Rabbi Nachman di Bretzlav, pronipote del famoso Baal Shem Tov, nacque il 4 aprile 1772 a Medzibor, e fu un alunno piuttosto distratto e svogliato. Sposatosi poco più che ragazzo, visse, da giovane, una fase di rigoroso ascetismo, rifuggendo da ogni piacere, praticando il digiuno e concentrando tutta la sua attenzione sul solo Nome di Dio. Riuscendo tuttavia a fare tutto ciò con genuina e profonda allegria dello spirito. Ben presto, la fama della sua santità gli attirò schiere di discepoli. Innamorato della natura, insegnava loro a contemplare Dio nella bellezza del creato e diceva: “Quando pregate nei campi, è tutto il mondo delle piante che viene in vostro aiuto e dá forza alle vostre preghiere” e ancora: “Venite, e vi mostrerò una nuova strada verso il Creatore. Non attraverso la parola, ma attraverso il canto! Cantiamo, e il Cielo ci comprenderà!”. Ma ammoniva anche: “Bada bene che tu sei là dove sono i tuoi pensieri. Fai attenzione che i tuoi pensieri siano dove tu vuoi essere”. Uno degli elementi centrali del suo insegnamento, era l’insistenza sul bisogno di essere sempre contenti, di non lasciarsi mai abbattere, di non avere mai paura. Spiegava che l’unico vero peccato è la tristezza e lo scoraggiamento che gelano il cuore di una persona che ha commesso un’infrazione morale o alla quale è successo qualcosa di brutto. La depressione è la radice di ogni peccato successivo, in quanto convince la persona di non essere capace di allontanarsi dalla falsa strada, di non essere capace di fare altro che errori, di non meritare nulla se non disgrazie e punizioni. Nel 1798, dopo un breve viaggio in terra d’Israele, si stabilì a Bretzlav, dove il suo insegnamento gli procurò la simpatia della gente più semplice, che egli invitava a servire Dio con la fede innocente dei bambini, ma anche l’avversione di numerosi altri rabbini. Amareggiato da tali dispute, si trasferì a Uman, dove, l’anno seguente, durante la festa di Sukkot, il 18 Tishri 5571 (16 ottobre 1810), morì di tubercolosi, all’età di 38 anni, senza nominare un successore. Il suo insegnamento e la sua figura, lungi dall’essere dimenticati, continuarono a ispirare le successive generazioni e, ancora oggi, migliaia di pellegrini si recano ogni anno sulla sua tomba a Uman.

Agostino Thevarparampil era nato a Ramapuram, nello stato indiano del Kerala, il l° aprile 1891. Terminati gli studi, era entrato in seminario e fu ordinato sacerdote il 17 dicembre 1921. Da allora il suo nome sarebbe stato solo Kunjachan, che nella lingua malayam significa “piccolo prete”, a causa della sua bassa statura. Dopo un breve periodo in cura d’anime a Kadanad, nel marzo 1926 fece ritorno a Ramapuram. Qui venne a contatto con il mondo degli ‘intoccabili’, gli appartenenti alle classi sociali più basse, quelli che Gandhi chiamava Harijan, figli di Dio, che oggi vengono detti Dalit. Agostino decise di dedicare la sua vita per migliorare le loro condizioni e per evangelizzarli. Uomo di preghiera, amante della vita semplice e povera della sua gente, visse in mezzo a loro per quasi mezzo secolo, morendo, dopo una grave malattia, il 16 Ottobre 1973.

Oggi si celebra la Giornata mondiale dell’Alimentazione, con cui la FAO (Food and Agriculture Organisation) ricorda, ogni anno, la data della sua fondazione, avvenuta il 16 ottobre 1945. Vuole richiamare la nostra attenzione sul dramma della fame, della denutrizione, della sottoalimentazione e delle malattie che ne derivano. Le stime più recenti portano il numero di persone che soffrono la fame a circa 935 milioni. Diversi studi indicano che la fame nel mondo non è determinata dall’aumento della popolazione, né da un’insufficienza nella produzione di alimenti, dato che il processo della modernizzazione agricola, conosciuto come la Rivoluzione Verde, ha permesso un aumento dell’offerta mondiale di alimenti pro capite. Il grande problema della fame è conseguenza invece dell’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e del basso reddito di ampie fasce della popolazione.

“C’era il coprifuoco per tutta Roma, e una bella notte, eravamo a casa, saranno state le tre o le quattro del mattino, quando si cominciò a sentire un rumore, un vociare. Nel ghetto dove abitavamo, i palazzi si affacciavano su una via lunga e stretta, così sporgendosi dalla finestra mio padre vide molte famiglie ebree scendere in strada coi tedeschi. Venivano portati via. La gente usciva anche dal nostro portone, presto ci rendemmo conto di quello che stava succedendo: i tedeschi stavano portando via tutti. La nostra casa era grandissima, c’erano quattro stanze, i soffitti alti, erano belle, bellissime case, e grandi, c’erano poi due stanze, delle quali una entrava dentro l’altra, per cui pensammo di metterci tutti in quest’ultima stanza, lasciando tutto aperto, così se i tedeschi entravano avrebbero visto una casa vuota, disabitata. E così abbiamo fatto. Ma a quel punto mia sorella, la più piccola, mentre noi stavamo dietro le persiane a guardare quello che succedeva, presa dal panico è scappata, è scesa giù (abitavamo al terzo piano), e all’ultima rampa di scale, prima di uscire, trovandosi due tedeschi davanti, ha avuto paura ed è tornata indietro verso di noi. Questi l’hanno seguita, e così ci hanno trovato”. È il ricordo che Settimia Spizzichino ci ha lasciato di “quella mattina” del 16 ottobre 1943, quando, alle cinque e trenta, ebbe inizio il Rastrellamento degli ebrei di Roma ad opera delle truppe naziste. Dei 1024 ebrei, uomini, donne, vecchi, ragazzi, bambini, inviati ad Auschwitz, solo 16 sopravvissero, di cui un’unica donna, Settimia Spizzichino, appunto. Nessuno degli oltre 200 bambini. Sarà bene ricordarsene, se è vero com’è vero che “Non c’è futuro senza memoria. Coloro che non hanno memoria del passato sono destinati a ripeterlo”.

Bene, noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di un testo di Rabbi Nachman di Bretzlav, tratto dal suo “Likutei Moharan”, che è, perciò, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Quando si deve salire da un livello a quello successivo, si deve prima sperimentare una caduta. Lo scopo della stessa caduta è in definitiva di portarci più in alto. Da questo, si può capire quanto sia importante rafforzare se stessi al servizio di Hashem (Dio) e di non lasciarsi scoraggiare da una qualsiasi caduta o battuta d’arresto nel mondo (perché le stesse battute d’arresto sono necessarie alla propria crescita). Se uno si convince seriamente di non prestare attenzione a tutto ciò che gli accade, certamente meriterà di vedere tutte le sue cadute trasformarsi in grandi guadagni spirituali. Dopo tutto, questo è lo scopo della caduta. C’è molto da dire su questo, dal momento che chiunque sperimenti una caduta, pensa che la norma suddetta non si applichi a lui, ma solo a persone molto elevate spiritualmente, che sono in costante crescita da un livello all’altro. Tuttavia, bisogna sapere e credere che questo principio è applicabile a tutti, anche al più basso o al peggiore di noi, perché Hashem è buono con tutti, sempre! (Rabbi Nachman di Bretzlav, Likutey Moharan 1, 22).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Ottobre 2016ultima modifica: 2016-10-16T22:55:12+02:00da fraternidade
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