Giorno per giorno – 25 Dicembre 2018

Carissimi,
“Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 9-11). Questo testo, diceva stasera dom Eugenio in cattedrale, è il parallelo di quello che si era ascoltato ieri sera, nel racconto che, della nascita di Gesù, ha fatto l’evangelista Luca: “[Maria] diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7). Il mistero di questo rifiuto che opponiamo, da sempre, a Dio (se no, il mondo sarebbe diverso), è l’aspetto più vero e sconcertante della celebrazione, ma sopratttto, della realtà, del Natale. Il vescovo, aveva voluto che il vangelo della nascita fosse inscenato dalle amiche e amici di Fé e Luz, con Aparecida nella parte di Maria, Juliano in quella di Giuseppe, Betão, l’angelo, e poi i pastori e lo stuolo degli angeli, che, terminata la rappresentazione, si sono riuniti tutti attorno all’altare, per dar seguito con lui alla celebrazione dell’Eucaristia. Segno di una chiesa che si sforza di fare posto e mettere al centro gli ultimi – in questo caso persone disabili -, nel rito, sì, ma soprattutto nella vita. Nell’omelia, dom Eugenio aveva ricordato anche altri aspetti del rifiuto e dell’emarginazione che sperimentiamo nella nostra realtà. Come, per esempio, la situazione tristissima della prigione di qui, in condizioni disastrose di sovraffollamento, di cui la coscienza comune fatica a preoccuparsi, ancor più oggi che il recentemente eletto alla massima carica dello Stato fa suo lo slogan del “bandito buono è bandito morto” e dà pubblicamente e spudoratamente il benvenuto ai gruppi di sterminio. A questa mentalità la chiesa di qui tenta di opporre la cultura del rispetto, dell’accoglienza e del riscatto, attraverso le visite settimanali e le attività di coscientizzazione della pastorale carceraria, e con la presenza che lo stesso vescovo, nelle ricorrenze piú significative, non fa mancare. Non dissimile è la condizione in cui versano centinaia di tossicodipendenti, a cui è offerta, per chi liberamente lo sceglie, l’opportunità di trattarsi nella chácara di recupero, attraverso un programma che aiuta a conoscersi, sperimentare l’accoglienza e la fiducia degli altri, ritrovare il rispetto per se stessi, riannodare le relazioni perdute con la famiglia, decidere per un cammino di libertà. “E la Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 14). È detto di Gesù, ma anche di ognuno di noi, quando ci si apra a ricevere e dare accoglienza. Infatti, è scritto: “A quanti l’hanno accolto – trasformando la parola in vita – , ha dato potere di diventare figli di Dio” (v. 12). Natale diventa allora il nostro rinascere come figli di Dio, assieme all’unigenito suo Figlio.

Oggi, celebriamo dunque il Natale del Signore.

Anticamente, nelle chiese d’Oriente, la nascita di Cristo veniva festeggiata il 6 gennaio, col nome di Epifania, che significa “manifestazione” ed era associata alle altre teofanie con cui il Verbo di Dio si era fatto conoscere: al mondo (nella figura dei magi), al popolo ebreo (durante il battesimo), e ai discepoli (alle nozze di Cana). Sarà solo nella seconda metà del secolo IV, che la chiesa di Roma volle sostituire la festa pagana del 25 dicembre, quel “Natale del Sole Invitto” che, dopo la notte più lunga dell’anno, segnava l’inizio della rivincita del sole sulle tenebre invernali, con la celebrazione cristiana del Natale di Cristo, proclamato come il vero Sole di giustizia, venuto a illuminare e liberare quanti giacciono nelle tenebre dell’oppressione e dell’ingiustizia. Annuncio di una Pace, che è insieme salute, salvezza, gioia, vita felice, dignitosa, piena, benessere materiale e spirituale, per ciascuno e per la comunità nel suo insieme.

I testi che la liturgia di questa Solennità del Natale di Gesù propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.52, 7-10; Salmo 98; Lettera agli Ebrei, cap.1, 1-6; Vangelo di Giovanni, cap, 1, 1-18.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Anche se un po’ sottovoce, per la coincidenza con il Natale, ricorderemo che il nostro calendario ci porta oggi la memoria di due figure che ci sono particolarmente care: quella del filosofo Emmanuel Lévinas, profeta dell’alterità, e quella di Paul Gauthier, testimone silenzioso di solidarietà.

Emmanuel Lévinas era nato il 12 gennaio 1906 (corrispondente nel calendario giuliano al 30 dicembre 1905), a Kaunas, in Lituania, da una famiglia ebrea che, emigrata in Ucraina alla fine della 1ª Guerra mondiale, fece ritorno in patria allo scoppio della rivoluzione d’ottobre. Nel 1923, all’età di 17 anni Lévinas si trasferì in Francia, per compiere i suoi studi all’università di Strasburgo. Nel biennio 1928-29, frequentò invece l’Università di Friburgo, dove ebbe come professori i filosofi Edmund Husserl e Martin Heidegger, dei quali farà conoscere il pensiero in Francia all’inizio degli anni 30. Durante la 2ª Guerra mondiale, la sua famiglia, rimasta in Lituania, scomparve negli orrori dell’Olocausto, mentre lui, come cittadino e soldato francese, fu mandato ai lavori forzati in campo di concentramento in Germania. La moglie Raissa, una musicista viennese da lui sposata nel 1932, e la figlia, Simone Hansel, vissero invece nascoste in un convento francese. L’altro figlio della coppia, Michael, sarebbe nato solo in seguito. La filosofia propria di Lévinas si venne precisando dopo la fine della Guerra. Estraneo alle problematiche metafisiche e epistemologiche, egli proponeva la “responsabilità etica personale per l’altro” come punto di partenza del suo pensiero. L’enfasi da lui posta su questo tema, il suo impegno a favore dell’ebraismo, il suo ricorso a un linguaggio spiccatamente religioso e i numerosi commenti a brani della Bibbia e del Talmud ne fecero un pensatore unico, distante dagli esiti scettici e nichilisti di molta filosofia contemporanea. Morì il 25 dicembre 1995.

Nato il 30 Agosto 1914 in Borgogna (Francia), Paul Gauthier era entrato giovanissimo in seminario a Digione, rimanendovi poi come professore di teologia. Stanco dei privilegi comunque legati allo stato ecclesiastico, aveva partecipato per qualche tempo all’esperienza dei preti-artigiani (Roma aveva proibito il lavoro salariato), portata avanti dal domenicano Jacques Loew e poi aveva deciso di recarsi a Nazareth, a lavorare come Gesù. Aveva scritto nel suo diario: “Dal giorno in cui, attraverso le sue creature che vivono nella miseria e nella più dura fatica, il Signore Gesù mi aveva fatto sentire questo duro rimprovero: ‘Io sono povero: ma tu non vivi con me e per me’, sento il desiderio di andare a vivere e a lavorare in mezzo ai poveri e agli operai”. In seguito, altri uomini e donne si sarebbero uniti a lui, scegliendo di chiamarsi Compagni e compagne di Gesù Carpentiere. Profeta scomodo, radicale, intransigente, sempre più insofferente del quietismo e dell’indifferenza per le tragedie dei poveri, di cui vedeva caratterizzate le Chiese, avrebbe ritenuto giusto, negli anni seguenti, per fedeltà ai “popoli che hanno fame e sete di giustizia”, sciogliere ogni legame residuo con l’istituzione ecclesiastica. Con Marie Thérèse Lacaze (Myriam), la prima delle Compagne, decise di creare una famiglia, adottando due bimbi indiani, Shanty e Nirmal, fermo nel suo impegno di attenzione e immedesimazione con i poveri, nell’azione a favore di una Palestina pacificata nella giustizia, nella difesa della Creazione e nella cura premurosa della sua famiglia. Morì il 25 dicembre 2002, in un piccolo appartamento di Marsiglia. Ai suoi funerali, celebrati il 28 seguente nella chiesa ortodossa di San Giorgio, assieme ai suoi cari, poche decine di persone: cristiani, ebrei, musulmani e non credenti.

“Dio si volge proprio verso coloro da cui gli uomini sono soliti distogliersi”: è il significato del Natale che Dietrich Bonhoeffer delineava in una lettera scritta ai genitori dal carcere di Tegel, il 17 dicembre 1943. La troviamo in “Resistenza e resa” (Edizioni Paoline), il libro che raccoglie lettere e scritti dal carcere del teologo tedesco. Di quella lettera vi offriamo, nel congedarci, una citazione, come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Da un punto di vista cristiano, non può essere un problema particolare trascorrere un Natale nella cella di una prigione. Molti in questo carcere celebreranno probabilmente un Natale più ricco di significato e più autentico di quanto non avvenga dove di questa festa non si conserva altro che il nome. Un prigioniero capisce meglio di chiunque altro che miseria, sofferenza, povertà, solitudine, mancanza di aiuto e colpa hanno agli occhi di Dio un significato completamente diverso che nel giudizio degli uomini; che Dio si volge proprio verso coloro da cui gli uomini sono soliti distogliersi; che Cristo nacque in una stalla perché non aveva trovato posto nell’albergo; tutto questo per un prigioniero è veramente un lieto annuncio. Credendo questo, sa di essere inserito nella comunità dei cristiani che supera qualsiasi limite spaziale e temporale e le mura della prigione perdono la loro importanza. (Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Dicembre 2018ultima modifica: 2018-12-25T22:34:02+01:00da fraternidade
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