Giorno per giorno – 24 Maggio 2018

Carissimi,
“Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare” (Mc 9, 41-42). “Nel mio nome” (nel nome di Gesù, quindi, non nel nostro) indica il principio di gratuità nel fare il bene, ad evitare la tentazione e il rischio, in cui ci è così facile incorrere, che lo si compia per averne un ritorno anche maggiore, o per essere ammirati, per conquistare o asservire il beneficiato, o anche solo in termini di autogratificazione. Se, a volte, basta un semplice bicchiere d’acqua dato con cuore puro e retta intenzione, per guadagnarci il plauso di Gesù, basta anche, purtroppo, poca cosa, una parola offensiva, un gesto scortese, un ignorare una richiesta di aiuto, a scandalizzare coloro che dovremmo, col nostro farci incontro, aiutare a credere almeno nel carattere promettente della vita, se non ancora, né necessariamente, nel nostro essere fratelli, figli, nel Figlio, dell’unico Padre, che sogna per tutti un’esistenza sotto il segno di un amore incondizionato. Questo scandalo è, per Lui, intollerabile. Ora, pensiamo a quanto questi semplici atteggiamenti siano ricorrenti nelle nostre vite e in che misura il peggio, sotto il segno della rapina o dell’indifferenza ad essa, sia eretto addirittura a sistema, un sistema in cui noi ci si è più o meno comodamente, a diverso livelli, sistemati. “Meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare”: è la maniera di dire che è un peccato che vale la nostra morte. Che possiamo evitare, riorientando la nostra vita, nella logica della condivisione, nel cammino della sequela, nello sguardo aperto sulle necesssità altrui. A cui ci eravamo negati (la mano, il piede, l’occhio che è di scandalo). Non è mai tardi per cominciare.

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Susanna, John e Charles Wesley. La data, contrariamente a ciò che in genere facciamo, non ricorda il loro dies natalis, il giorno cioè del loro passaggio all’eternitá, ma quello della “rinascita” di John Wesley, celebrata anche nella Comunione Anglicana.

Susanna, venticinquesima figlia di Samuel Annesley, era nata nel 1669 e, ventenne era andata sposa a Samuel Wesley (1662-1735), pastore della Chiesa d’Inghilterra, a cui avrebbe dato quindici figli, tre soli dei quali sopravvissuti: Samuel, nato il 10 febbraio 1690, John, il 28 giugno 1703, e Charles, il 18 dicembre 1707. Di lei si racconta che, durante le frequenti assenze del marito, aveva preso l’abitudine di invitare a casa familiari e vicini per leggere la Scrittura e i suoi commentari, riuscendo in poco tempo a riunire più di duecento persone. Il fatto non mancò di suscitare la reazione gelosa del curato, che non sopportava l’idea che una donna potesse prendere simili iniziative. Scrisse perciò al di lei consorte, perché la richiamasse all’ordine. Questi gli rispose: Reverendo, io mi sarei aspettato che Lei, ponendo il problema, avrebbe anche prospettato la soluzione più ovvia, e cioè che andasse Lei, il sabato sera, a leggere i sermoni a casa mia. Ma se non vuole far questo, mi metta ben chiaro per iscritto il divieto esplicito al proseguimento di questa iniziativa. Io mi premurerò di presentarlo a Chi di dovere, quando saremo chiamati io e Lei al supremo tribunale di nostro Signore Gesù Cristo! Pare che il curato non se la sia sentita di replicare. Nacque così di fatto la pratica del metodismo, che John e Charles appresero dunque dalla madre. Susanna morirà, poco più che settantenne, il 23 luglio 1742. Tornando a ritroso nel tempo, quando John fu mandato a studiare a Oxford, dovette presto fare i conti con lo scetticismo religioso dell’ambiente studentesco. Per resistere ad esso, assieme al fratello Charles e alcuni amici, costituí un’associazione con regole molto esigenti: tutti i membri si impegnavano a studiare “metodicamente” la Bibbia, a partecipare settimanalmente alla Santa Cena, ad essere generosi nell’aiuto ai poveri. Scherzosamente furono chiamati il “Santo Club” o anche “metodisti”, nome che sarebbe rimasto in seguito al movimento wesleyano. Divenuto pastore, John entrò presto in contatto con i fratelli Moravi, e per loro tramite con il Pietismo tedesco e la tradizione luterana. Nella notte del 24 maggio 1738, ascoltando la prefazione di Lutero alla Lettera ai Romani, Wesley visse una straordinaria esperienza spirituale: “sentì” con profonda commozione del cuore che Cristo gli aveva perdonato i suoi peccati e decise che a partire da allora avrebbe collocato solo in Cristo la sua speranza di salvezza. Abbandonate le antiche posizioni ritualiste, dedicò tutta la sua vita a diffondere un’esperienza religiosa centrata sulla scoperta dell’amore di Dio, del perdono e della salvezza gratuita. Apertamente osteggiato dalla gerarchia della chiesa anglicana, aprí il ministero della predicazione ai laici, quale logica conseguenza della dottrina del sacerdozio universale dei fedeli. Diresse le sue attenzioni soprattutto alle grandi periferie proletarie, inaugurando così l’unione tra predicazione e opere sociali, tipica del Metodismo. Davanti alle esigenze dell’azione missionaria, lui, semplice pastore, cominciò ad ordinare altri pastori. Per cinquant’anni si dedicò interamente alla predicazione itinerante. Morì il 2 marzo 1791. Charles, dal canto suo, si dedicò soprattutto alla composizione di inni: ne scrisse circa 6500, fino alla morte, avvenuta il 29 marzo 1788.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera di Giacomo, cap. 5,1-6; Salmo 49; Vangelo di Marco, cap. 9, 41-50.

La preghiera del giovedì è in comunione con le tradizioni religiose indigene.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di John Wesley. È tratto dal suo “Sermon 39”, a commento del versetto: “Partito di lì, si imbattè in Ionadàb, figlio di Recàb, che gli veniva incontro; Ieu lo salutò e gli disse: ‘Il tuo cuore è retto verso di me, come il mio nei tuoi riguardi?’. Ionadàb rispose: ‘Sì’. ‘Se sì, dammi la mano’ ” (2 Re 10,15). È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Mostrate il vostro amore con le vostre opere. Mentre ne avete il tempo e l’opportunità, “fate del bene a tutti”, vicini o estranei, amici o nemici, buoni o cattivi. Fate loro tutto il bene che potete, cercando di soddisfare ogni loro desiderio; aiutandoli nel corpo e nell’anima, quanto più potete. Se questa è davvero la tua intenzione – che ogni cristiano possa dire sì -, se sinceramente desideri farlo, e continuare a farlo fino alla fine, allora “il tuo cuore è retto, come il mio cuore con il tuo”. “Se sì, dammi la mano”. Non intendo: “Sii della mia opinione”. Non è necessario: non me lo aspetto né lo desidero. Né intendo: “Sarò della tua opinione”. Non posso, non dipende dalla mia scelta. non posso pensare più di quanto possa vedere o udire, come voglio. Tieni la tua opinione; io terrò la mia; e ciò più fermamente che mai. Non devi sforzarti di venire da me o di portarmi da te… Lascia a ciascuno le sue opinioni: semplicemente “dammi la mano”. Non intendo: “Abbraccia la mia maniera di celebrare” o “io abbraccerò la tua”. Anche questo è qualcosa che non dipende né dalla tua scelta né dalla mia. Dobbiamo entrambi agire come ciascuno di noi è convinto. Tieni fermo ciò che ritieni più gradito a Dio, e io farò lo stesso. Credo che la forma episcopale del governo ecclesiastico sia scritturale e apostolica. Se tu pensi che il presbiteriano o l’indipendente sia meglio, pensaci bene e agisci di conseguenza. Credo che i bambini dovrebbero essere battezzati; e ciò può essere fatto per immersione o per infusione. Se credi diversamente, sii fermo nella tua convinzione e seguila. Mi sembra che le formule di preghiera siano molto utili, in particolare nella grande congregazione. Se però ritieni la preghiera spontanea come più utile, agisci coerentemente con il tuo pensiero. […] Non desidero discutere con te neppure un momento su tutto ciò. Lascia da parte queste cose. Non prestar loro attenzione. “Se il tuo cuore è come il mio cuore”, se ami Dio e tutta l’umanità, non chiedo di più: “dammi la mano”. Voglio dire, anzitutto, amami: e non solo come ami tutta l’umanità; non solo come ami i tuoi nemici, o i nemici di Dio, coloro che ti odiano, che “ti calunniano e ti perseguitano”; non solo come estraneo, come uno di cui non conosci né il bene né il male, – no, questo non mi basta; “se il tuo cuore è retto, come il mio col tuo cuore”, allora amami con un affetto tenero, come un amico che è più vicino di un fratello; come un fratello in Cristo, un concittadino della Nuova Gerusalemme. (John Wesley, Catholic Spirit, Sermon 39, I, 18 – II, 1-3).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Maggio 2018ultima modifica: 2018-05-24T22:46:30+02:00da fraternidade
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