Giorno per giorno – 10 Agosto 2017

Carissimi,
“Gesù disse ai suoi discepoli: In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). I versetti ascoltati oggi, che la liturgia ci propone per la memoria del martire Lorenzo, cui noi aggiungiamo quella del nostro frei Tito, costituiscono forse uno dei passaggi più alti, ma anche più duri, dell’intero vangelo di Gesù. Al punto di lasciarne lui stesso per un momento atterrito, e di portarlo a dire: “Chiederò dunque al Padre di salvarmi da quest’ora?”, aggiungendo tuttavia subito: “Ma è proprio per quest’ora che sono venuto”. Che è l’equivalente, in Giovanni, del racconto dell’agonia del Getsemani, proposto nei vangeli sinottici. Il tema non è semplicemente quello della morte, ma del senso che a questa si intende dare, intrecciato a quello della verità di Dio (e perciò anche dell’uomo), a cui Gesù si sente inscindibilmente legato. Come può Dio perdere, perdersi, fino a soccombere e morire? O, per altro verso, se Dio non è figura del dominio che si impone comunque vittoriosamente sull’altro, ma è figura dell’amore incondizionato, come può non accettare di perdere, perdersi, soccombere e morire, senza smentirsi e negarsi perciò come verità? L’unica certezza che gli è data è che il suo morire germinerà in vita, in molte vite, per cui sarà valsa la pena. E questo come epilogo di un lungo, interminabile, processo di svuotamento, di annichilamento, non mai fine a se stesso, ma con in vista, sempre, la crescita e il libero sviluppo di molti. Chi segue Gesù per davvero, questo lo capisce e si ingegna di farne la propria maniera di essere, ripetendo esistenzialmente la verità del “questo è il mio corpo dato per voi”. Scontando di non vedere subito i frutti, anzi, a volte, di sperimentare la brutale inutilità del dono. Che altri, a tempo debito, vedranno fruttificare, sotto il segno della risurrezione.

Oggi, è memoria di Lorenzo, diacono della chiesa di Roma e martire, e di Tito de Alencar Lima, frate domenicano, martire della dittatura in Brasile.

Lorenzo soffrì il martirio durante la persecuzione di Valeriano. Era il primo dei sette diaconi della Chiesa di Roma. Ricopriva un ruolo di rilievo nello svolgimento degli uffici ecclesiastici. Come diacono, Lorenzo era incaricato di assistere il papa nelle celebrazioni, amministrava i beni della Chiesa, provvedeva alle necessità dei poveri, degli orfani e delle vedove, dirigeva la costruzione dei cimiteri. Il racconto della sua passione narra che, quando il prefetto gli intimò di consegnare le ricchezze della chiesa, Lorenzo chiese gli fosse dato il tempo necessario per riunirle. Dopo aver distribuito ai suoi assistiti le offerte ancora disponibili, si recò davanti al prefetto con una turba di mendicanti, malati ed emarginati e additandoli disse: “Ecco, i tesori della chiesa!”. Fu giustiziato con il papa Sisto II e i suoi collaboratori, il 7 agosto dell’anno 258. Una tradizione, registrata un secolo più tardi dal vescovo di Milano, Ambrogio, asserisce che fu bruciato vivo su una graticola, ma, più probabilmente, morì decapitato.

Tito de Alencar Lima era nato a Fortaleza, nel Ceará (Brasile), il 14 settembre 1945, da Isaura Alencar Lima e Idelfonso Rodrigues Lima. Dirigente regionale della Gioventù Studentesca Cattolica (ala giovanile dell’Azione Cattolica), partecipò nel 1964 alle prime manifestazioni studentesche contro la dittatura militare. Nel 1966, a Belo Horizonte, entrò nel noviziato dell’ ordine domenicano e il 10 febbraio 1967 fece la sua prima professione religiosa e si trasferì a São Paulo, per continuarvi gli studi. Il 4 novembre 1969 fu arrestato assieme a frei Betto, frei Fernando, frei Ivo e altri, accusati di sovversione e nelle settimane che seguirono fu torturato brutalmente dalla squadraccia agli ordini del delegato Sérgio Paranhos Fleury, capo del Dipartimento per l’Ordine Politico e Sociale (DOPS). Trasferito al Presidio Tiradentes, il 17 dicembre fu portato alla sede dell’Operazione Bandeirantes, dove il capitano Maurício Lopes Lima, gli disse: “Adesso conoscerai la succursale dell’inferno”. E così fu. Fu torturato per due giorni. Appeso al “pau-de-arara”, ricevette scariche elettriche alla testa, agli organi genitali, alle mani e ai piedi, pugni, bastonate e bruciature di sigaretta su tutto il corpo. Il capitano Albernaz sadicamente gli ordinò di aprire la bocca per ricevere l’ostia consacrata, e gli introdusse un filo elettrico che gli bruciò la bocca al punto di impedirgli di parlare. Nel gennaio 1971, incluso nel gruppo di prigionieri politici scambiati con l’ambasciatore svizzero, Giovanni Enrico Bücker, sequestrato dall’APR (Avanguardia Popolare Rivoluzionaria), fu mandato prima in Cile, poi a Roma e, infine, a Lione, in Francia. La piaga aperta dalla tortura psicologica non l’avrebbe, tuttavia, mai abbandonato. E con essa l’immagine del delegato Fleury che continuò ad accusarlo, dargli ordini, minacciarlo, accompagnarlo come un’ombra nel suo esilio in Cile e il Francia. Riuscì a liberarsene solo quando s’impiccò ad un albero, a vent’otto anni, in un pomeriggio torrido d’agosto, nella campagna francese. In quel 10 agosto 1974, Tito risuscitò alla vita, incontrando l’abbraccio amoroso del Padre. Il card. Paulo Evaristo Arns, ne accolse solennemente le spoglie nella cattedrale di São Paulo, il 25 marzo 1983.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria del Martire Lorenzo e sono tratti da:
2ª Lettera ai Corinzi, cap. 9,6-10; Salmo 112; Vangelo di Giovanni, cap. 12, 24-26.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di un articolo di frei Tito de Alencar sulla situazione della Chiesa in Brasile, pubblicato pochi mesi dopo la sua liberazione sul “Front Brésilien d’Information”, n°3 – agosto, 1971. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La giovane Chiesa del Brasile è un prodotto della missione profetica di Giovanni XXIII. Dopo molti secoli di conservatorismo e di false tradizioni, la Chiesa del Brasile mostra i segni di una trasformazione profonda che nasce da una coscienza evangelica che si è sviluppata in linea con la sua missione terrena. Noi non esistiamo per salvare le anime, ma per salvare le creature, esseri umani vivi, concreti, in un tempo e uno spazio ben definiti. Abbiamo una profonda comprensione storica di Gesù. Di tutti i dibattiti teologici conciliari, è senza dubbio quello riferito alla storia della salvezza che ha influenzato in modo decisivo la nostra concezione di Chiesa, della sua ragion d’essere e della sua missione: la storia della liberazione del popolo ebraico, scelto dal Signore per divenire popolo di Dio. È questa idea di “popolo di Dio” che orienta dal punto di vista teologico le trasformazioni della Chiesa in Brasile. Per noi, chi è concretamente il popolo di Dio? Sono i lavoratori, gli operai, gli sfruttati, gli oppressi, insomma tutta la massa immensa che vive una condizione di vita disumana. Tra questi, Gesù prende il nome di Antonio, Zeferino o un altro qualsiasi. Viviamo in un paese dove regna l’analfabetismo, la povertà e l’ingiustizia: limitazioni che sono aumentate ancora di più negli ultimi anni. Il tasso di disoccupazione è cresciuto geometricamente e gli squilibri sociali del Nordest sono ulteriormente aumentati con i tentativi di industrializzazione. Le siccità periodiche, a loro volta, approfondiscono ancora di più la miseria della popolazione rurale, dove l’imperialismo mantiene l’uomo isolato, vittima secolare della struttura agraria primitiva. La realtà sociale ha imposto un problema ai vescovi e alla Chiesa. Da dieci anni i sacerdoti provenienti da tutto il paese cercano, nella prospettiva di uno sviluppo umano e giusto, una soluzione più adeguata dei problemi sociali. Siamo gli eredi di quattro secoli e mezzo di colonialismo e di latifondo. Ci impegniamo in modo consapevole nella lotta per lo sviluppo economico e sociale del paese, sapendo che la soluzione delle nostre calamità sociali deve essere profonda e radicale. A cosa servirebbe rattoppare uno straccio? Dobbiamo lottare per una nuova società. (Frei Tito de Alencar, A situação da igreja no Brasil).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Agosto 2017ultima modifica: 2017-08-10T21:01:53+02:00da fraternidade
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