Giorno per giorno – 11 Luglio 2009

Carissimi,

“Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10, 32-33). Il tema è la paura della testimonianza. E la viltà che ne può derivare. Il povero Pietro deve averci ripensato a tempo debito, quando giurò davanti a tutti, rispondendo alla serva del pontefice: “Non conosco quell’uomo” (Mt 26, 72). E di non conoscerLo (non intellettualmente, ma nel senso di sperimentarne e viverne il significato) noi lo si giura e spergiura ad ogni momento. Con le attitudini, più che con le parole. Che, anzi con queste, è capace che nessuno ci batta. E che noi si stia lì a cantare incantati  a mo’ di mantra: Dio è amore, mentre facciamo mentalmente la lista di quelli che eliminiamo dal nostro orizzonte. Perché ci stanno antipatici. E, tuttavia, anche in questo caso, il Gesù che ci rinnegherà davanti al Padre non vuole essere una minaccia. Sarà solo (sempre che non si sia rimediato prima) il Suo estremo tentativo di salvarci la faccia e l’anima: Babbo, non è dei miei, non sapeva nulla di me, né di te, né di come ci si deve comportare. È di quelli che entrano gratis. Già, però, per noi, che tristezza e che vergogna!   

 

La Chiesa ricorda Benedetto da Norcia, padre del monachesimo occidentale, nonché patrono della vostra povera Europa.

 

11 BENEDETTO DA NORCIA.jpgPoco sappiamo della sua vita. Nato a Norcia, in Umbria, nel 480 circa, dopo aver studiato a Roma, il giovane Benedetto si ritirò sul Monte Subiaco, dedicandosi ad una vita di preghiera e penitenza. Venne, in seguito, a contatto (lo si deduce da quanto è detto nella Regola)  con diverse esperienze di vita monastica, da quelle più serie e motivate (anacoreti e cenobiti),  a quelle più opportuniste e depravate (sarabaiti e girovaghi). Alcuni monaci, che lo avevano voluto come abate, tentarono persino di eliminarlo, non sopportandone il rigore.  A Monte Cassino, fondò infine il suo monastero. Lí, uomini di ogni ceto ed estrazione, cui Benedetto seppe comunicare l’entusiasmo per il cammino evangelico e la sua radicalità, presero a vivere la vita del lavoro duro dei campi (condiviso con le classi basse della società), alternata a tempi di studio e scandita dai momenti forti della preghiera e dell’ascolto della Parola di Dio, in una comunità egualitaria e fraterna, retta dall’autorità e dall’esempio dell’abate, con l’aiuto e la guida di una Regola, che Benedetto dovette redigere ispirandosi anche a normative più antiche. Il patriarca del monachesimo occidentale  morì il 21 marzo 547.  O giù di lì. Duecento anni dopo la sua morte, erano già  più di mille i monasteri che si riconoscevano e si ispiravano alla sua norma di vita.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro della Genesi, cap. 49,29-33; 50,15-24; Salmo 105; Vangelo di Matteo, cap.10,24-33.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

San Benedetto e i suoi monaci. Chi è venuto a Goiàs, negli anni passati, avrà conosciuto anche il Monastero dell’Annunciazione del Signore. E la sua proposta: di essere una casa tra le case, con una comunità monastica, disposta a evangelizzare e lasciarsi evangelizzare dai poveri, attenta “con loro” a ciò che Dio parla nella Bibbia e nella vita, impegnata nella lotta dei sem-terra, aperta al dialogo ecumenico e interreligioso, desiderosa di celebrare con le parole e le melodie del popolo. Qualcosa, però, a un certo punto, non deve aver funzionato e la proposta (con la comunità) è entrata in crisi. Nel marzo scorso, la morte dell’anziano Pedrão (uno dei fondatori del monastero), spezzato, crediamo, dalla sua obbedienza-nonostante-tutto a un modello di vita monastica (troppo più vecchio di lui) che vedeva ormai affermarsi e che smentiva la scelta di tutta una vita, ha forse messo la parola fine a “quel” sogno. Canonicamente, sembra che non possa esistere una comunità monastica con solo uno o due professi solenni. La visita, in questi giorni, dell’abate di Tournay, padre Joel, e dell’abate presidente della Congregazione di Subiaco, padre Bruno, cui anche il monastero di Goiás appartiene, dovrà decidere il futuro di questa casa. Nata come una cappellina a forma di capanna rotonda, più due casupole come dimora per i monaci, su una pietraia, incuneata tra l’Asilo e il Corrego da Prata, che dava e dà sulla periferia, è via via cresciuta. Anche troppo. E troppo in fretta. Fino a non riconoscersi più.          

 

Denis Huerre è stato abate del Monastero de La Sainte-Marie-de-la-Pierre-qui-Vire, in Francia, nonché Presidente emerito della Congregazione benedettina di Subiaco. Nella collettanea “Dio intimo. Parole di monaci” (Edizioni Messadggero Padova) troviamo una sua testimonianza dal titolo “Dio è raro”. Scegliamo di congedarci, offrendovene in lettura un brano, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Ho letto nel Vangelo che Dio, come l’uomo, è uno che abita, dimora e vive in una casa. È un modo  di parlare semplice, ma efficace per esprimere le nostre relazioni con lui: abitiamo insieme. Una casa è formata dai muri e dal tetto, che racchiudono uno spazio interno, ma se non avesse la porta e le finestre sarebbe una tomba, fosse pure la splendida piramide di un re defunto. I muri e il tetto sono la copertura necessaria, il rifugio. Permettono di ripararsi, nascondersi, raccogliersi. La porta è il segno dell’apertura, dell’accoglienza di colui che bussa o si mostra alla finestra. La casa è talmente essenziale per l’uomo che il termine si trova in molti altri termini con la stessa radice. Basta averlo notato per comprendere la grande coerenza con cui l’uomo parla di economia, ecologia, parrocchia, diocesi, tutti termini derivanti dal termine greco oikos, che si ritrova anche nel nome dato alla terra abitabile, oikoumene. In seguito è venuto l’ecumenismo, che indica l’impegno profuso dai cristiani per cercare di abitare insieme una casa comune. È lì che Dio abita. Nel cuore di ciascuno, molto personalmente, nel cuore della folla che non è più una massa anonima, ma la riunione di tutti in uno, il vero signore di questa casa. Egli è lì. Padre, datore di vita. (Denis Huerre, Dio è raro). 

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Luglio 2009ultima modifica: 2009-07-11T23:56:00+02:00da fraternidade
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