Giorno per giorno – 02 Marzo 2018

Carissimi,
“Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare’ (Mt 21, 42-43). È la conclusione della parabola della vigna e dei contadini omicidi. Cosa rappresenti la vigna, ce lo dice proprio questa conclusione: il regno, il suo annuncio e la testimonianza a cui si è chiamati. E di cui spesso si è incapaci. Ieri, Israele, oggi, la Chiesa. Senza generalizzare, ovviamente. Dio si attende i frutti di ritorno, dopo che ci ha fatto dono della sua rivelazione. E i frutti non sono una qualche attività di culto, in cui noi sbrigativamente si vorrebbe a volte risolvere tutto, ma la pratica della giustizia e della solidarietà, che rendano desiderabile, in chi ne venga a conoscenza, il “progetto” della vigna. La parabola è anche segno della pazienza e dell’ostinazione di Dio, che non si lascia fermare dal rifiuto opposto da noi ai suoi inviati, i profeti (spesso, inconsapevoli profeti), che vengono di volta in volta silenziati, eliminati, uccisi o lasciati morire. Ma, come stamattina, durante la preghiera in monastero, ci diceva Rafael (a casa dal lavoro, vittima di un’epidemia di congiuntivite), Dio non esita a consegnarci il suo stesso figlio, fiducioso che almeno Lui, lo si rispetterà e lo si ascolterà. E, invcece no, neppure Lui risparmiamo, pur fingendocene devoti e seguaci. Dato che è pur sempre Lui che noi uccidiamo, in ogni figlio di uomo (e sono, sempre piú spesso, centinaia di migliaia), di cui il Sistema di morte impiantato, come pare, ovunque, decide l’eliminazione. “La pietra scartata è diventata testata d’angolo”. Dio non muta d’opinione: il Cristo identificato per sempre con i poveri, le vittime, i perdenti della storia, continua ad essere la pietra di paragone del suo progetto e la sola base su cui esso possa inverarsi, dando vita alla società nuova, la civiltà altra, sfracellando (è il versetto 44 che la liturgia ci risparmia) ogni idolo di potere, supremazia, usurpazione, di cui il Sistema ci abbia reso adoratori.

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di William Stringfellow, testimone appassionato della Parola; di Engelmar Unzeitig, martire dell’idolatria nazista; e di Shahbaz Bhatti, martire in Pakistan a difesa delle minoranze religiose.

William Stringfellow nacque il 26 aprile 1928 in una famiglia operaia, a Northampton, in Massachusetts. Nonostante le modeste condizioni economiche della famiglia, lavorando e studiando, il giovane William arrivò a frequentare la London School of Economics, prima e l’Harvard Law School, poi. Da qui avrebbe potuto spiccare il volo per una carriera di successo. Scelse invece di vivere ad Harlem, tra negri e ispanici, i ceti più emarginati della metropoli. Si trasferì in un appartamento di 28 metri quadrati, con quattro vecchie suppellettili fuori uso, ma abitato in compenso da migliaia di scarafaggi. Confesserà in seguito: “Mi ricordai che è in posti così che la maggior parte della gente vive, in gran parte del mondo, per la maggior parte del tempo. Ero dunque a casa”. Stringfellow apparteneva alla Chiesa Episcopaliana degli Stati Uniti. Ma la sua non fu una convivenza tranquilla. La sua passione unica per la Parola, la scelta dei poveri, la lotta al razzismo e al sessismo, la critica del clericalismo e la valorizzazione della vocazione laicale nella Chiesa, la denuncia del fondamentalismo, ma anche della superficialità di certa teologia, propensa a leggere americanamente la Bibbia, piuttosto che di comprendere biblicamente l’America, e, non per ultimo, la contestazione della guerra del Vietnam, finirono per alienargli il favore della gerarchia e isolarlo. Ammalatosi di diabete, alla fine degli anni 60, si era nel frattempo ritirato a vivere a Block Island, in una casa che volle chiamare Eschaton. Negli studi che pubblicò in seguito, continuò ad approfondire il tema della svolta costantiniana e delle conseguenze nefaste che essa comportò per la chiesa, adeguando la cristianità ai valori dell’impero e facendone uno strumento per la preservazione dello status quo. Morì il 2 marzo 1985.

Engelmar Unzeitig era nato in Cecoslovacchia, in un distretto di lingua tedesca, il 1° marzo 1911. Entrato in seminario della congregazione missionaria di Marianhill, fu ordinato prete 1l 15 agosto 1939, solo due settimane prima dello scoppio della 2ª Guerra Mondiale. Di fronte al potere turpe che si era insediato nel cuore dell’Europa, il nostro avrebbe potuto scegliere di starsene tranquillo, fingendo di non vederne le nefandezze, o addirittura diventarne strumento e prestargli i suoi servigi, o, infine, dire il suo “no” alto e forte e agire di conseguenza. Fu questo che Unzeitig scelse. Sicché non durò molto in libertà e, nel giugno del 1941 fu spedito a Dachau, sotto l’accusa di aver usato nelle sue prediche “espressioni tendenziose” e, soprattutto, di aver difeso gli ebrei. A Dachau, nel corso della guerra, confluirono circa duecentomila prigionieri provenienti da una quarantina di paesi. Più o meno tremila di costoro, alloggiati in baracche separate, erano ministri di diverse confessioni; tre quarti di essi erano preti cattolici. Fu definito il “più grande monastero del mondo” e si trasformò, nonostante le drammatiche condizioni di vita che lo caratterizzavano, in uno straordinario spazio di dialogo ecumenico, in cui preti cattolici e pastori evangelici insieme pregavano, componevano inni e celebravano il memoriale del Signore, offrendo come potevano il loro servizio pastorale ai compagni di prigionia. Padre Engelmar si dedicò soprattutto ai prigionieri russi, dei quali, pur essendo in maggioranza comunisti, si guadagnò presto la stima e l’amicizia. All’inizio del 1945, scoppiò nel campo di concentramento un’epidemia di tifo. Gli infettati venivano confinati in speciali baracche e abbandonati a loro stessi. Fu avanzata una richiesta di volontari che se ne prendessero cura. Si offrirono venti preti, tra cui padre Unzeitig. Il lavoro era estenuante e senza sosta: lavare i corpi febbricitanti, cercare di alimentarli, ripulire i giacigli, ma anche, ascoltarne le confessioni, offrire gli estremi conforti, benedire i morti. In capo a poche settimane anche padre Engelmar fu infettato, ma, nonostante la febbre violenta, continuò sino alla fine a servire i suoi compagni. Morì il 2 marzo 1945, il giorno dopo del suo compleanno, poche settimane prima della liberazione del campo da parte delle truppe americane.

Shahbaz Bhatti era nato il 9 settembre del 1968, in una famiglia cristiana originaria del villaggio di Kushpur, nel distretto di Faisalabad (Punjab, Pakistan). Fin da giovanissimo, seguendo l’insegnamento e la testimonianza del padre, Jacob, aveva deciso di impegnarsi per la tutela dei diritti delle minoranze oppresse del suo Paese, cristiani, indù, sikhs. Fu tra i fondatori dell’All Pakistan Minorities Alliance (APMA), e del Christian Liberation Front (CPF), oltre che direttore esecutivo del Pakistan Council for Human Rights (PCHR). Per la sua attuazione ricevette numerosi riconoscimenti, fra cui, nel settembre del 2010, il Premio Internazionale della Pace “Simbolo della Pace”. Nel frattempo, nel 2002 aveva aderito al Pakistan People’s Party, la formazione politica più riformatrice del Paese, e nel 2008 fu eletto all’Assemblea Nazionale e nominato Ministro federale per le Minoranze. Nonostante le ripetute minacce di morte da parte delle minoranze fondamentaliste del Paese, soprattutto per la sua opposizione alla famigerata “legge sulla blasfemia”, in vigore dal 1986, non si lasciò intimorire, continuando la sua battaglia contro ogni forma di intolleranza. Il 2 marzo 2011, fu ucciso in un attentato rivendicato dal TTP (Tehrik-i-Taliban Pakistan ). Lasciò scritto nel suo testamento: “Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora – in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.37, 3-4. 12-13a. 17b-28; Salmo 105; Vangelo di Matteo, cap.21, 33-43. 45-46.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che professano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

È tutto anche per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una pagina di William Stringfellow, tratta dal suo libro “My People Is the Enemy. An Autobiographical Polemic” (Wipf & Stock Publishers). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
In una di quelle notti afose, pestilenziali e soffocanti che ogni estate porta nei caseggiati di Harlem, ho fatto un sogno. Nel sogno, stavo camminando ad Harlem sulla 125ª Strada, in pieno giorno. Mi sembrava di essere l’unico uomo bianco in vista. I passanti mi squadravano mestamente. Poi due neri mi fermarono e mi chiesero da accendere. Mentre cercavo nelle tasche un fiammifero, uno di loro mi piantò una coltellata in pancia. Sono caduto, ho sanguinato. Dopo un po’ sono morto. Mi sono svegliato in fretta. Ho tastato lo stomaco; non c’era sangue. Ho fumato una sigaretta e ho pensato al sogno. L’assalto nel sogno sembrava non provocato e feroce, La morte nel sogno sembrava inutile e, quindi, tanto più a caro prezzo. La vittima nel sogno sembrava innocente di una qualsiasi offesa nei confronti di chi l’aveva uccisa. Salvo il fatto che si trattava di un bianco. La vittima era stata uccisa da quegli uomini di colore, perché era un uomo bianco. L’omicidio era retribuzione. Il motivo era la vendetta. Nessun uomo bianco è innocente. Io non sono innocente. Allora ho pianto. (William Stringfellow, My People Is the Enemy. An Autobiographical Polemic).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Marzo 2018ultima modifica: 2018-03-02T22:16:39+01:00da fraternidade
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