Giorno per giorno – 27 Ottobre 2017

Carissimi,
“Quando vedete una nuvola salire a ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (Lc 12, 54-57). Già, sappiamo “giudicare l’aspetto della terra e del cielo”, almeno con una qualche approssimazione, come in questi giorni, guardando alle nuvole che si addensano su di noi (ma poi desolatamente se ne vanno), ci ripetiamo: pioverà, pioverà. E, prima o poi, succederà davvero. E tuttavia fatichiamo a capire cosa ci chieda il buon Dio, “nel nostro tempo”, in ordine alla testimonianza del Regno, che suo figlio Gesù ci ha, con una buona dose di imprudenza, affidato. Come testimoniare il dono di noi stessi, nelle concrete situazioni in cui viviamo, quale segno minimo, visibile, del Dono da cui ci siamo sentiti raggiunti e che dovrebbe averci convertiti a sé? Forse, non per caso, Gesù ci sfida su un piano particolarmente difficile, quelle delle relazioni con l’avversario (chi percepiamo come nostro nemico, oggi?): “Procura di accordarti con lui, perché non ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esecutore e questi ti getti in prigione. Ti assicuro, non ne uscirai finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo” (Lc 12, 58-59). Minaccia noi, non i nostri nemici. Sono loro che ci denunciano al Giudice: guarda che razza di “testimoni” ti sei procurato. Uguali, uguali a chiunque altro, bellicosi, intolleranti, violenti come e piú di tutti. E si dicono cristiani! Beh, una punizione in questo caso ce la saremo proprio meritata.

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Tukârâm, mistico indiano.

Non abbiamo grosse notizie su di lui, salvo il fatto che nacque nel 1598, a Pandharpour, nello Stato indiano del Maharastra, nella famiglia di un contadino analfabeta, appartenente alla casta dei shudra, la più umile delle caste indiane. Sposatosi, ebbe un figlio, ma perse lui e la moglie durante una grave carestia. Nonostante questa tragedia, non venne mai meno in lui la fede e l’amore nei confronti di Krishna. Scrisse innumerevoli poesie che cantano la sua devozione a lui, in forma di abhanga nella lingua Marathi. Assalito dalla frustrazione e dai dubbi, un giorno era pronto a suicidarsi, ma fu proprio allora che percepì la presenza del divino. Da quel momento la sua vita cambiò. La sua filosofia era semplice ed efficace: “Siedi in silenzio e ripeti il nome di Dio. Questo solo basta per realizzarti”. Costantemente ripeteva che le norme morali e gli insegnamenti religiosi, come lo studio dei Veda, erano solo formalità e che il fine ultimo della religione sta nella realizzazione del divino attraverso l’amore. Morì nel 1650.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.7, 18-25a; Salmo 119, 66.68.76.77.93.94; Vangelo di Luca, cap.12, 54-59.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Ed è tutto, anche per stasera. E noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un canto di Tukârâm. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Prendi, Signore, in Te / Il mio senso del sé; e lascialo svanire completamente. / Prendi, Signore, la mia vita, / Vivi Tu la mia vita attraverso me. / Io non vivo più, Signore, / Ma in me adesso vivi Tu. /Sì, tra Te e me, mio Dio, / Non c’è più spazio per l’ ‘io’ e il ‘mio’. (Tukârâm, In Me Thou Livest).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Ottobre 2017ultima modifica: 2017-10-27T22:23:56+02:00da fraternidade
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