Giorno per giorno – 08 Ottobre 2017

Carissimi,
“Gesù disse loro: Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti’ (Mt 21, 42-43). È la conclusione della parabola dei vignaioli omicidi. Che sono quanti erano chiamati a coltivare la vigna, immagine, laboratorio, anticipazione, cultura, di un’economia di comunione (come Dio è comunione), a beneficio di tutti, e invece se ne arrogano i frutti, escludendone i più. Sicché, in luogo di essere buona notizia della felicità dei poveri, oggetto della predilezione di Dio, e perciò di una Chiesa che si voglia sua, si trasformano in cattiva notizia della rapina e del sequestro della benedizione divina a loro vantaggio e dell’infelicità dei poveri. È la fotografia del tradimento perpetrato da gran parte della [in]civiltà cristiana nei confronti dei poveri del mondo. Ridotta questa a guardinga, sospettosa e violenta custode di una religione, di cui i più non sanno più nulla, ma della quale non esitano a strumentalizzare, bestemmiandoli, i simboli, resi funzionali all’idolo, da cui si vogliono protetti: la ricchezza accumulata che intendono riservare a sé. Questo spiega il livore con cui accolgono chi viene loro a ricordare (i servi malmenati e uccisi della parabola) le esigenze minime (i frutti), che il Signore si aspetta dai testimoni del suo Vangelo. E spiega anche come e perché, nella figura dei respinti, emarginati e esclusi, si continui ad uccidere il Figlio e il suo significato, la veritá di Dio per la vita del mondo. Già è stato tolta la testimonianza del Regno a chi finge di servirla. Affidata a un piccolo resto o a un popolo nuovo “di molti popoli, di diverse culture e religioni”, di cui siamo chiamati insistentementee a fare parte, saprà dare a tempo debito, che è giá ora, i frutti.

Oggi è la XXVII Domenica del Tempo Comune e i testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.5, 1-7; Salmo 80; Lettera ai Filippesi, cap. 4, 6-9; Vangelo di Matteo, cap.21, 33-43.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e le Chiese cristiane.

Il nostro calendario ci porta la memoria di Sergio di Radonež, patriarca dei monaci della Russia ortodossa, di Néstor Paz Zamora, martire in Bolivia, e di Penny Lernoux, giornalista in difesa dei poveri in America Latina.

Bartolomeo, questo era il suo nome di battesimo, era nato il 3 maggio del 1313, a Rostov Vielikij (Russia). Da piccolo, con tutta la buona volontà, non gli riusciva proprio di imparare a leggere. Finché un giorno incontrò un monaco. E gli confidò il suo cruccio piangendo. Quello allora lo benedisse, gli diede un po’ di pane e gli disse: Va con Dio. Da allora fu tutto più facile. Quando ebbe poco più di vent’anni, decise di ritirarsi con il fratello Stefano in una foresta, non lontano dal villaggio di Radonez, nei pressi di Mosca, dove qualche anno prima la famiglia si era trasferita. Costruì una cappella dedicata alla Trinità, dove il 7 ottobre del 1337 ricevette l’abito monastico, assumendo il nome Sergio. Nonostante la solitudine, i disagi e i pericoli della vita nella foresta, giunsero presto altri uomini, desiderosi di imitarne l´esempio che, pochi anni più tardi lo vollero come loro igùmeno (abate). In breve la Comunità monastica crebbe in modo considerevole e Sergio seppe guidarla con grande umiltà ma anche con fermezza. Fondò molti altri monasteri e la sua fama si diffuse moltissimo. Tipico santo contadino, alieno da ogni intellettualismo, era semplice, umile, serio e gentile e visse una vita di preghiera, digiuno e lavoro. Insegnò ai suoi monaci che la fuga dal mondo e dalla sua logica non esimeva, ma, al contrario, imponeva spirito di servizio e aiuto concreto nei confronti del prossimo, oltre che la pratica rigorosa della povertà, a livello personale e comunitario. Pochi mesi prima di morire, convocati i suoi monaci, nominò il suo successore. Quando poi sentì vicina la morte, li mandò a chiamare, diede loro le ultime istruzioni spirituali, ricevette i sacramenti e, sollevate le mani al cielo, rese l’anima a Dio. Era il 25 settembre del 1392 (corrispondente nel calendario gregoriano all’8 ottobre).

Le poche notizie che disponiamo su Néstor Paz Zamora le ricaviamo dal Martirologio latino-americano. Figlio di un generale boliviano, Néstor era stato per alcuni anni in seminario, dove aveva compiuto i suoi studi di teologia. Uscitone, si era legato alle comunità di Charles de Foucauld, di cui sentiva di condividere profondamente la spiritualità. Era studente di medicina all’Università, quando decise di unirsi alla guerriglia di Teoponte, in cui sarebbe morto di stenti, poco dopo, l’8 ottobre 1970. Tutta la sua esperienza di cristiano mistico e militante è mirabilmente contenuta nelle pagine del Diario che dedicò alla moglie Cecy. Da esso traspare il significato trascendente e sempre valido che Néstor leggeva nella sua lotta per la “terra nuova”, dove l’amore fosse la legge fondamentale. Il 12 agosto scrisse: “Sono un lievito che lavora continuativamente. Questa è almeno la sensazione che ho. Una grande pace e una grande tranquillità mi invadono. Sto ‘vitalmente’ passando dall’idea della ‘morte’ come diminuzione all’idea della ‘morte’ come pienezza e passo ad una nuova dimensione. Non la cerco, ma, se venisse, l’aspetterei con la serenità e la tranquillità che merita un tale momento, e persino le chiederei che li avvisasse che sono passato al Padre, che il ‘vieni, Signore Gesù’ è diventato realtà in me”.

Penny Lernoux era nata il 6 gennaio 1940 in un’agiata famiglia cattolica della California. Al termine di un brillante corso di studi universitari, era diventata giornalista, recandosi a lavorare, dal 1961, in America Latina, e fissando la sua residenza dapprima a Rio de Janeiro, poi a Bogotà e Caracas e, infine, nuovamente a Bogotà. A partire dal 1974 operò come scrittrice freelance. Sposata e madre di una figlia, da subito percepì l’estremo contrasto esistente tra la ricchezza di politici, latifondisti e uomini di affari latinoamericani, da un lato, e la povertà delle masse della regione, dall’altro. Affascinata dalla proposta radicale del Vangelo, si avvicinò alle comunità cristiane di base e si interessò da vicino alla teologia della liberazione, che ne facevano lo strumento per interpretare e cambiare una realtà, caratterizzata da un violento sfruttamento economico e da brutali regimi dittatoriali. Fu per molti anni corrispondente del National Catholic Reporter, oltre a scrivere per altre testate e pubblicare numerosi libri. Colpita da un tumore ai polmoni, due settimane prima della morte, consapevole della gravità del suo stato, confessava: “Mi sento come se stessi scendendo per un nuovo sentiero. Non è una paura fisica o la paura della morte, perché i poveri dell’America Latina, con il loro coraggio, mi hanno insegnato una teologia della vita che, attraverso la solidarietà e la nostra lotta comune, trascende la morte. È piuttosto una sensazione di impotenza – ed io che ho sempre voluto essere campione dei poveri mi ritrovo proprio come impotente – e, anch’io, devo tendere la mia scodella da mendicante; devo imparare – sto imparando – l’estrema impotenza di Cristo. È un’esperienza purificante. Quante cose sembrano ora meno importanti, specialmete le ambizioni”. Morì l’8 ottobre 1989. Aveva lasciato scritto: “Tu puoi anche guardare una favela o un villaggio contadino… ma è soltando entrando in quel mondo – e vivendoci – che comincerai a capire cosa significa essere senza potere, essere come Cristo”.

È tutto per stasera. Non abbiamo testi di Sergio di Radonež. Scegliamo così, nel congedarci, come già in passato, di offrirvi un brano che ci pare rifletta bene la spiritualità di cui il monaco russo è una delle più alte espressioni. Sono le parole che Fëdor Dostoevskij mette sulla bocca dello staretz Zosima in quello che è il suo capolavoro, “I fratelli Karamazov” (Garzanti). Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ricordati soprattutto che non puoi essere giudice di nessuno. Giacché non può esistere sulla terra giudice di un criminale se quello stesso giudice prima non abbia compreso che egli è un criminale al pari di quell’uomo che gli sta di fronte e che egli stesso è colpevole, forse, più di chiunque altro di quel crimine. Solo quando avrà compreso questo, un uomo potrà diventare giudice. Per quanto possa sembrare assurda, questa è la verità. Giacché se io fossi stato giusto, forse, quel criminale che ora sta di fronte a me, non sarebbe stato tale. Se riuscirai ad assumere su di te il delitto del criminale che ti sta di fronte e che viene giudicato dal tuo cuore, fallo subito e soffri tu stesso al posto suo, e lascialo andare senza alcun rimprovero. E anche se la legge stessa ti designasse suo giudice, per quanto sarà nelle tue facoltà, agisci nello stesso spirito, giacché andandosene egli giudicherà se stesso assai più severamente di quanto hai fatto tu. Se, dopo il tuo bacio, egli andrà via immutato nei sentimenti e pieno di scherno verso di te, non farti indurre in tentazione neanche da questo: vuol dire che la sua ora non è ancora arrivata, ma verrà anche il suo momento; e se non verrà, non fa nulla: se non sarà lui, un altro uomo capirà al posto suo e soffrirà e giudicherà e condannerà se stesso e la verità sarà realizzata. Credete a questo, credeteci fermamente, giacché in questo risiedono tutta la speranza e la fede dei santi. (Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Ottobre 2017ultima modifica: 2017-10-08T22:12:51+02:00da fraternidade
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