Giorno per giorno – 03 Ottobre 2017

Carissimi,
“Gesù mandò davanti a sé dei messaggeri. Questi entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc 9, 52-54). Stasera, l’eucaristia, la si è celebrata da dona Almerita, sotto il portico antistante casa, con padre Paulo a presiederla e la gente della comunità e gli altri vicini. E la prima cosa che è venuta da dire, dopo aver ascoltato il vangelo, è stato che le cose non sono mica cambiate poi molto, da allora. Per buona parte dei discepoli di Gesù, quale che sia la denominazione cui appartengono (in Brasile ne abbiamo più di mille nel versante evangelico), il massimo di ecumenismo che ci si concede nei confronti di chi pensa e crede in maniera differente è quello dell’invocare un qualche fuoco dal cielo, e mica solo dal cielo, dato che a volte ci si sente in dovere di dargli una mano. Così capita spesso che si invadano terreiros dei culti tradizionali africani, per incendiare suppellettili, oggetti di culto, statue degli orixas (sbrigativamente identificati in forze diaboliche), o cappelle della devozione cattolica per fare livorosamente a pezzi statue di santi o di Madonne. Del resto, anche in campo intraecclesiale, non si è da meno: a difesa della [propria] ortodossia, si erigono con una facilità che spaventa roghi (per fortuna solo metaforici) su cui bruciare anche solo l’onore di quanti sono di volta in volta additati come eretici o apostati, come allora i samaritani per i giudei e i giudei per i samaritani, e Gesù per i farisei e gli altri ferrigni difensori della lettera della Legge (che poi questa uccida poco importa). E, oggi persino il papa e quelli come lui, che, non cedendo un millimetro al cattivismo dilagante, che rappresenta oggi il politicamente corretto, continuano imperterriti a proclamare il vangelo della misericordia (anche verso i propri nemici). Senza il quale non si è davvero più né cristiani, né, a pensarci bene, uomini (se crediamo di essere stati creati a immagine di Dio). Beh, Gesù sgridò allora Giacomo e Giovanni, gli intemperanti figli di Zebedeo. Rimproveri anche noi, con durezza, se e quando dimentichiamo che il suo cammino (e perciò anche il nostro se siamo dei suoi) è “verso Gerusalemme”, verso la croce, dono della vita e perdono, per amore. Perché, come glossa la Volgata il brano di oggi: “il Figlio dell’uomo non è venuto a perdere le vite degli uomini, ma a salvarle”. E noi con Lui.

Oggi facciamo memoria di George Allen Kennedy Bell, pastore e testimone di ecumenismo, di Maria Magdalena Enriquez, difensora dei diritti dei poveri e martire in El Salvador, e di Antonio Bargiggia, fratello dei poveri, martire in Burundi.

George Allen Kennedy Bell era nato il 4 febbraio 1883 a Hayling Island, nello Hampshire (Inghilterra), maggiore dei figli di Sarah Georgina Megaw e di suo marito James Allen Bell. Dopo gli studi teologici a Oxford, Bell fu ordinato diacono, nel 1907, e presbitero, nel 1908. Nei tre anni che seguirono si dedicò alla cura pastorale di una parrocchia alla periferia di Leed, dove un terzo della popolazione era costituito da immigrati indiani e africani, provenienti dalle diverse regioni dell’Impero britannico. In questa attività ebbe modo di collaborare e di apprendere molto dai metodisti, di cui ammirava la capacità di coniugare fede e impegno sociale. Nel 1914 fu nominato, dapprima, cappellano dell’arcivescovo Randall Davidson, primate d’Inghilterra, poi, nel 1925, decano di Canterbury e, nel 1929, vescovo di Chichester. Dal 1932-34 fu primo presidente di “Vita e Azione”, quando questo movimento confluì nel Consiglio Ecumenico delle Chiese. All’avvento del nazismo, divenne il più importante sostenitore della “Chiesa Confessante” che, in Germania, si opponeva risolutamente all’ideologia hitleriana, denunciando come eretiche le posizioni assunte da settori consistenti della Chiesa Evangelica Tedesca in appoggio alla politica del Fuhrer. In questi anni, Bell strinse amicizia con Dietrich Bonhoeffer, Nathan Söderblom e Wilhelm Visser’t Hooft, ponendo le basi per il cammino di riavvicinamento tra le chiese che ebbe luogo alla fine della seconda guerra mondiale. Negli anni ’50, fu avversario della corsa al riarmo atomico, e appoggiò numerose iniziative contro la Guerra Fredda. I suoi contatti ecumenici lo portarono a stringere amicizia con l’arcivescovo di Milano, Montini, che in seguito sarebbe divenuto papa Paolo VI. Bell morì il 3 Ottobre 1958. Aveva dedicato la sua ultima omelia a commentare la parola di Gesù che dice: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17, 10).

Di Maria Magdalena Enriquez, sappiamo solo che apparteneva alla Chiesa Battista e lavorava a tempo pieno alla “Commissione per i diritti umani”, creata a San Salvador, nell’aprile del 1978, con il compito di coordinare le difese dei prigionieri politici e raccogliere prove e testimonianze sulle sempre più gravi e diffuse violazioni dei diritti umani. Magdalena riceveva le persone per le denunce, raccoglieva la documentazione in merito, teneva i contatti con le autorità e con la Chiesa. Il 3 ottobre 1980 venne rapita e uccisa. Il suo cadavere fu ritrovato alcuni giorni dopo sepolto vicino al mare, a oriente della città e del porto.

Antonio Bargiggia era nato a Milano il 21 giugno 1958, e nel 1979 era andato in Africa, a lavorare come volontario in una missione del Burundi. Ritornato in Italia, maturò la decisione di dedicare tutta la sua vita ai poveri. Entrò così tra i “Fratelli dei poveri”, una famiglia religiosa di laici consacrati che opera in Burundi. Per vent’anni, fratel Antonio lavorò nella bidonville di Buterere, nella periferia più povera di Bujumbura, capitale del Burundi. Viveva, povero come i suoi vicini, in una baracca senza luce e senza acqua, con un suo fratello burundese, volendo bene e rendendosi disponibile a tutti, in qualunque ora del giorno o della notte, quale ne fosse l’etnia, hutu o tutsi, o la religione. Pochi mesi prima di morire, aveva scritto: “Abbiamo molti vicini, quasi tutti musulmani; andiamo d’accordo e ci aiutiamo gli uni con gli altri”. La mattina del 3 ottobre 2000, quattro uomini armati, due in divisa militare e due con abiti civili, bloccarono l’automezzo su cui stava viaggiando e lo uccisero, sparandogli a bruciapelo al volto, a Kibimba. Gli rubarono l’orologio e i sandali e abbandonarono il suo corpo per strada, portandosi via l’auto con il materiale che stava trasportando. Rintracciati poco dopo, furono nei giorni seguenti processati e condannati: l’esecutore materiale alla pena capitale, due complici all’ergastolo e l’autista a venti anni di detenzione. Il giorno prima dell’esecuzione, l’assassino fece chiamare il cappellano del carcere, l’abbé Gakona, per esprimere il suo pentimento e chiedere perdono del suo gesto. Restarono a parlare a lungo, il prete gli parlò di Gesù e della buona notizia dell’amore che Dio ha per gli ultimi e della festa che fa per quanti si convertono da una vita sbagliata. Alla fine del colloquio, il giovane chiese e ottenne di essere battezzato e il giorno dopo affrontò con grande serenità d’animo l’esecuzione della condanna.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Zaccaria, cap.8, 20-23; Salmo 87; Vangelo di Luca, cap.9, 51-56.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto, per stasera. E, prendendo spunto dalla memoria della martire salvadoregna Maria Magdalena Enriquez, scegliamo di congedarci offrendovi in lettura un brano di Ignacio Ellacuría, tratto dal suo libro “Conversione della Chiesa al Regno di Dio” (Queriniana), che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se consideriamo il carattere che oggi assume il lamento storico dei popoli, delle classi sociali, degli individui per la liberazione dalla oppressione, non è difficile vedere che la Chiesa, come sacramento universale di salvezza, deve costituirsi in sacramento di liberazione. Questo lamento dei popoli e delle genti oppresse è, per le sue caratteristiche reali considerate in base alla rivelazione, la divinità crocifissa nell’umanità, il servo di Jahve, il profeta per antonomasia; è il gran segno dei tempi. La configurazione storica della Chiesa, come risposta salvifica e liberatrice a questo lamento universale, implicherà, in primo luogo, la sua conversione permanente alla verità e alla vita del Gesù storico; e presupporrà, in secondo luogo, il suo apporto storico di salvezza ad un mondo che, se non segue il cammino di Gesù, non si salverà. Il lamento della quasi totalità dell’umanità, oppressa da una minoranza prepotente, è il lamento dello stesso Gesù che prende corpo storico nella carne, nella necessità e nel dolore degli uomini oppressi. Di certo, non si dà soltanto l’oppressione socio-politica ed economica, né tutte le forme di oppressione derivano in modo esclusivo ed immediato da essa. Sbaglierebbero pertanto i cristiani se cercassero solamente un tipo di liberazione sociale. La liberazione deve abbracciare tutto quello che è oppresso dal peccato e dalle radici del peccato; e deve ottenere la liberazione tanto dall’oggettivazione del peccato come dal principio interiore dello stesso; deve abbracciare tanto l’interiorità delle persone come quello che è realizato da esse. La sua meta è quella completa libertà nella quale sia possibile e fattibile la piena e corretta relazione degli uomini tra di loro e degli uomini con Dio. Il suo cammino non può essere altro che quello seguito da Gesù, cammino che la Chiesa deve proseguire storicamente e nel quale deve credere e confidare in quanto elemento essenziale della salvezza umana. (Ignacio Ellacuría, Conversione della Chiesa al Regno di Dio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Ottobre 2017ultima modifica: 2017-10-03T22:05:07+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo