Giorno per giorno – 23 Settembre 2017

Carissimi,
“I suoi discepoli lo interrogarono sul significato della parabola. Ed egli disse: A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché vedendo non vedano e udendo non intendano” (Lc 8, 9-10). La parabola che i discepoli chiedono a Gesù di spiegare era quella del seminatore. Ma, prima di fornircene la spiegazione, l’evangelista introduce questo detto, liberamente ispirato alla profezia di Isaia (cf Is 6, 9-10), di cui sembra piuttosto difficile ricostruire il senso esatto. Salvo il fatto che la parabola risulta chiara per coloro che fanno parte della comunità, mentre rimane oscura per “gli altri”. Stasera, a casa di dona Nady, ci dicevamo che questa duplice possibilità è un po’ vera per tutto. Quanto noi ci lasciamo interpellare da ciò che accade e quanto ci interroghiamo sul significato delle cose? Se manca questa disposizione, la visione della realtà ci resterà opaca o distorta dal sentito dire. Questo vale anche di più in relazione all’incontro tra le persone e ai messaggi che si scambiano. Siamo davvero sempre disposti a interrogare e ascoltare? “I discepoli interrogarono Gesù sul significato della parabola”. E Gesù comincia col dire: il seme è la parola di Dio. Quindi è anche quella parabola. Che trova coloro che ne vogliono intendere il significato e quanti, invece, le restano indifferenti. Hanno ben altro da pensare! Ora, la parola di Dio è, per noi, in primo luogo, lo stesso Gesù, che si propone a noi come verità del Padre, scoprendoci le radici della nostra fraternità, svelata come nostra vocazione profonda. Che possiamo accogliere o rifiutare o, semplicemente, restarle indifferenti, passarle accanto. Fare dell’altro, vivere come se non fosse stata detta, come se non ci fosse. Gesù, nella spiegazione che ci offre il vangelo, prosegue poi dicendo: “I semi caduti lungo la strada sono coloro….”. Quindi la parola-seme che è Gesù, siamo poi anche noi, parole-semi, che, nella vocazione della conformazione a Cristo (vita come dono), possono fruttificare o restare variamente soffocati. Ora, che tipo di parola siamo noi? Cosa disegna la parabola della nostra vita? Dovremmo pensarci su più spesso.

Il nostro calendario ci porta la memoria di Francisco de Paula Victor, prete afrobrasiliano al servizio della carità.

Francisco de Paula Victor venne al mondo in un fienile della “senzala”, (l’abitazione riservata agli schiavi del tempo), di una piantagione nel municipio di Campanha (Minas Gerais). Era figlio della schiava Lourença Maria de Jesus e di padre ignoto. Il piccolo fu presto preso a benvolere dalla padrona della fazenda, dona Mariana Bárbara Ferreira, che si preoccupò di alfabetizzarlo e istruirlo. Ammirata per le qualità morali del ragazzo e per la sua disposizione allo studio, la donna chiese che gli fosse consentito entrare in seminario a Mariana, offrendo per lui in dote metà della fazenda Conquista, di sua proprietà. È facile immaginare quali e quante, in un ambiente esclusivamente di bianchi, fossere le umiliazioni e soperchierie a cui il giovane fu sottoposto durante tutto il periodo degli studi. I suoi biografi attestano che, però, egli “seppe sempre comprendere, perdonare e amare coloro che l’offendevano”. Sapendo, poi, col tempo, conquistare tutti con la sua mitezza e docilità. Ordinato prete, esercitò per 53 anni il suo ministero nella parrocchia di Três Pontas, dove gli toccò subire le stesse difficoltà del seminario, riuscendo tuttavia anche in questo caso a superare le barriere del pregiudizio razziale e attirando ben presto a sé gli abitanti, non solo della parrocchia, ma dell’intera regione. La sua azione pastorale si caratterizzò soprattutto per l’attenzione nei confronti degli ultimi, visitando gli ammalati, ospitando gli invalidi, occupandosi, benché lui stesso fosse poverissimo, dei più poveri. Morì il 23 settembre 1905. La sua salma restò esposta per tre giorni, per ricevere il pellegrinaggio devoto e riconoscente della sua gente.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera a Timoteo, cap.6, 13-16; Salmo 100; Vangelo di Luca, cap.8, 4-15.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto. O quasi. Ricorderemo, anche solo brevemente, che, come oggi, pochi giorni dopo il golpe militare che l’11 settembre 1973 sopprimeva le libertà democratiche in Cile, moriva Neftali Ricardo Reyes y Basoaltonel, più conosciuto come Pablo Neruda, una delle voci più limpide della poesia latino-americana. Scegliamo di ricordarlo con le parole di una sua poesia, “Il tuo sorriso”, che ci invia l’amico Ambrogio, forse per via di quel “Dura è la mia lotta e torno / con gli occhi stanchi, / a volte, d’aver visto / la terra che non cambia”, cui, però, può rispondere il sorriso come estrema risorsa di un’ostinata speranza. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Toglimi il pane, se vuoi, / toglimi l’aria, ma / non togliermi il tuo sorriso. // Non togliermi la rosa, / la lancia che sgrani, / l’acqua che d’improvviso / scoppia nella tua gioia, / la repentina onda / d’argento che ti nasce. // Dura è la mia lotta e torno / con gli occhi stanchi, / a volte, d’aver visto / la terra che non cambia, / ma entrando il tuo sorriso / sale al cielo cercandomi / ed apre per me tutte / le porte della vita. // Amor mio, nell’ora / più oscura sgrana / il tuo sorriso, e se d’improvviso / vedi che il mio sangue macchia / le pietre della strada, / ridi, perché il tuo riso / sarà per le mie mani / come una spada fresca. // Vicino al mare, d’autunno, / il tuo riso deve innalzare / la sua cascata di spuma, / e in primavera, amore, / voglio il tuo riso come / il fiore che attendevo, / il fiore azzurro, la rosa / della mia patria sonora. // Riditela della notte, / del giorno, della luna, / riditela delle strade / contorte dell’isola, / riditela di questo rozzo / ragazzo che ti ama, / ma quando apro gli occhi / e quando li richiudo, / quando i miei passi vanno, / quando tornano i miei passi, / negami il pane, l’aria, / la luce, la primavera, / ma il tuo sorriso mai, / perché io ne morrei. // (Pablo Neruda, Il tuo sorriso).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorellle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Settembre 2017ultima modifica: 2017-09-23T22:15:49+02:00da fraternidade
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