Giorno per giorno – 07 Settembre 2017

Carissimi,
Quando Gesù ebbe finito di parlare, disse a Simone: Prendi il largo e calate le reti per la pesca. Simone rispose: Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti. E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano” (Lc 5, 4-6). Stasera, a casa di Divina, Divino e della piccola Letícia, dove la comunità era riunita a ranghi ridotti, per via della festa di oggi, ci dicevamo che quella riassunta da Simone nel vangelo è l’esperienza di molti. A livello personale, famigliare, comunitario, o di società. La notte è un po’ l’immagine di tutte le forze avverse che si oppongono al dispiegarsi di un’esistenza felice sotto il segno della benedizione. Piccole cose, nel nostro caso, se, anche dando solo uno sguardo ai notiziari, consideriamo quelle che altri devono affrontare. L’uragano Irma, per dirne una, che continua a seminare distruzione e morte, dove passa. O la drammatica situazione del Venezuela, o ciò che ha sperimentato per molti anni la Colombia, dove papa Francesco è in questi giorni come messaggero di pace; il dramma senza fine dei migranti; e, da noi, la violenza poliziesca, che si aggiunge a quella dei signori del narcotraffico, sui giovani delle favelas, e, piú in generale, il ritorno della miseria, la perdita di diritti acquisiti, la giustizia ingiusta dei potenti; per non parlare delle tragedie silenziate, lontane da noi, in Africa, e nei paesi dove la guerra continua ad essere realtà quotidiana. Qui, tra di noi, la disoccupazione di uno o dell’altro, la tristezza smarrita di un padre nel vedere un figlio poco piú che adolescente imboccare il cammino, forse senza ritorno, della droga, la vergogna (che dovrebbe essere di altri) di non farcela a tirare fine mese, e quant’altro. In questo quadro, che appare spesso senza speranza, Lui è la voce che incita: Tenta nuovamente. Forse noi, in prima persona, non si vedrà nessuna pesca miracolosa. Basterebbe, come suggeriva Rafael, qualche pesciolino. Che serva a restituire il sorriso a qualcuno. Proprio di chi, magari, non osa da tempo apparire più in comunità. Tradito come si sente dalla vita. Ma ci vuole che si sia tutti insieme a calare le reti.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Beyers Naudé, profeta della lotta anti-apartheid in Sudafrica e dell’Igumeno Nikon, asceta ortodosso. Noi ricordiamo anche la Conferenza di Medellín, esperienza di una nuova Pentecoste in America Latina.

Primo di otto figli, Christiaan Frederick Beyers Naudé, era nato 1l 10 maggio 1915 da Jozua François Naudé e Adriana Johanna van Huysteen, a Roodeport, nel Transvaal (ora Gauteng), in Sudafrica. Il padre era stato tra i fondatori del Broederbond (in Afrikaans, “Lega dei fratelli”), una potente società segreta Afrikaner a sostegno della segregazione razziale, e il giovane Beyers seguì a lungo le impronte paterne, entrando egli stesso a far parte della Broederbond, dopo essere stato ordinato pastore della Chiesa Riformata Olandese, nel 1939, servendo poi per venti anni numerose congregazioni, in differenti località del paese, predicando ovunque la giustificazione religiosa dell’apartheid. Nel frattempo, il 3 agosto 1940, Naudé aveva sposato Ilse Weder, figlia di un missionario della Chiesa morava. Insieme avrebbero avuto tre figli e una figlia. Il massacro di Sharpeville, avvenuto il 21 marzo 1960, che costò la vita a 69 manifestanti neri, che protestavano contro l’inasprimento delle restrizioni alla libertà di movimento, introdotte dalla legge, segnò una svolta decisiva nella vita di Naudé, che cominciò da allora a battersi risolutamente contro le teorie razziste e segregazioniste della sua chiesa. Nel 1963 Naudé fondò il Christian Institute of Southern Africa, un’organizzazione ecumenica avente come scopo quello di favorire la riconciliazione attraverso il dialogo interraziale, la ricerca e le pubblicazioni. Questo gli costò la perdita dello stato di pastore e Naudé, secondo l’espressione dell’arcivescovo Tutu “divenne da allora come un lebbroso nella comunità Afrikaner”. Dal 1977 al 1984, Naudé fu messo agli arresti domiciliari, che prevedevano rigide limitazioni di movimento e alla possibilità d’incontrare altre persone. Nonostante la costante sorveglianza della polizia di stato, egli riuscì comunque ad aiutare segretamente il movimento anti-apartheid, dentro e fuori il Sudafrica. Nel 1980, fu accolto come pastore nella Chiesa Riformata Olandese in Africa, una denominazione di neri sudafricani e, nel 1985, scaduti gli arresti domiciliari, succedette all’Arcivescovo Desmond Tutu, come segretario generale del Consiglio Sudafricano delle Chiese. Scaduto il suo mandato, Naudé continuò a dedicarsi instancabilmente alla causa della “sua” gente, partecipando, tra l’altro, come unico membro afrikaner alla delegazione dell’African National Congress nelle negoziazioni che sfociarono nella nascita del nuovo Sudafrica. Alla sua morte, avvenuta il 7 Settembre 2004, Naudé fu definito da Georges Lemopoulos, allora segretario del Consiglio Mondiale delle Chiese, “uno dei veri profeti cristiani del nostro tempo”.

Nikolaj Nikolajevic Vorob’jev era nato nel 1894 da famiglia contadina del distretto di Bjezeck nel governatorato di Tvjer’ (Russia). Dopo gli studi al liceo scientifico, deciso di dedicarsi alla psichiatria, s’iscrisse all’Istituto Neuropatologico di Pietroburgo, dove tuttavia ben presto, maturò la convinzione dell’impossibilità per la scienza di conoscere l’uomo e sentì nel suo intimo la voce di Dio. Abbandonati, perciò, gli studi, si dedicò a vita ascetica e solitaria consacrandosi allo studio della Scrittura e dei Padri. Nel 1917 s’iscrisse all’Accademia teologica di Mosca, ma quando questa venne chiusa nel 1919, egli ritornò alla vita ascetica che condusse solitario per dieci anni nella cittadina di Suhivici. Fu tonsurato monaco a Minsk nel 1931 e l’anno successivo fu ordinato ieromonaco. Nel 1933 fu arrestato e mandato per quattro anni nei campi di concentramento della Siberia. Dopo la liberazione visse a Vysnij Volock facendo l’inserviente di un medico. Quando alla fine della guerra Stalin concesse una certa libertà di culto, lo ieromonaco Nikon fu nominato parroco a Kozel’sk, donde dovette allontanarsi per l’invidia dei suoi confratelli e nel 1948, dopo aver esercitato l’attività pastorale a Bjelov, Iefremov ed a Smoljensk, fu mandato, praticamente in esilio, in una parrocchia abbandonata a Gzatsk. Il successo che ottenne con la predicazione tra i fedeli fu tale che per un certo tempo gli fu vietato dalle autorità di polizia di ricevere visite. Come egli stesso riconosce, qui egli raggiunse l’umiltà fondamentale, cioè il fermo convincimento del cuore che noi non siamo nulla, ma solo creature di Dio, e che “in noi non c’è alcunché di nostro, ma soltanto la misericordia di Dio”. Da questo convincimento deriva il leitmotiv delle sue lettere: l’uomo deve sopportare tutte le angosce e malattie, perché il Cristo stesso c’insegnò che chi voleva seguirlo, prendesse la propria croce. Con questa intima persuasione è strettamente connesso il suo consiglio di rivivere continuamente in noi stessi l’esperienza del pubblicano e del buon ladrone, il quale riconobbe sulla croce d’aver meritato la sua pena. Fu conosciuto come illuminato maestro spirituale. Morì il 7 settemnbre 1963, durante le persecuzioni antireligiose di Kruscev.

Il 7 settembre 1968, si concludeva a Medellín (Colombia) la II Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano. Inaugurata il 24 agosto, alla presenza di Paolo VI, aveva visto riuniti 86 vescovi, 45 arcivescovi, 6 cardinali, 70 tra preti e religiosi, 6 religiose, 19 laici, e 9 osservatori non cattolici, in uma sorta di piccolo Concilio continentale. La proposta della Conferenza è ben espressa dal titolo dato all’insieme dei documenti da essa prodotti: “La Chiesa nell’attuale trasformazione dell’America Latina alla luce del Concilio Vaticano II”. Fu allora che le Chiese lì rappresentate, superando una visione intimista e individualista della fede e della pratica religiosa, fecero propria – benché l’espressione in quanto tale non apparisse ancora in nessuno dei suoi documenti – , l’opzione per i poveri, denunciando l’oppressione di cui essi sono vittima da parte delle strutture di peccato della società. Convalidarono altresì l’esperienza delle Comunità di base che, cominciata in Brasile, si stava diffondendo con forza in tutta l’America Latina. Un altro elemento caratteristico dei lavori di questa assise fu l’adozione del metodo di “vedere, giudicare, agire”, mutuato dalla JOC (Jeunesse Ouvrière Chrétienne) del card. Joseph Cardijn e già additato come assai valido da Giovanni XXIII nell’enciclica Mater et Magistra. Esso chiede, in primo luogo, di leggere la realtà concreta di povertà, oppressione, ingiustizia, esclusione, che ci circonda, per poi giudicarla alla luce della Parola di Dio e scoprire le linee d’azione che ci portino a trasformarla. Le decisioni della Conferenza di Medellín – come del resto quelle del Concilio Vaticano II – furono in molti casi disattese, se non apertamente osteggiate dai settori più conservatori e fondamentalisti della Chiesa, e rappresentano, pur con le indispensabili correzioni imposte dalla mutata realtà, una sfida aperta per la coscienza dei credenti.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Colossesi, cap.1, 9-14; Salmo 98; Vangelo di Luca, cap.5, 1-11.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Oggi il Brasile celebra il suo “Giorno dell’Indipendenza” che ricorda l’atto con cui Dom Pedro de Alcântara Francisco António João Carlos Xavier de Paula Miguel Rafael Joaquim José Gonzaga Pascoal Cipriano Serafim de Bragança e Bourbon, che, malgrado le apparenze, era una sola persona ed era Principe reggente del Regno Unito di Portogallo, Brasile e Algarves, dichiarò l’indipendenza del nostro Paese dalla madrepatria, il 7 settembre 1822, regalandoci questo giorno di festa. In tale occasione le Pastorali sociali della Chiesa cattolica organizzano dal 1995 in tutto il Paese le manifestazioni del “Grito dos Excluídos” (Il Grido degli Esclusi), per richiamare l’attenzione di credenti e non credenti su temi cruciali della congiuntura del Paese. Lo slogan che ha acoompagnato il Grido di quest’anno è “Por direitos e democracia, a luta é todo dia”, “Per diritti e democrazia, la lotta è ogni giorno”. Questo, perché, per dirla con le parole di Dom Guilherme Antônio Werlang, presidente della Pastorale per l’Azione Sociale Trasformatrice della Conferenza Nazionale dei Vescovi, “viviamo tempi difficili. I diritti e i progessi democratici conquistati negli ultimi decenni, frutto di mobilitazioni e di lotte, sono sempre più minacciati. Le misure di adeguamento fiscale, le riforme del lavoro e della previdenza stanno ritirando diritti dei lavoratori per favorire gli interessi del mercato. Lo stesso sistema democratico è in crisi, distante dalla realtà che vive la popolazione”.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi il brano di una lettera dell’Igumeno Nikon ad una figlia spirituale. La troviamo nel sito di “Tradizione cristiana. Vita e ascesi in Cristo” ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Per camminare sulla via retta, bisogna fare attenzione a se stessi, confrontare le proprie parole, opere, pensieri e tendenze con i comandamenti del Cristo, non giustificandosi in nulla; bisogna cercare di correggersi nella misura possibile, non accusare né condannare gli altri, ma pentirsi davanti a Dio, umiliandosi davanti a lui e agli uomini, poiché solo così il Signore poco a poco ci svelerà la nostra caduta, la nostra corruzione, il nostro debito non pagato. Uno doveva restituire 500 denari, l’altro 50, ma tuttavia entrambi non avevano come restituirli. Bisogna che il Signore, nella sua misericordia, perdoni a tutti e due, il che significa che non c’è alcun giusto che non abbia bisogno della misericordia di Dio. Ed ecco la sapienza di Dio! Chi pecca apertamente può più presto essere perdonato ed accostarsi al Signore, ed in tal modo salvare, di coloro che sono esternamente giusti. Perciò il Cristo disse che i pubblicani ed i peccatori entrano nel Regno di Dio prima di molti che sono giusti solo esternamente. Grazie all’immensa sapienza di Dio, i peccati ed i demoni contribuiscono a rendere umile l’uomo ed in tal modo alla salvezza. Ecco perché il Signore proibì di strappare la gramigna che cresce vicino al grano, poiché senza di essa facilmente crescerebbe la superbia, ma Dio ad essa si oppone. La superbia e la presunzione sono la rovina dell’uomo. Quale conclusione si trae da tutto ciò? Imparate a conoscere la vostra debolezza e le vostre colpe, non condannate nessuno, non giustificatevi, umiliatevi e Dio vi esalterà al momento debito. Dio, sii misericordioso con noi peccatori. (Igumeno Nikon, Lettere ai figli spirituali).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Settembre 2017ultima modifica: 2017-09-07T22:11:42+02:00da fraternidade
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