Giorno per giorno – 19 Maggio 2017

Carissimi,
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. (Gv 15, 12-14. 15b). Il comandamento di Gesù, che, come già accennavamo ieri, riassume, discerne e dà senso ad ogni altro comandamento, è quello dell’amore. E, per evitare ogni possibile ambiguità, dato che l’amore lo si serve, forse da sempre, in tutte le salse, Gesù ce ne indica la caratteristica di fondo: è l’amore con cui egli ci ha amato e che consiste nel dare la vita per coloro che si ama, niente meno che tutti. Proprio come fa Dio. Gesù ha fatto di noi i destinatari della rivelazione divina, facendoci conoscere quell’ “amore che sorpassa ogni conoscenza” (Ef 3, 19), non perché lo predichiamo a parole, ma perché lo testimoniamo nei fatti. La rivelazione ricevuta non si traduce per noi nell’onore di un’elezione, ma semmai nell’onere. Mancando a questo, avremo svuotato la croce di Cristo, che dell’amore (di Dio per noi e degli esseri umani tra loro) è la cifra più alta. Resta allora solo da chiederci come noi si viva questo ideale. A partire da dentro di casa. E provvedere in merito.

Oggi è memoria di Pietro Celestino V, monaco e papa coraggioso.

Pietro era nato ad Isernia nel 1215, penultimo dei dodici figli di Angelo Angelerio e Maria Leone, due contadini semplici e buoni. Dopo aver sperimentato ancora ragazzo il duro lavoro dei campi, nel 1231 decise di entrare in un monastero benedettino, ma se ne allontanò presto, insoddisfatto per lo stile di vita che vi regnava, ritirandosi a vivere da eremita, in una grotta sul fiume Aventino, nei pressi di Palena. Nel 1238 si recò a Roma dove, l’anno successivo, fu ordinato sacerdote. Tornato in Abruzzo, si stabilì sul monte Morrone, raggiunto presto da altri uomini desiderosi di servire il Signore in solitudine, lavoro e preghiera. Pietro li organizzò in comunità come “eremiti di san Damiano” (in seguito saranno chiamati “Celestini”), dando loro una regola che venne approvata dal papa Gregorio X nel 1273. Nel 1294, a due anni dalla morte di papa Nicolò IV, i dodici cardinali riuniti in conclave non erano ancora riusciti ad accordarsi sul nome del successore. Pietro prese allora l’iniziativa di scrivere loro una lettera durissima di biasimo e i cardinali, in buona o in mala fede, pensarono bene, nella seduta del 5 luglio 1294, di eleggere papa lui, che prese il nome di Celestino V. Il vecchio monaco, quasi ottantenne, scoprì tuttavia presto di essere una pedina impotente di giochi e di trame che passavano sopra la sua testa. E pensò che non era così che aveva desiderato servire la sua Chiesa. Sicché, dopo solo cinque mesi dall’elezione, disse: me ne vado. Depose la tiara, lasciò il pastorale, si spogliò del manto e riprese il suo semplice saio. Il cardinal Caetani, che era sulla bocca di tutti come suo probabile successore e che si era dato un gran daffare per convincerlo a quel passo, gli promise che sarebbe potuto tornare tranquillo al suo eremo. Ma, divenuto Bonifacio VIII, dimenticò la sua promessa, e pensò più prudente, per evitare ogni possibile fronda, imprigionare il vecchio, che morì nella rocca di Fumone, nei pressi di Anagni, solo e dimenticato, il 19 maggio del 1296. Diciassette anni dopo, un altro papa, Clemente V, forse anche per farsi perdonare, lo dichiarò santo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.15, 22-31; Salmo 57; Vangelo di Giovanni, cap.15, 12-17.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una riflessione di Raniero La Valle, che ci richiama la memoria del giorno, di Pietro Celestino V. La troviamo in rete, nel blog Manifesto4ottobre. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“La radice di tutti i mali, per la Chiesa, è nella tentazione del potere. E’ la più diabolica che possa essere tesa all’uomo, se satana osò proporla persino a Cristo”. Sono le parole che Ignazio mette in bocca a Celestino V in “Avventura di un povero cristiano”. E, in effetti, la tentazione che in qualche modo riassume e concentra tutte le altre anche nella nostra vita è quella del potere: sulle persone, sulle “cose”, perfino su Dio: il potere che asservisce le persone, utilitarizza le cose e strumentalizza Dio! Questo il sunto radicale della narrazione evangelica che apre la liturgia domenicale della Quaresima. Gesù dopo i quaranta giorni di digiuno nel deserto avverte l’esigenza di mangiare. Il tentatore gli suggerisce di trasformare le pietre in pane: se è Figlio di Dio può farlo, così si sfamerà, ma soprattutto susciterà ammirazione, consenso, seguito. L’accostamento è a tutte quelle situazioni nelle quali le possibilità personali diventano successo per sé e dipendenza per gli altri. La seconda (terza nella narrazione) tentazione è quella del fascino dell’intreccio fra potere e avere: dalle oligarchie, alle concentrazioni finanziarie, alle mafie, ai traffici di armi, droghe, esseri umani, alla corruzione e all’evasione, alle pensioni d’oro e ai vitalizi dei politici; queste ed altre situazioni concentrano il cedimento al fascino della combinazione tra potere e ricchezza, con ricaduta nella prassi materialista e consumista, dei “piccoli” favori e vantaggi cercati e concessi. Cedere a questa tentazione comporta abdicare alla propria coscienza, alla propria libertà responsabile, inginocchiarsi davanti al potere per entrare a farne parte. In questa tentazione sono presenti i due aspetti dell’occupazione dello spazio, geografico, economico e antropologico: il dominio e la schiavitù; ti darò il dominio sul mondo ma ti farò mio schiavo. La terza tentazione (seconda nella narrazione) riguarda Dio: il tentatore suggerisce a Gesù di buttarsi dal punto più alto del tempio: se è Figlio di Dio, ci sarà il suo intervento per salvarlo. Dio tentato, usato, provocato, strumentalizzato nella storia di ieri e di oggi, per legittimare le proprie posizioni, il proprio potere, perfino la violenza. Dio non va sfidato, ma intuito, creduto, dubitato, ancora creduto e pregato. “Solo una falsa innocenza può dare ad intendere che verità e potere abitino su monti vicini; di solito ciò che giova alla verità non giova al potere, e l’Occidente ha coniato un termine, ‘ragion di stato’, per nominare pudicamente la Menzogna”. (Raniero La Valle, Le tentazioni).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Maggio 2017ultima modifica: 2017-05-19T22:33:32+02:00da fraternidade
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