Giorno per giorno – 07 Febbraio 2017

Carissimi,
“Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione” (Mc 7, 9). C’è un comandamento di Dio che è alla radice di tutto ed è: Ama. In questo consiste la natura di Dio ed in questo l’imitazione di Dio a cui siamo chiamati: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 48), che Luca rende con : “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 36). Che è avere amore di madre. Gli altri comandameni sono subordinati e funzionali a questo. Ove non lo siano, rispondono ad altro: nella migliore delle ipotesi ad una tradizione umana, ad una convenzione sociale, ad una variante culturale; nella peggiore, ad una volontà di dominio, di manipolazione, di omologazione. Gesù porta ai suoi interlocutori un esempio, noi ne potremmo portare altri mille. Ci si chiedeva stasera: cos’è il korban di cui parla Gesù? Con una certa approssimazione, rapportandolo ai costumi di oggi nelle chiese, potremmo vederlo come una sorta di decima (il contributo che il fedele è tenuto a versare alla sua chiesa pari ad un decimo delle sue entrate), che, in quanto “spettante” a Dio, non gli può venir sottratto in vista di altre destinazioni. Gesù dice invece che (per la disperazione del pastore o del parroco di turno) a Dio interessa più che si vada incontro alle necessità dei poveri (nel caso specifico, due poveri genitori), perché è questo che, più di ogni altra offerta votiva, testimonia l’amore che abbiamo per Lui. Se questo è vero per le offerte sacre, immaginiamo quanto lo sia di più per le molte offerte profane che siamo disposti a versare sull’altare dei consumi di massa. Gesù insiste nel proporci un altro ordine di priorità. Quale sceglieremo noi, per non annullare la parola di Dio, preferendole pie tradizioni o discutibili mode del momento?

Oggi il nostro calendario ci ricorda il martirio di Sepé Tiaraju e del suo popolo guaraní; il metropolita Vladimir di Kiev con tutti i nuovi martiri del XX secolo in Russia e Ucraina; e Andraus El Samu’ili, monaco copto e mistico.

Nei secoli XVII e XVIII, i missionari gesuiti, al fine di sottrarre le popolazioni indigene alla schiavitù e allo sfruttamento da parte dei bianchi, crearono nelle colonie spagnole e portoghesi dell’America Latina numerose comunità agricole (reducciones), basate sulla proprietà collettiva della terra e delle macchine, dotate di ampi margini di auto-gestione amministrativa e, soprattutto, tenute separate dal mondo dei colonizzatori. Questo, per proteggerne in primo luogo l’incolumità, ma anche per fornir loro quell’istruzione intellettuale, religiosa, tecnica e associativa che, nella visione dei missionari, doveva più facilmente garantirgli la sopravvivenza. Si trattò, dunque, di un’esperienza improntata all’ideale di un comunitarismo egualitario che risaliva al cristianesimo primitivo. Nel 1732 si contavano una trentina di “reducciones” per un totale di circa 150.000 abitanti. Alla metà del secolo le autorità coloniali, preoccupate per il significato sociale, trasgressivo dell’ ordine esistente, che le “reducciones” andavano assumendo e per il potere alternativo che i gesuiti vi avevano costruito, posero fine con la forza all’esperimento. È in questo contesto che, nel 1753, Sepé Tiaraju prese l’iniziativa dell’insurrezione indigena della “riduccion” guaranì di São Nicolau, la prima a resistere all’ordine di evacuazione e trasferimento sull’altro lato del fiume Uruguay. A São Miguel (Rio Grande do Sul), Sepé guidò l’attacco ai carri che trasportavano le suppellettili della Chiesa, obbligando la comitiva a far ritorno alla missione. Per tre anni fu la figura centrale della resistenza agli imperi portoghese e spagnolo. Il 7 febbraio 1756 morì combattendo sull’ Arroio Caiboaté. In una scaramuccia, il suo cavallo cadde ed egli fu ferito da un soldato con una lancia. Prima di riuscire ad alzarsi fu ucciso con un colpo di pistola dal governatore di Montevideo che comandava la truppa.

Basil Nikiforovich Bogoyavlensky (che assunse in seguito il nome di Vladimir) era nato il 1° Gennaio 1848 nella famiglia del prete Niceforo, nel villaggio di Malaya Morshka, distretto di Morshansky, provincia di Tambov, in Russia. Frequentata la scuola teologica di Tambov e proseguiti brillantemente gli studi nella Facoltà teologica di Kiev, fu per sette anni professore in seminario, si sposò e fu ordinato prete il 13 gennaio 1882. L’8 febbraio 1886, dopo la morte della moglie e dell’unico figlio, entrò nel monastero della Santa Trinità di Kozlov, di cui fu nominato archimandrita. Il 21 maggio 1889 fu consacrato vescovo di Starorussk e, successivamente, esarca di Georgia, metropolita di Mosca, poi di Petrogrado e infine di Kiev. Ovunque, durante il suo ministero pastorale, si preoccupò di proteggere la sua gente, di combattere l’antica piaga dell’alcolismo, di offrire ai fedeli la luce di un genuino insegnamento cristiano. Nelle vicende drammatiche che accompagnarono la rivoluzione bolscevica, seppe mantenersi pastore di pace e di amore, fedele, onesto, tutto dedito a Cristo e alla Chiesa. La notte del 25 gennaio 1918 (7 febbraio nei calendario gregoriano), un gruppo di bolscevichi entrò nelle grotte della Laura di Kiev e arrestò il metropolita. Lungo la strada fu sommariamente processato e condannato a morte. Prima di morire volle benedire i suoi uccisori. Fu il primo di un numero incalcolabile di vittime, soprattutto monaci, preti e vescovi, che nei decenni successivi furono perseguitati, incarcerati, deportati e uccisi.

Yusef Khalil Ibrahim era nato verso il 1887 nel governatorato di Bani Suef, in Egitto. A tre anni era divenuto cieco. Tredicenne, il padre l’aveva mandato al monastero di San Samuele, sull’altopiano del Qalamun, nel sud dell’Egitto, perché, alla scuola dei monaci, imparasse qualcose di utile per la vita. Yusef vi restò fino a ventidue anni, quando scoperta la vocazione monastica, chiese ed ottenne di farsi monaco. Fece dunque la sua professione religiosa e prese il nome di Andraus El Samu’ili. Da allora e fino alla morte la sua vita si svolse all’insegna dell’infanzia spirituale e della perfetta letizia, immersa nella preghiera, nell’abbandono alla volontà di Dio e nell’obbedienza ai fratelli, senza lamentarsi mai di nulla, in ogni circostanza. Lo chiamavano l’ “ospite celeste”, per dire che era già come un angelo. Morì il 7 febbraio 1989.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.1, 20 – 2, 4a; Salmo 8; Vangelo di Marco, cap.7, 1-13.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa Nera.

Se fosse, come è, fra noi, dom Helder Câmara compirebbe oggi 108 anni, essendo nato a Fortaleza il 7 febbraio 1909. Così, nel congedarci, scegliamo di prendere spunto da questa ricorrenza, per proporvi una sua citazione, che troviamo in rete e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Fai di me / un arcobaleno di bene / e di speranza / e di pace. // Arcobaleno / che per nessuna ragione / annunci / le ingannevoli bontà / le speranze vane /le false paci. // Arcobaleno / inarcato da te / quale annuncio / che mai fallirà / il tuo amore di Padre / la morte del tuo Figlio / la meravigliosa azione / del tuo Spirito, Signore. // (Dom Helder Câmara, Fai di me).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Febbraio 2017ultima modifica: 2017-02-07T22:35:06+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo