Giorno per giorno – 19 Gennaio 2017

Carissimi,
“Gesù, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidòne, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui. Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero” (Mc 3, 7-9). Gesù si sottrae a quanti hanno deciso di eliminarlo, i religiosi e i politici che negano il Dio che si destina con le sue benedizioni a tutti, e si ritira inseguito dalle moltitudini dei poveri, tutti, che appartengano al suo popolo (Galilea, Giudea, Gerusalemme), o che gli siano stranieri e persino tradizionalmente nemici (Idumea, oltre il Giordano, Tiro, Sidone). Non vengono a lui per convertirsi ad una qualche religione, ma perché si sentono da lui amati, benedetti, curati, liberati da ogni male. E lui se ne sta su una barchetta, che è quanto gli basta, messagli a disposizione da gente comune, un po’ pasticciona, ma dal cuore buono, già una sorta di piccola chiesa, senza pretese, lontano dai centri del potere. Che, da sempre, usano della religione, per opprimeri i poveri.

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Teofane il Recluso, monaco e pastore.

Georgij Vasilievič Govorov era nato il 10 gennaio 1815 nel villaggio di Černavsk, nella contea di Yeletsk, provincia di Orlov, nella famiglia di un sacerdote locale. Entrato nel 1829, nel seminario di Orlov, passò nel 1836 alla Facoltà teologica di Kiev. Nel 1841, durante l’ultimo anno di studi, scoprì la propria vocazione monastica. Chiese ed ottenne di entrare in monastero, dove cambiò il proprio nome in quello di Teofane. Terminati brillantemente gli studi accademici, si dedicò all’insegnamento, in un primo tempo nella stessa facoltà di Kiev e poi nel seminario di Velikij Novgorod. Nel 1848, chiese di potersi recare in Medio Oriente, come membro della missione ecclesiastica a Gerusalemme e a Costantinopoli. Durante i sei anni che seguirono si appassionò alle opere e alla vita degli antichi Padri della Chiesa. Rientrato in patria, nel 1854, in seguito allo scoppio della guerra di Crimea, venne promosso archimandrita e nominato decano dell’Accademia Teologica di San Pietroburgo. Nel 1859 giunse la sua nomina a vescovo di Tambov. Nei pochi anni di servizio ministeriale in quella chiesa, la sua straordinaria mitezza, la grande bontà d’animo, l’attenzione che riservà alle necessità dei fedeli, gli guadagnarono affetto e devozione universale. Dopo 25 anni di servizio alla Chiesa in differenti ambiti, Teofane chiese al Santo Sinodo di potersi ritirare nell’eremo di Vyshy. La sua richiesta fu accolta nel 1866. Per sei anni, nelle domeniche e nelle altre festività, partecipò sempre alla divina liturgia con gli altri eremiti, non negandosi a ricevere quanti venivano a sollecitare i suoi consigli e la sua direzione spirituale. Tuttavia, a partire dalla Pasqua del 1872, scelse l’isolamento totale, dedicandosi da allora solo alla preghiera, agli studi e al lavoro manuale, limitandosi a incontrare periodicamente l’abate dell’eremo, il padre spirituale e il suo aiutante di cella e celebrando la divina liturgia nella cappella da lui stesso costruita e dedicata al Battesimo di Gesù. E nella Festa del Battesimo di Gesù, il 19 gennaio (6 gennaio per il calendario gregoriano) del 1894, Teofane si spense dopo una breve malattia. A lui dobbiamo, oltre a numerose opere di spiritualità, la traduzione della Filocalia, il grande classico della spiritualità esicasta, dallo Slavo ecclesiastico al Russo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap. 7, 25 – 8,6; Salmo 40; Vangelo di Marco, cap. 3, 7-12.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Sal 22, 1). Forse, solo pochi, lungo la loro vita, non hanno sentito questa preghiera del salmista salire alla labbra, con queste o simili parole. In circostanze tragiche o drammatiche, che colpiscano noi e da cui vediamo colpiti altri, come possono essere una catastrofe naturale, le distruzioni apportate dalla guerra, la morte improvvisa di un proprio caro, o di più d’uno, la scoperta di un male incurabile, la perdita dei propri beni, la fine d’una amicizia, lo spezzarsi irreversibile di un rapporto di fiducia, atteggiamenti scandalosi che mettono a repentaglio la propria fede, lo scatenarsi di una furia omicida tra genitori e figli, il disprezzo esibito e esaltato nei confronti dei più deboli, le ordinarie cattiverie e i volontari soprusi tra vicini, l’odio e il fanatismo soprattutto a carattere religioso, e così via. Beh, in questi giorni, più che in altri, ci è capitato di assistere un po’ a tutto questo, veicolatoci dai media o vissuto lì da voi o qui da noi. Non c’è una risposta facile al mistero del male, in tutte le sue forme. C’è, in molti casi, solo la certezza che lo stesso figlio di Dio è parso ad un certo punto soccombere ad esso, come l’amore nonviolento quasi sempre soccombe. Ma non è per sempre. Tutto, lo scopriremo poi, alla fine, pur senza che sia annullata la brutalità del male e l’ingiustizia di chi eventualmente se ne sia reso responsabile, avrà avuto un senso. E sarà redento.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Teofane il Recluso, tratto dal sui “Diario della preghiera”, che troviamo in rete e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non possiamo esistere senza le opere e le occupazioni. Dio ci ha dato delle forze operative che esigono esercizi. Perciò ognuno ha opere e occupazioni proprie. Esse esigono anche attenzione. D’altra parte, però, il progresso morale è più importante del resto ed esige, quindi, che la nostra attenzione sia rivolta sempre a Dio. Come conciliare l’uno e l’altro? Bisogna fare ogni opera come opera di Dio, come cosa impostaci da Dio e consacrarla a lui. In tal caso, eseguendola, non si perde l’attenzione a Dio, perché l’inevitabile occupazione e tutto ciò che facciamo deve essere fatto in modo tale da essere secondo il divino piacere. Affinché le opere e le occupazioni non assorbano tutta l’attenzione, bisogna farle senza esserne attratti, senza attaccamento passionale. Bisogna acquisire la seguente attitudine: dirigersi e disporsi continuamente a fare le proprie opere non perché l’anima si senta attratta per l’una o l’altra, ma secondo la consapevolezza del dovere. Bisogna giudicare il riconoscimento del dovere e del relativo sforzo secondo i criteri della sfera divina. In tal caso l’esecuzione delle opere sarà diligente e decisa, non con propensione per la vanità, ma direttamente per Dio. Allora quelli che cominciano a pregare non troveranno nulla che possa distrarre la loro attenzione, ma essi stessi perderanno attenzione per le opere nel momento in cui le mani smetteranno di lavorare. Tutto ciò dipende dall’abitudine di stare senza posa alla presenza di Dio con sentimento devoto. (Teofane il Recluso, Diario della preghiera, 114-115).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Gennaio 2017ultima modifica: 2017-01-19T22:41:03+01:00da fraternidade
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