Giorno per giorno – 14 Ottobre 2016

Carissimi,
“Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna” (Lc 12, 1-2. 4-5). Stasera, eravamo, con la comunità dell’Aparecida, a casa di Simone e Benedito, e dei loro quattro figli. Proprio una bella famiglia, da cui era la terza volta che ci recavamo, e che vive una sorta di pendolarismo tra due chiese, in tutta semplicità e buona fede: la cattolica e una neo-pentecostale, senza precludersi le devozioni ereditate dal passato della prima e concedendosi alla dimensione emozionale che offre loro la seconda. L’importante, diceva Benedito, è sapersi amati da Dio, così come siamo, e sforzarci (per chi ha bisogno di uno sforzo) di amarci come fratelli, così come siamo. La prima domanda che ha posto dona Nady è stata proprio sul lievito: come dobbiamo intenderlo? Una parabola circa il lievito noi la si era già incontrata nel vangelo di Matteo e la ritroveremo tra una decina di giorni nel vangelo di Luca. In essa il lievito ha una valenza positiva, indica il lavorio segreto, apparentemente insignificante, del regno, che anche noi siamo chiamati a inverare, che serve a far crescere l’impasto, cioè l’insieme dell’umanità. Qui, invece, il lievito è associato all’ipocrisia di molti che si credono e si dicono religiosi. Si tratta di due stili diversi di presenza nella chiesa e della chiesa, dove, da una parte, si sceglie di lavorare al servizio degli altri, per la crescita di tutti, dall’altra, si opta di servirsi degli altri per ritagliarsi il proprio spazio di potere, di prestigio, di privilegio. È questa attitudine che finisce per uccidere in noi la figura del figlio di Dio che siamo chiamati ad essere, e consumare la nostra vita nel fuoco inceneritore della nostra ambizione. Come singoli e, Dio non voglia, come chiese.

Oggi, il calendario ci porta la memoria di papa Callisto, pastore e martire; e di Hasan al Basri, mistico islamico.

Callisto era nato ben povero, tanto da essere schiavo di un cristiano, fino a quando, accusato a torto o a ragione di qualche pasticcio, era stato spedito ai lavori forzati in Sardegna. Tornato a Roma, siamo all’inizio del III secolo, divenne collaboratore del papa Zefirino e nel 217, alla morte di questo, gli succedette alla guida della Chiesa. Suscitando, manco a dirlo, la rivolta di quelli che avevano la puzza sotto il naso. Un certo Ippolito, soprattutto. Che doveva essere una sorta di mons. Lefebvre ante litteram. Costui cominciò a seminar zizzania, per via dello status sociale del papa, che mica si può mettere uno di quell’estrazione e con quei precedenti a reggere quell’Ufficio. E poi soprattutto per la “politica” adottata da Callisto, che accettava di riammettere alla vita della chiesa (dopo naturalmente un’adeguata penitenza) quanti si erano macchiati della colpa di adulterio o di apostasia, ammetteva il matrimonio tra donne libere e schiavi (che era proibito dalla legge romana), accettava convertiti provenienti dai gruppi eretici e/o scismatici, ordinava presbiteri persone sposate e così via. Per Ippolito tutto ciò era intollerabile. Ma Callisto, insultato, aggredito, additato al pubblico ludibrio, lo lasciava dire. Se dalla misericordia ci si deve, infatti, lasciar guidare, questo deve valere con tutti. Anche e soprattutto con quelli che ti sono nemici. E questo mandava ancor più fuori dei gangheri l’irreprensibile Ippolito che, quando non ce la fece più, si nominò papa. Cioè anti-papa. E fu il primo della storia. Quanto a Callisto, fu papa per soli cinque anni e fu ucciso durante dei disordini nel 222.

Hasan nacque a Medina nel 643 d.C. (21 dell’era egiriana), dieci anni dopo la morte del profeta Mohammed, e visse in un’epoca violenta e travagliata per la giovane comunità islamica. Quello della guerra tra i sostenitori di Alí (con la sua shi’a – da cui gli sciiti), con base nell’attuale Iraq, e i siriani al seguito del governatore di Damasco, Mu’awiya, che governava con pugno di ferro, reprimendo nel sangue la protesta e le rivolte di quanti non tolleravano il suo sistema tirannico. Abitando a Basra (la Bassora irachena), nel Golfo Persico, al-Basri si trovò dunque al centro delle sollevazioni contro la dinastia omeyyade. A quanti volevano coinvolgerlo nella lotta contro quel regime iniquo, al-Basri rispondeva che “Dio non cambia niente in un popolo prima che questo popolo non sia cambiato lui stesso”. Se non si elimina la violenza, come principio e motore del cambiamento, la situazione non muterà: “Volete cambiare questa situazione ingiusta? Dio la cambierà, se rivediamo la nostra vita, non se ricorriamo alla spada”. Questo non significa tuttavia tacere davanti all’ingiustizia, che, anzi, al-Basri la denunciò con veemenza durante tutta la sua vita, e neppure ubbidire alle leggi ingiuste, nei confronti delle quali il santo sollecitò l’obiezione di coscienza. Disse infatti: “Circa l’applicazione delle leggi, temi Dio piuttosto che il tuo governatore. Dio infatti ti proteggerà dal governatore, ma questi non ti proteggerà da Dio. Tu non sei obbligato a obbedire a una creatura che disobbedisce a Dio. Confronta le disposizioni del governatore con la Rivelazione di Dio. Se la lettera è d’accordo con il Libro sacro, eseguisci gli ordini che essa contiene; se lo contraddice, non eseguirli. È meglio obbedire a Dio che al governatore, alla Rivelazione di Dio che alle leggi umane”. Primo tra i mistici musulmani e modello per ogni credente di fedeltà alla comunità, di denuncia profetica dell´ingiustizia e di obbedienza alla voce della coscienza, Hasan di Bássora morì il 10 Rajab del 110 (secondo il calendario egiriano), che coincide, nel nostro calendario, con il 14 ottobre 728.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.1, 11-14; Salmo 33; Vangelo di Luca, cap.12, 1-7.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un detto di Al-Hasan Al-Basri che descrive la maniera d’essere dei credenti della seconda generazione dell’Islam, a cui lui stesso apparteneva. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ho incontrato persone che non si sarebbero rallegrate per lo splendore di vita che fosse sopraggiunto loro, né si sarebbero preoccupate per ciò che gli potesse venir meno. Questa vita era del tutto priva di valore ai loro occhi, come fosse polvere. Uno di loro visse cinquanta o sessanta anni possedendo soltanto il vestito che indossava, e, quando dormiva, non c’era nulla che separasse il suo corpo dal nudo pavimento; mai chiese alla sua famiglia di cucinargli qualcosa. Tutti loro, al calar della notte, sarebbero rimasti in piedi e poi prostrati in preghiera, con la fronte a terra, mentre le lacrime rigavano loro il volto ed essi pregavano il Signore di liberarli [dalla condanna]. Per ogni buona azione che avessero compiuto, ringraziavano Dio, supplicandolo di accettarla. E per ogni errore commesso, pieni di tristezza, pregavano Dio di perdonarli – possa la misericordia e la compiacenza di Dio scendere su loro. Per Dio! Essi sono stati salvati dalle ripercussioni e dalle nefaste conseguenze dei peccati solo per il perdono di Dio. (The wise sayings of Hasan al-Basri, 46).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Ottobre 2016ultima modifica: 2016-10-14T22:12:13+02:00da fraternidade
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